Era il pieno inverno di un’altra epoca. La neve regnava sovrana, anche se da qualche giorno aveva smesso di nevicare.
Difficile far desistere Bartolo, il cacciatore, quando si metteva in testa una cosa. E quella volta si era incaponito a inseguire un cervo. Come ipnotizzato, non aveva guardato in faccia né tempo né stagione.
Voleva averlo, quel cervo, scuoiarlo e cibarsene. Dopodiché, ne avrebbe impagliato la parte superiore per creare “un’opera d’arte” da appendere al muro in compagnia con le altre, a testimonianza delle sue imprese. Ma si era spinto troppo avanti. E sfuggitogli il cervo, sparito come fosse stato un fantasma, ora se ne stava tornando indietro in groppa al suo cavallo.
Malgrado il disappunto, aveva compreso che doveva interrompere l’inseguimento e rincasare. Il cielo incredibilmente bianco e uno strano vento non promettevano nulla di buono. Ne riconosceva l’odore e l’atmosfera. Tra poco si sarebbe scatenata una tempesta di neve.
Doveva sbrigarsi.
Rigido sul destriero come un El Cid sconfitto, imbacuccato e con la doppietta a tracolla, cavalcava veloce per quanto potesse. Il profilo del suo volto pareva una roccia scolpita, che in sintonia col moto del galoppo s’alzava e s’abbassava, disegnando duri ghirigori nell’aria ghiaccia.
Nel circondario l’aria illividiva. Caddero i primi fiocchi, in quel pomeriggio che inoltrava all’altro versante del giorno. Da lì il bianco elemento s’infittì e incominciò a vorticare.
Bartolo pregustava il tepore della sua casetta in pietra, del camino rosseggiante, per lui più caro e prezioso di moglie e figli, che non aveva e di cui nemmeno gli importava.
Emise un intenso sospiro verso il cielo prima di deglutire, insolitamente intimorito.
No, non poteva farcela. Doveva trovarsi un rifugio o almeno un riparo. Tra poco sarebbe diventato buio e la tempesta si stava conclamando.
Conosceva bene la zona. Ordinò i pensieri, valutò le scarse possibilità di mettersi al sicuro.
Gli venne in mente che lì vicino c’era una grotta. Per raggiungerla bastava deviare di poco il percorso e risalire fino a metà il lieve pendio di una montagna, dove alla sua destra l’avrebbe individuata. Così sarebbe scampato a quella notte di tregenda.
Fermò il cavallo per meglio orientarsi, quindi lo incitò a riprendere il galoppo.
Trovò ciò che cercava.
La grotta aveva un’apertura elevata e abbastanza ampia da ingoiare lui e il cavallo.
Scese dalla groppa per controllare che l’interno non accogliesse ospiti sgraditi. Era grande, vuota, asciutta, davvero un magnifico rifugio, illuminato a sufficienza dalla bocca d’ingresso. Qua e là si scorgevano dei rami secchi, pezzi di legno bruciacchiati, pietrisco. Qualcuno ne aveva usufruito, forse per un motivo analogo.
Uomo e cavalcatura entrarono nel grembo.
Bartolo prese e sistemò la sella del cavallo per terra. Poi con le briglie assicurò l’animale ad uno spuntone di roccia che si trovava in fondo alla grotta.
Intanto fuori la tempesta di neve non concedeva tregua.
La cavità e forse l’accesso producevano uno strano gioco di rumori; a tratti li ampliavano e ne trasformavano i toni, trasfigurandoli in voci e lamenti somiglianti a quelli umani.
Ma il cacciatore non era un tipo impressionabile. Osservava, ne prendeva atto, e poi si spolverava i pensieri prima che si stabilizzassero in paure, come quando con un gesto della mano intendeva nettarsi la giacca.
A metà della grotta, a ridosso di una parete, dispose delle pietre, alcuni di quei rami e pezzi di legno, per assemblarli in modo che potessero sostenere un piccolo falò, che riuscì ad accendere con relativa facilità, sapendo come far scaturire preistoriche scintille.
Tornò all’ingresso e guardò fuori. Se non ci fosse stato il rumore della tempesta, tutto quel bianco poteva essere scambiato per il Nulla.
Meglio bivaccare accanto al fuoco. Si sedette sull’arcione a gambe incrociate.
- Come tiene compagnia il fuoco. - rifletté. - Quanti pensieri prende e dona.
Gli veniva da appisolarsi. Ma qualcosa lo tratteneva. Così ogni tanto, al pari di un cavallo, scuoteva la testa per scacciare la sonnolenza.
Il tempo pareva immobile, finché la sua ultima resistenza non lo abbandonò e Bartolo non piombò in un sonno pieno lasciandosi scivolare da quel sedile e appoggiandovi la testa.
Mentre il vento ululava e sbatteva qualsiasi cosa potesse causare rumore.
D’un tratto si palesò un tramestio, accompagnato da una specie di grugnito. Essendo diverso da tutti gli altri rumori, risaltava come fosse una canna tonante.
L’uomo si svegliò e d’istinto imbracciò la doppietta posta al suo fianco.
Gli occhi abituati allo scuro e i lampi del falò ancora pimpanti inquadrarono l’origine del nuovo rumore: un lupo di grossa stazza lo stava fissando.
Degli occhi gialli, fosforescenti, lo acchiapparono. E i due si confrontarono con la mente.
Bartolo alzò il percussore, posizionò l’indice sul grilletto e si apprestò a mirare.
Anche gli occhi del visitatore lo stavano mirando.
Ma entrambi furono disarmati da un qualcosa di indecifrabile. L’uomo si ritrovò dentro lo sguardo dell’animale. Non vide violenza né voglia di uccidere. Il lupo stava correndo assieme ai suoi simili; da capo branco li conduceva verso la salvezza, li difendeva dai pericoli. E ululava le sue preghiere alla luna, con l’orgoglio di vivere in gola e l’impotenza della fame.
Malgrado la temperatura circostante Bartolo iniziò a sudare, sentendosi in balia di un qualcosa che non riusciva a comprendere. Non lo confortava imbracciare il fucile.
L’animale mugolò e si avviò lentamente verso un canto, sul lato opposto al cacciatore. Zoppicava. Forse era ferito, oppure vecchio e malato.
No, non doveva temere alcun pericolo, e la grotta aveva spazio sufficiente per entrambi.
Il cacciatore si sentiva però in strana sintonia con quell’animale. Ne percepiva le sensazioni, i battiti del cuore. Sapeva che stava soffrendo. Si alzò e prese dalla sacca quella coppetta di metallo che si portava dietro per versarci del caffè quando tra una battuta e l’altra bivaccava, e la riempì di neve che fece sciogliere al fuoco.
Si avvicinò all’animale: ansimava, e volse appena la testa verso di lui perché gli mancava la forza.
L’uomo lo aiutò e gli porse la coppetta d’acqua, senza potersi sottrarre a quello sguardo che tracimava dall’inabilità del corpo.
Il lupo bevve. Non c’era altro da fare, ormai.
Bartolo se ne tornò al suo posto e si addormentò.
Tutto passa. Passò la notte.
Un bagliore glaciale si sparse a chiazze nella grotta. Era giunto il mattino.
Impossibile non svegliarsi per chi lo potesse.
Il cacciatore si alzò. Dette un’occhiata al lupo. Sapeva che lo avrebbe trovato senza più il respiro.
Prese le sue cose, sciolse e risistemò il cavallo. Uscì.
Il bianco parve inghiottirlo, ma lui conosceva la via del ritorno. Ingollò un bel sorso di acquavite e si avviò.
A mano a mano qualche colore affiorava dalla neve. Scheletrici alberi gli erano quasi di conforto. Finché non apparve la sagoma della sua casa. E non solo.
Vicino c’era qualcosa … di galoppo in galoppo mise a fuoco: il cervo. Il suo cervo!
- Stavolta non mi scappi! - esclamò.
La distanza era quella giusta, l’animale fermo.
Puntò il fucile, aggiustò la mira e … non sparò. Rumoreggiò affinché si dileguasse.
Che gli stava succedendo? Un cacciatore che non sparava. E ciò si era ripetuto per ben due volte nell’arco di poco tempo.
Aprì il cancello per accedere al suo podere. Sistemò nella stalla il cavallo, adoperandolo del necessario. Quindi entrò in casa.
Casa, dolce casa. Si sentiva stanco, tanto.
Accese il camino e si stravaccò sulla sua fedele sedia a dondolo.
A quel che c’era da fare avrebbe pensato dopo. Ora aveva sonno … tanto sonno.
Si addormentò. Sognò di valli, lupi, cervi, e di chissà che cos’altro … quando non ci si sveglia più.
Difficile far desistere Bartolo, il cacciatore, quando si metteva in testa una cosa. E quella volta si era incaponito a inseguire un cervo. Come ipnotizzato, non aveva guardato in faccia né tempo né stagione.
Voleva averlo, quel cervo, scuoiarlo e cibarsene. Dopodiché, ne avrebbe impagliato la parte superiore per creare “un’opera d’arte” da appendere al muro in compagnia con le altre, a testimonianza delle sue imprese. Ma si era spinto troppo avanti. E sfuggitogli il cervo, sparito come fosse stato un fantasma, ora se ne stava tornando indietro in groppa al suo cavallo.
Malgrado il disappunto, aveva compreso che doveva interrompere l’inseguimento e rincasare. Il cielo incredibilmente bianco e uno strano vento non promettevano nulla di buono. Ne riconosceva l’odore e l’atmosfera. Tra poco si sarebbe scatenata una tempesta di neve.
Doveva sbrigarsi.
Rigido sul destriero come un El Cid sconfitto, imbacuccato e con la doppietta a tracolla, cavalcava veloce per quanto potesse. Il profilo del suo volto pareva una roccia scolpita, che in sintonia col moto del galoppo s’alzava e s’abbassava, disegnando duri ghirigori nell’aria ghiaccia.
Nel circondario l’aria illividiva. Caddero i primi fiocchi, in quel pomeriggio che inoltrava all’altro versante del giorno. Da lì il bianco elemento s’infittì e incominciò a vorticare.
Bartolo pregustava il tepore della sua casetta in pietra, del camino rosseggiante, per lui più caro e prezioso di moglie e figli, che non aveva e di cui nemmeno gli importava.
Emise un intenso sospiro verso il cielo prima di deglutire, insolitamente intimorito.
No, non poteva farcela. Doveva trovarsi un rifugio o almeno un riparo. Tra poco sarebbe diventato buio e la tempesta si stava conclamando.
Conosceva bene la zona. Ordinò i pensieri, valutò le scarse possibilità di mettersi al sicuro.
Gli venne in mente che lì vicino c’era una grotta. Per raggiungerla bastava deviare di poco il percorso e risalire fino a metà il lieve pendio di una montagna, dove alla sua destra l’avrebbe individuata. Così sarebbe scampato a quella notte di tregenda.
Fermò il cavallo per meglio orientarsi, quindi lo incitò a riprendere il galoppo.
Trovò ciò che cercava.
La grotta aveva un’apertura elevata e abbastanza ampia da ingoiare lui e il cavallo.
Scese dalla groppa per controllare che l’interno non accogliesse ospiti sgraditi. Era grande, vuota, asciutta, davvero un magnifico rifugio, illuminato a sufficienza dalla bocca d’ingresso. Qua e là si scorgevano dei rami secchi, pezzi di legno bruciacchiati, pietrisco. Qualcuno ne aveva usufruito, forse per un motivo analogo.
Uomo e cavalcatura entrarono nel grembo.
Bartolo prese e sistemò la sella del cavallo per terra. Poi con le briglie assicurò l’animale ad uno spuntone di roccia che si trovava in fondo alla grotta.
Intanto fuori la tempesta di neve non concedeva tregua.
La cavità e forse l’accesso producevano uno strano gioco di rumori; a tratti li ampliavano e ne trasformavano i toni, trasfigurandoli in voci e lamenti somiglianti a quelli umani.
Ma il cacciatore non era un tipo impressionabile. Osservava, ne prendeva atto, e poi si spolverava i pensieri prima che si stabilizzassero in paure, come quando con un gesto della mano intendeva nettarsi la giacca.
A metà della grotta, a ridosso di una parete, dispose delle pietre, alcuni di quei rami e pezzi di legno, per assemblarli in modo che potessero sostenere un piccolo falò, che riuscì ad accendere con relativa facilità, sapendo come far scaturire preistoriche scintille.
Tornò all’ingresso e guardò fuori. Se non ci fosse stato il rumore della tempesta, tutto quel bianco poteva essere scambiato per il Nulla.
Meglio bivaccare accanto al fuoco. Si sedette sull’arcione a gambe incrociate.
- Come tiene compagnia il fuoco. - rifletté. - Quanti pensieri prende e dona.
Gli veniva da appisolarsi. Ma qualcosa lo tratteneva. Così ogni tanto, al pari di un cavallo, scuoteva la testa per scacciare la sonnolenza.
Il tempo pareva immobile, finché la sua ultima resistenza non lo abbandonò e Bartolo non piombò in un sonno pieno lasciandosi scivolare da quel sedile e appoggiandovi la testa.
Mentre il vento ululava e sbatteva qualsiasi cosa potesse causare rumore.
D’un tratto si palesò un tramestio, accompagnato da una specie di grugnito. Essendo diverso da tutti gli altri rumori, risaltava come fosse una canna tonante.
L’uomo si svegliò e d’istinto imbracciò la doppietta posta al suo fianco.
Gli occhi abituati allo scuro e i lampi del falò ancora pimpanti inquadrarono l’origine del nuovo rumore: un lupo di grossa stazza lo stava fissando.
Degli occhi gialli, fosforescenti, lo acchiapparono. E i due si confrontarono con la mente.
Bartolo alzò il percussore, posizionò l’indice sul grilletto e si apprestò a mirare.
Anche gli occhi del visitatore lo stavano mirando.
Ma entrambi furono disarmati da un qualcosa di indecifrabile. L’uomo si ritrovò dentro lo sguardo dell’animale. Non vide violenza né voglia di uccidere. Il lupo stava correndo assieme ai suoi simili; da capo branco li conduceva verso la salvezza, li difendeva dai pericoli. E ululava le sue preghiere alla luna, con l’orgoglio di vivere in gola e l’impotenza della fame.
Malgrado la temperatura circostante Bartolo iniziò a sudare, sentendosi in balia di un qualcosa che non riusciva a comprendere. Non lo confortava imbracciare il fucile.
L’animale mugolò e si avviò lentamente verso un canto, sul lato opposto al cacciatore. Zoppicava. Forse era ferito, oppure vecchio e malato.
No, non doveva temere alcun pericolo, e la grotta aveva spazio sufficiente per entrambi.
Il cacciatore si sentiva però in strana sintonia con quell’animale. Ne percepiva le sensazioni, i battiti del cuore. Sapeva che stava soffrendo. Si alzò e prese dalla sacca quella coppetta di metallo che si portava dietro per versarci del caffè quando tra una battuta e l’altra bivaccava, e la riempì di neve che fece sciogliere al fuoco.
Si avvicinò all’animale: ansimava, e volse appena la testa verso di lui perché gli mancava la forza.
L’uomo lo aiutò e gli porse la coppetta d’acqua, senza potersi sottrarre a quello sguardo che tracimava dall’inabilità del corpo.
Il lupo bevve. Non c’era altro da fare, ormai.
Bartolo se ne tornò al suo posto e si addormentò.
Tutto passa. Passò la notte.
Un bagliore glaciale si sparse a chiazze nella grotta. Era giunto il mattino.
Impossibile non svegliarsi per chi lo potesse.
Il cacciatore si alzò. Dette un’occhiata al lupo. Sapeva che lo avrebbe trovato senza più il respiro.
Prese le sue cose, sciolse e risistemò il cavallo. Uscì.
Il bianco parve inghiottirlo, ma lui conosceva la via del ritorno. Ingollò un bel sorso di acquavite e si avviò.
A mano a mano qualche colore affiorava dalla neve. Scheletrici alberi gli erano quasi di conforto. Finché non apparve la sagoma della sua casa. E non solo.
Vicino c’era qualcosa … di galoppo in galoppo mise a fuoco: il cervo. Il suo cervo!
- Stavolta non mi scappi! - esclamò.
La distanza era quella giusta, l’animale fermo.
Puntò il fucile, aggiustò la mira e … non sparò. Rumoreggiò affinché si dileguasse.
Che gli stava succedendo? Un cacciatore che non sparava. E ciò si era ripetuto per ben due volte nell’arco di poco tempo.
Aprì il cancello per accedere al suo podere. Sistemò nella stalla il cavallo, adoperandolo del necessario. Quindi entrò in casa.
Casa, dolce casa. Si sentiva stanco, tanto.
Accese il camino e si stravaccò sulla sua fedele sedia a dondolo.
A quel che c’era da fare avrebbe pensato dopo. Ora aveva sonno … tanto sonno.
Si addormentò. Sognò di valli, lupi, cervi, e di chissà che cos’altro … quando non ci si sveglia più.
Racconto scritto il 18/12/2019 - 18:10
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Voto: | su 2 votanti |
Commenti
Grazie Anna Maria ... me l'ha suggerito la neve!
Ida Falconeri 21/12/2019 - 11:55
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Una conversione di uno stile di vita e di una visione della vita giusto in tempo prima di morire.
Racconto al sapore di favola!
Racconto al sapore di favola!
Anna Maria Foglia 20/12/2019 - 12:26
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Grazia e Rossella vi ringrazio per i vostri interessanti commenti.
Ida Falconeri 20/12/2019 - 09:34
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La natura, il rispetto per gli altri Esseri sono due principi fondamentali che rendono l'esistenza degna di essere vissuta. Quando iniziamo a rispecchiarci nel prossimo, magari lo stesso che avevamo fino a quel momento ritenuto inferiore o poco degno di considerazione, apriamo uno spunto di riflessione valido per noi stessi. Ci cerchiamo e ci diamo la possibilità di trovarci per raggiungere la pace.
Rossella P 19/12/2019 - 22:24
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Ho letto questo racconto ieri sera; l'incontro tra uomo e natura, quando è vissuto con intensità, ci restituisce il valore della vita, prima che sia troppo tardi.
Ben scritto e molto bella la storia!
Ben scritto e molto bella la storia!
Grazia Giuliani 19/12/2019 - 14:26
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Ho letto questo racconto ieri sera; l'incontro tra uomo e natura, quando è vissuto con intensità, ci restituisce il valore della vita, prima che sia troppo tardi.
Ben scritto e molto bella la storia!
Ben scritto e molto bella la storia!
Grazia Giuliani 19/12/2019 - 14:26
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Grazie Leo per aver avuto la costanza di leggere questo mio racconto. Invero lungo per il web.
La tua interpretazione è ottima.
La tua interpretazione è ottima.
Ida Falconeri 19/12/2019 - 08:12
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Quando si capisce qualcosa della vita, qualcosa di fondamentalmente naturale come il valore di ogni Essere e quindi anche di se stessi, allora, la visione del mondo cambia e chissà, forse è nel punto finale prima del Nulla la visione di quel biancore che neve non è.
Bartolo, alla fine, è entrato in quel bianco come il lupo prima di lui.
Bartolo, alla fine, è entrato in quel bianco come il lupo prima di lui.
Leo Pardiss 18/12/2019 - 21:12
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