L’autore del Tomo 7:10
cap VII- La siepe rossa
Come ogni giorno verso l’ora di pranzo esco dallo spazio bianco del dorso e, costeggiando la gabbia di testo fino in fondo al margine di taglio, appendo ai risguardi di copertina il domino per il cappuccio, ma dalla parte bianca.
Come ogni giorno verso l’ora di pranzo il ragazzo col nodo alla cravatta allentato esce dal cancello e, costeggiando la siepe rossa fino in fondo alla stradina, raggiunge la cassetta della posta. Di solito si stiracchia prima di aprirla, poi se ci sono dentro bollette sbuffa solo un po’.
Se invece è vuota, sbuffa solo un po’.
E rientra con passo sgraziato, come se avesse un’ala buona e l’altra da cucire.
Oggi ci ha trovato una lettera, e sbuffa giusto quel po’ per darsi sempre lo stesso tono.
Su scritto il suo indirizzo, e a inchiostro rosso Rispedita al mittente.
Rincasa e appende all’attaccapanni il soprabito per il colletto, ma al rovescio.
Esce dall’abito elegante, che quando lo guarda è come se guardasse un fazzoletto candido ancora col profumo di miele… quell’impressione di entrare nel sogno di un altro.
Qualcuno lo chiama illusionista, altri trattenendo una lacrima.
Alla scrivania si accende una sigaretta, un fusto con un incendio ad una estremità e uno sciocco dall’altra. Non trova il tagliacarte, e senza sbuffare apre in qualche modo la lettera.
Eh! Eh! Origlio da sotto la carta tra la ruggine dell’ottone e il legno del manico, che tanto non mi trova. Non lo fa mai.
“…così ti scrivo per darti notizia che nei prossimi giorni ti farò visita e… avanti, è indubitabile che risponderai. E aprirai la dannata porta, perché non c’è tutta la vita. E la notte è sempre troppo corta.
Ho poche doti, e tra esse non certo la pazienza. Se la maniglia dovesse scendere, entrerò e prima che tu opponga resistenza sputerò d’un fiato parole, angosce e paure e tutto quanto.
Non verrò da te per aggiungere storia alla storia. E non ti dirò se ho pianto”.
Smette di leggere. Vorrebbe forse sbuffare, e sommessamente ride. In quella risata c’è tutta la sua solitudine.
Qualcuno sembra ricordare bene quando il padre la scrisse, era quasi un anno fa.
«Non comprendesti allora, non per colpa tua. Credo bastasse abituarsi a lui. A quella sua voce narrante alla quale non ha mai smesso di essere fedele», Samaèl.
Continua a leggere Simone “Quello sarà il momento: ti dirò di Don Angelo… è buona la persona, ha cuore il tuo prete. La domenica l’aspersorio ti acceca da quanto lo strofina, e l’ha alzato pietre su pietre quel suo oratorio. Ma non si può dire che sia un salice il tuo Francesco dei poveri, messo sotto pressione la voce balbetta e i suoi nervi somigliano alle alette dei passeri. Povero Don. Mi pregava di non farti visita, e mi dava il tuo indirizzo di casa. Recitava il rosario tra le mani sudate e mi parlava della sua Chiesa. Scordava le parole del Padre Nostro e picchiava il pugno come il babbo natale di una réclame lontana… Mi chiedeva di non cercarti, ripeteva Tra non molto è la Vigilia.
Teme forse che lo licenzi. Non farlo, ti ama…”.
«Tuo padre non chiedeva altro che un chiarimento al mio di Padre, che fosse disponibile a un confronto che potesse diventare scambio piacevole e rispettoso», ancora Samaèl.
Le foglie cadevano come a voler contare le briciole di follia tra quelle di terra ai bordi del cippo.
L’insegna Della Cannella non c’era, al suo posto il calco muffo.
Samaèl era inginocchiato, e ne era ricoperto fino al costato.
La lettera volò via con l'amarezza di una preghiera inascoltata.
Da sotto tutta quella carta, me tapino, non vi dirò chi ha pianto…
…forte almeno quanto
la paura per la morte
non rubare
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Una scrittura contorta, sofferta, ma che scivola nell'anima di chi legge. Poesia.
Magnifico:"... un fusto con un incendio a un'estremità e uno sciocco dall'altra..."
Solo tu sai scrivere così...Complimenti sempre Mastro Poeta... al prossimo capitolo