Una gondola d\'amore.
Non conosco le grandi città del nord, però visto che la trama di questo mese me lo chiede, sceglierò non la solita Milano da bere o la parigina Torino; no, sceglierò Venezia, lagunare e costosissima città.
Già perché è sempre stata la meta ambita dagli Italiani per il viaggio di nozze, dagli stranieri per le gondole ed il carnevale e degli attori per il Festival. A parte queste indicazioni che potevo risparmiarvi dal momento che chi non conosce Venezia, mi preme raccontarvi una storia vera, ripetuta e ripetitiva.
Un po’ anacronistica per i tempi d’oggi. Laureato in lettere e filosofia, ho sempre disdegnato l’insegnamento che mi avrebbe forse garantito un fisso ed un colore unico da indossare come vestito. Avete mai notato che gli insegnanti si riconoscono da lontano e quando qualcuno di essi ci viene presentato e si” autodenuncia” tale, prontamente esordiamo dicendo << lo immaginavo>>. Si, perché l’insegnante , a parte qualche filocomunista di alcuni decenni fa, ama farsi riconoscere con il suo stile impeccabile molto retrò da piccolo borghese o rispettoso del ruolo di educatore che lo contraddistingue . Molto filosofo e controcorrente , ho preferito andare a lavorare in una fabbrica che produce carta. Beh qualcosa almeno attinente al mio corso di studio c’era alla fine. La carta! Mi occupavo di seguire le fasi della telatura , insomma il momento della stenditura sulla tavola di fabbricazione. Lavoro inizialmente bello come bello era anche il profumo che mi circondava. Poi, la noia, la paranoia anzi . All’inizio ho parlato di anacronistico ed infatti mi riferivo al fatto che, di questi tempi, sputare nel piatto in cui si mangia è assurdo. Per destino bizzarro però ,il caso ha voluto che nel 2008 la crisi ,iniziata negli USA, e poi diffusasi in Europa ha condizionato un mondo intero ed anche l’azienda per la quale lavoravo che, stretta dalla morsa dei debiti ed i mancati introiti, ha dovuto chiudere e ben 130 famiglie nel tunnel della cassa integrazione. Sembra strano ma in quei momenti non realizzi subito l’accaduto . La garanzia di un minimo di aiuto statale, qualche risparmio faticosamente messo da parte, ti inducano quasi a credere che puoi farcela. Poi quel puoi diventa devi. Intanto passavano i giorni, le settimane e i mesi, crescevano impegni, bollette, fitto, bollo auto assicurazione e poi c’era… il quotidiano. Non aprivi più la porta perché credevi fosse il padrone di casa o qualche ufficiale giudiziario. Ormai chiusi i rapporti anche con la famiglia. La famiglia! Fin quando si sta sotto lo stesso tetto allora tutto va bene ma poi quando prendi la tua strada! Lasciamo perdere questo discorso. Una mattina mi svegliai in preda a forti dolori al petto, alle spalle ed al braccio sinistro. Una compagna di occasione, poveretta anche lei in mezzo ad una strada, disoccupata ed alla fine della cassa integrazione ,era lì , vicina . Corsa all’ospedale ed il riscontro; sindrome coronarica acuta. Ragazzi lo stress. Il vero cancro di oggi è solamente lui; lo stress e per colpa sua si mettono in fila come in una oscura passerella tutta una serie di malattie che nessuno immaginerebbe provenire dallo “stress”. Un’ angioplastica , otto pillole al giorno e a soli 40 anni la tua vita è già su un binario che sai già dove ti porterà e a quale velocità di vita. Che schifo. Perdi il rispetto della vita, di te stesso e della gente ed incominci ad avvitarti in un turbinio di emozioni , patimenti disprezzi incuranza ed indifferenza. Non sei più te stesso. Quella stronza era sparita e non rispondeva nemmeno più al telefono. Allora sopravvivi ma ne più ne meno di quanti, andando quotidianamente a lavoro svolgono, come degli automi, la propria giornata senza deviazioni motivanti alcune. Ciò malgrado ,sai che devi rimboccarti le maniche. Devi pur mangiare onorare debiti e fisco.
Non puoi passare per la Caritas o sperare nei sussidi puntualmente rinfacciati da questa categoria politica o altro. Fortunatamente un po’ di palestra e madre natura sono stati generosi con me e riuscii così ad inventarmi un lavoro. Poca cosa. Un mio carissimo amico gondoliere parlando con me, difronte ad una birra, una sera, mi disse<< ma perché non sfrutti la tua immagine?>> Ed ecco improvvisarmi il giorno dopo a fare l’aiuto gondoliere che segue i turisti nel salire e nello scendere dalla gondola ,svolgere qualche commissione per loro conto , accompagnarli in albergo o altrove. Non immaginavo che questo mi avrebbe potuto consentire di riacquistare una dignità ormai svuotata . Certo poca roba ma almeno riuscivo a sbarcare il mio lunario. Un sabato mattina, le undici circa, giornata un po’ uggiosa e dire umida, a Venezia, è un eufemismo, mi apprestavo a recarmi al bar Danieli per un caffè . Non feci nemmeno in tempo ad entrare, quando una vocina melliflua, soave educata mi disse << scusi, lei; si proprio lei>>
rivolgendosi a me. Allora mi girai e indicandomi le risposi << dice a me, sa ,stavo per prendere un caffè>> ed allora lei << si dicevo a lei perché l’ho vista scendere dalla gondola ed avrei gradito fare un giro turistico >>. Non so cosa mi sia preso, tanta filosofia e letteratura non mi hanno aiutato a superare lo stato d’animo che si era creato in quel momento e completamente preso da quel figurino, quell’aria da cerbiatto e quasi indifesa andavo avanti nella mia enfasi. Certo è da ebete parlare così di una donna, ma credetemi era proprio così Barbara, quello il suo nome.. La invitai a prendere il caffè con me e un cuore a mille significava il suo dolce “si”. Arturo, proprietario della gondola era tornato a casa per una commissione e quel giorno , per la mia prima volta, mi son vestito abusivamente da Caronte di quell’anima invece celestiale e paradisiaca. Cancellati i debiti, pagati gli affitti per i prossimi due anni, riavvitata la mia esistenza, moltiplicate le diottrie, impettito come un tacchino ma ,con guanti di velluto, non vedevo che lei. La gondola andava, andava mentre i nostri sguardi si incontravano prima di nascosto , poi spavaldamente fino a desiderarsi come immortalati in fotografie di Irving Haberman. Quel tour volgeva al termine ed eravamo solamente riusciti a scambiarci i numeri di telefono. Già quelli erano i numeri dei nostri cellulari!
Arturo nel frattempo rientrato, era li sul ciglio della banchina ad attendermi infuriato ma, dolcemente sorpreso. Ormai quasi settantenne , stanco, ancorché in ottime forze fisiche e mentali, aveva avuto modo di mettere da parte un bel gruzzolo. Due figli sposati ed andati via , una moglie stupenda ancora in attività con una merceria quasi in centro. Io… avevo la sensazione che qualcosa stesse per cambiare. Con uno sguardo non più fiero, quasi sottomesso, mi avvicinai ad Arturo per scusarmi ma lui, preso da eccesso di bontà e comprensione di terza età, mi pose un braccio sulla spalla e mi invitò al bar. Disse <<Sediamoci Antonio>> ; ah , scusate non mi sono presentato; Antonio è il mio nome, origini lucane. Continuando Arturo, mi propose di prendere la licenza da gondoliere offrendomi il suo mezzo che avrei potuto pagare di mese in mese con i primi guadagni. Mamma mia quanto costa una gondola! E lui << sai Antonio son vecio, mi non me va più de fatigar >> e spiegandomi la sua situazione economica e familiare piuttosto da benestante e ,quasi in colpa verso la vita che gli aveva dato tutto, decise di riscattarsi, non so per quale motivo, e riuscimmo così a stipulare una accordo nemmeno formalizzato per iscritto. Ero gasato a mille e non sapendo a chi dare la notizia per primo presi il cellulare e composi il 333xxxxxxx . <<Pronto>> la stessa melliflua voce di poche ore fa ed io << ti aspetto domani per un tour un po’ più lungo>>. Da quel giorno siamo ancora a bordo della gondola della nostra vita e con noi, Gerardo e Mattia, anche questi due nomi tipicamente del “Nord”. Buona fortuna ragazzi, la vita va sempre e comunque vissuta perché è …un dono di Dio.
Luciano Capaldo 07 luglio ‘15
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Complimenti infiniti Luciano.