Marisa, una splendida ragazza di 16 anni, fisico da modella, capelli castano chiari ed occhi verdi, un sorriso da far venire i brividi, sempre allegra e con una carica esplosiva. Frequentava il 3° anno di Ragioneria con voti altissimi, ma era praticamente prigioniera in casa; la sua bellezza ed il vivere in un quartiere come Marianella, alla periferia nord di Napoli, un quartiere difficile, dove la vita scorreva pericolosamente appesa ad un filo, la lotta tra le fazioni camorristiche per accaparrarsi i territori, erano all’apice della violenza, nessuno poteva uscire senza rischiare ogni giorno di essere coinvolto in una sparatoria, ma lei non aveva paura di questo. Usciva praticamente solo per andare a scuola, qualche volta si recava da qualche amica a studiare, ma era sempre accompagnata da Enzo, suo fratello maggiore che gli faceva da guardia del corpo, la proteggeva da tutto; anche i genitori erano apprensivi e protettivi, nessuna uscita serale, nemmeno il sabato o la domenica, ma per non farla sentire prigioniera in casa propria, non c’era un sabato o una domenica che non organizzasse una festa a casa. La maggior parte degli invitati erano i compagni di scuola, ma come spesso accade, gli amici degli amici riescono ad essere invitati; fu così che la conobbi.
Erano mesi che non mi andava di frequentare gente, tranne i miei 4 amici intimi, nonostante le forti pressioni, la sera preferivo restare a casa, un po’ di televisione, il gatto, il cane; quel mio carattere da lupo solitario si faceva sempre più pressante di sera, quindi le insistenze di Bernardo rimanevano nel vuoto.
Bernardo credeva di essere bello e di piacere alle donne solo perché magro, biondino con gli occhi azzurri, ma noi lo chiamavamo simpaticamente ‘o muorto (il morto), per il suo colorito pallido e le sue onnipresenti occhiaie, dovute senza dubbio a pratiche di autoerotismo per eccessiva esplosione ormonale; inoltre gli piaceva la musica disco ed a casa da solo faceva il deejay, ma si muoveva come un pezzo di legno, però era convinto di essere un ballerino provetto, per questo frequentava discoteche e case dove organizzavano feste da ballo; lui conosceva bene Marisa.
Oramai erano passati 6 mesi che non frequentavo la mia vecchia comitiva, dovetti lasciarla a malincuore, eravamo un gruppo molto unito, ci volevamo bene è questo per me era un problema. Non ho mai sopportato aprirsi per dare, ma davo senza aprirmi e questo comportava dei limiti interiori, ne ero consapevole e quando ci diplomammo, colsi l’occasione per lasciare il gruppo, ma era una cosa che avevo covato da tempo; per 20 dei 21 amici del gruppo scrissi dei profili, una pagina per ognuno di essi, una sorta di caricatura, solo per una non scrissi nulla, Chiara, la bella ragazza di cui ero forse innamorato, ma lei non ne voleva sapere, era appena uscita da una relazione che l’aveva scottata, me lo disse chiaramente “Roberto so perché mi guardi, devo dirti che non sono indifferente a tutto ciò, ma non voglio intraprendere adesso una nuova relazione, mi spiace, ma per il momento possiamo solo essere buoni amici, come lo siamo già”. Erano parole che già conoscevo, apprezzai il fatto che fu lei a dirmele, d’altronde era intelligente ed aveva capito da come la guardavo che non era solo per amicizia; non potevo frequentare un gruppo dove c’era Chiara, ad agosto, approfittando che non c’era nessuno dove ci riunivamo, portai il libro rilegato in portineria, sopra avevo scritto un bigliettino “So che non sarà facile per voi, come non lo sarà per me, ma le nostre strade adesso si divideranno, auguro a tutti voi una vita felice e perché no, qualche risata leggendo questo libro. Roberto”.
Le insistenze di Bernardo si fecero sempre maggiori, dato non aveva avuto successo nel farmi uscire, si fece aiutare dagli altri amici, Giovanni, Gennaro ed Umberto, c’era l’occasione adatta per uscire, una festa di compleanno dove erano invitate tante ragazze, sarebbe stato l’ideale, secondo loro, affinchè io ritrovassi lo smalto perduto, ma io non mi piegavo di un centimetro, non avevo proprio voglia di vedere tanta gente, ma una frase di Bernardo mi fece capitombolare “Dai Roberto, non puoi lasciarci soli anche questa volta, sei sempre il nostro Leader!!!”
Per loro ero un Leader, mentre io mi sentivo uno qualsiasi, si avevo sempre la battuta pronta, con le ragazze ci sapevo fare, ma ero anche presuntuoso e permaloso, non mi sentivo carismatico; ognuno di noi aveva un soprannome, il mio era Leader e forse era giunto il momento di dimostrarlo a me stesso di valere ed uscire di casa.
Arrivammo a casa di Marina verso le 18:30, erano già tutti li, ma noi eravamo come al solito in ritardo; Bernardo era come una donna, per prepararsi ci metteva un secolo, ma i risultati non erano esaltanti.
“Ehi ragazzi, ben arrivati” fu Marisa ad aprirci la porta, davanti a lei mi sentivo come un ranocchio davanti ad una principessa, tanto era bella, rimasi senza parole, ma fu lei a rivolgermela “Tu devi essere il famoso Roberto di cui mi ha parlato Bernardo, vero?”; “Famoso???” risposi con aria di sufficienza, tipica dei presuntuosi come me, “certo, sono mesi che me ne parla, quasi credessi che fosse una delle sue stronzate”; “allora lo conosci bene anche tu, sai che è il maestro in stronzate, comunque auguri e grazie per l’invito”. Le diedi due baci sulle guance, mi prese la mano e disse “vieni che ti devo presentare i miei”.
I nuovi arrivati dovevano per forza passare dai suoi, padre, madre e fratello, dovevano conoscerti, ti squadravano e poi se gli andavi a genio, potevi frequentare la loro casa, altrimenti entravi nella lista nera; quella sera non mi preoccupai affatto di fare una buona impressione, prima di entrare in casa già pensavo a quanto sarebbe durata la festa, per cui se non mi avessero più invitato, non me ne sarei fatto un problema, anzi!
Il salone dedicato alla festa era abbastanza grande da contenere comodamente una cinquantina di persone, c’erano 4 divani, uno per ogni lato e poi una serie di sedie, addobbato per un compleanno con festoni e palloncini, casse acustiche appese ai due angoli, luci psichedeliche e stroboscopiche, sembrava di essere in una mini discoteca, mi sedetti sul primo divano libero ed osservavo le persone ballare.
Faceva caldo in quella casa, il riscaldamento era condominiale e con tutte quelle persone che si muovevano, si avvertiva ancora di più, mi alzai e decisi di andare a fumarmi una sigaretta fuori al balcone.
Il balcone affacciava sul cortile interno e quindi mi girai verso il salone mentre facevo le mie boccate alla marlboro light, ovviamente comprate di contrabbando, date le ristrettezze economiche in cui versavo.
Mentre stavo fumando, ci fu uno dei primi break, fuori la disco e su un bel lento; come al solito ci fu il “panico” generale, gli uomini che restavano in piedi in mezzo al salone e le ragazze tutte a sedere, in attesa di essere invitate; una rimase in piedi, fino a quel momento non l’avevo notato, strano, dissi tra me e me, come avrò fatto a non vederla???
Una ragazza dal colorito più scuro, forse aveva fatto le lampade oppure era ancora l’abbronzatura presa al mare, capelli neri corvini con una coda tenuta con un nastro rosso, camicia e minigonna nera, come calze e scarpe, rossi invece come il fiocco nei capelli, orecchini, collana e lacci delle scarpe; mi soffermai proprio sulle scarpe, vestita così ci sarebbero volute delle scarpe, ma lei indossava scarpette da ginnastica e non capivo il motivo, poteva essere alta un metro e sessanta, l’avrebbero slanciata ed evidenziato il suo corpo niente male, invece la scelta di usare scarpette da ginnastica proprio non l’avevo capita.
Iniziavo a sentire un po’ di freddo, spensi la sigaretta e rientrai dentro, sembravo spaesato, ancora non mi ero abituato a stare con gli altri, eppure era un bell’ambiente, ma mi sedetti nuovamente sul divano, cercando con lo sguardo quella ragazza dai capelli neri.
La scorsi dopo un po’, ballava con un ragazzo molto carino, somigliava al cantante Scialpi, sia fisicamente che nel modo di vestirsi; dovevano conoscersi da parecchio, ballavano all’unisono e si guardavano spesso negli occhi, sorridendosi ed io ero quasi incantato per i loro movimenti sulle note di Billiie Jean di Michael Jackson: Billie Jean Is Not My Lover, She's Just A Girl Who Claims That I Am The One, But The Kid Is Not My Son, She Says I Am The One, But The Kid Is Not My Son; lei era semplicemente stupenda, adesso capivo perché indossava le scarpette, quelle movenze naturali, sui passi più difficili di Michael Jackson, formavano davvero una bella coppia, poi quando misero su i Kool & the gang, con:
Get down on it - c’mon and , Get down on it - if you really want it, Get down on it - if you gotta feel it, Get down on it - get down on it, Get down on it - come on and, Get down on it - if you really want it, Get down on it - you gotta feel it, Get down on it
Vederli ballare urtandosi le anche e girandosi intorno, mentre Bernardo cercava di attirarmi a ballare, indicandomi delle belle ragazze intorno a lui, ma io aspettavo prima di buttarmi nella mischia, non avevo le loro capacità e non volevo sfigurare; fortunatamente dopo una canzone che si ballava sapendosi semplicemente coordinarsi con gambe, bacino e braccia, Der Kommissar, alle prime note mi buttai nella mischie e proprio accanto a lei: Zwei drei vier one two three. Its easy to see, But its not that I don't care so, Cause I hear it all the time, But they never let you know.
Non mi sembrava vero, stavo ballando dopo 6 mesi, ero un tantino impacciato, ma sentivo la musica dentro e pur non vedendo quella ragazza quasi mai di viso, riuscivo a farmi trascinare dal suo pensiero:
Don't turn around, oh oh, Der Kommissar's in town, oh oh, Don't turn around, oh oh, Der Kommissar's in town, oh oh
Mi stavo scatenando, ma era venuto il momento di un altro break, le note erano quelle della colonna sonora de “il tempo delle mele”;
Met you by surprise, I didn't realize, that my life would change forever, saw you standing there, I didn't know I cared, there was something special in the air. Dreams are my reality, the only kind of real fantasy
illusions are a common thing, I try to live in dreams, it seems as if it's meant to be
mi giro e trovo lei, come al solito al centro della sala, ma lei si rivolge a me dicendomi “ma allora non sei finto, credevo fossi una sagoma su quell divano, immobile a fissure tutti”, “non è vero” risposi “fissavo solo te, ti va di ballare?”; non rispose, mise le sue braccia intorno al mio collo ed io alla sua vita, tenendo una gamba tra le sue e muovendoci piano, senza mai alzare i piedi da terra; amava ballare e sapeva che un lento se non fatto in quel modo non avrebbe avuto senso, bisognava sentire tutto il corpo dell’altra persona, avvertire il sangue scorrere nelle vene.
“mi chiamo Rosita, tu devi essere Roberto”
“sì, sono Roberto, ma come fate a conoscermi se è la prima volta che vengo qui?”
“Marisa è una mia compagna di classe, e Bernardo ci ha fatto una testa tanta parlandoci di te, sembra quasi di conoscerti bene”
“spero che te ne abbia parlato bene, senza le sue solite esagerazioni, a volte mi fa paura quando apre bocca”
“questo non lo so, quando ci conosceremo meglio te lo saprò dire, adesso posso solo dirti che…balli davvero bene, non mi hai pestato i piedi e mi fai sentire al sicuro tra le tue braccia”.
Non avevo voglia di andare ad altre feste, quella sera del compleanno di Marisa la considerai una parentesi, una bella parentesi, ma nulla di più, ritornai ad essere il lupo solitario di sempre, continuavo a rifiutare di divertirmi, forse non volevo attaccarmi ad altre persone che poi avrei puntualmente abbandonato.
Ma Bernardo non si dava per vinto, doveva per forza rompermi, era quasi il suo obiettivo principale, c’era la festa di Carnevale, non poteva andarci senza di me, non aveva idee su come mascherarsi ed era d’obbligo.
“Dai Roberto dobbiamo andarci, pensa a come vestirci, io non ho idee, ma tu hai sempre l’idea giusta”
Era un martello pneumatico, sapevo che non avrebbe smesso di rompere fin quando non gli avrei detto di sì; mancavano solo due giorni e bisognava sbrigarsi, trovare qualcosa che non costasse nulla, ma che sarebbe stata ad effetto.
“hai una T-Shirt ed un pantaloncino corto?” dissi a Bernardo “si”
“bene, allora metteremo quelli, un paio di calzini bianchi e scarpette, faremo i tipi da spiaggia, tanto da Marina si muore dal caldo”
Il giorno della festa si presentò alle 16 a casa, come se dovesse farsi un trucco da star, ci vestimmo, mettendoci sopra felpa e pantaloni da tuta, faceva freddo ed andammo da Marina.
“ciao ragazzi, da quanto tempo Roberto, ma tu sparisci sempre così? Dai entrate, ma questa è una festa in maschera e voi?”
Marina era vestita da cenerentola, stava benissimo, aveva messo un vestito della mamma vecchio ed un grembiule rosso, tutto macchiato a dovere davanti, calze bianche ed un berrettino rosso che le teneva i capelli, guance rosse su un fondotinta bianco come il latte.
“Guarda che siamo vestiti, solo che ci dobbiamo spogliare, possiamo andare in camera tua?”
“certamente, sapete dov’è!”
Ci cambiammo in fretta, in fondo dovevamo solo toglierci felpa e pantaloni; ovviamente eravamo in ritardo e tutti erano già arrivati e si stavano divertendo; entrammo in sala e ci sentimmo tutti gli occhi addosso.
Rosita era vestita di nero, ma questa volta con una blusa e pantaloni aderenti, scarpe con il tacco, capelli sciolti ed una mascherina nera sul viso, dei baffi da gatta disegnati sul viso, ci guardiamo per pochi ma intensi secondi, mi giro verso Bernardo e gli dico “vado a fumare una sigaretta”.
Fumo nervosamente sul balcone appoggiato alla ringhiera, non sento il freddo, eppure gambe e braccia di fuori, avverto qualcuno che mi sta dietro, ma non mi volto. “così tratti le ragazze tu, nemmeno un saluto dopo quasi due mesi?”
Mi volto di scatto “non ti avevo riconosciuto, pensavo non venissi oggi”
“davvero?” risponde tra lo stupita e l’incredula, “perché non sarei dovuta venire, per te, per me o per cosa?”
“semplicemente perché sei di un altro pianeta, è un quartiere che non ti appartiene, con gente che tranne per alcuni aspetti, non ha nulla a che vedere con te, ti ho osservata bene la prima volta, con quel ragazzo potresti condividere solo il ballo, con Marina siete compagne di classe, ma non di uscite, gli altri stanno allo stesso livello di quel ragazzo, chi ci potrebbe essere qui di interessante per una ragazza dei quartieri alti?”
Mi guardò per un attimo negli occhi senza dire nulla, mentre io facevo due tiri alla mia sigaretta, poi si tolse la mascherina e disse “forse un cretino che con due gradi, è venuto ad una festa in pantaloncini e t-shirt e se ne sta fuori al balcone a fumare?”
“non avevo soldi per vestirmi, non avevo tempo per pensare a qualcosa di meglio, forse non avevo nemmeno voglia, ma dovevo in qualche modo essere diverso dagli altri e l’unico modo economico per stupire era mettersi qualcosa che nessuno avrebbe pensato”
“Roberto” mi disse “tu devi sempre stupire tutti e vuoi che gli altri te lo facciano notare oppure ti basta stupire solo le persone a cui tieni?” poi continuò “sono passati quasi due mesi da quando abbiamo parlato e ballato ed io ho ancora i brividi, le tue mani poggiate sulla mia schiena, il calore del tuo corpo sul mio, i tuoi occhi quando sei andato via; se sono qui, se sto parlando con te, se sto morendo di freddo qui fuori…”
Improvvisamente il panico, gente che gridava, tutti che si accalcavano alla porta, un fuggi fuggi generale, era ritornato l’incubo, la scossa che ci segnò per la vita, quella delle 19:35 del 23 novembre 1980, si stava ripresentando, più leggera della precedente, ma la paura era molto più forte nella gente, non facemmo in tempo a dirci nulla, venimmo travolti nella marea di persone per strada e poi ognuno cercava un modo per raggiungere casa, per tranquillizzare i genitori, per avere notizie, scoppiò il caos…dove sei? Ho i tuoi occhi dentro i miei, le tue mani su di me ed una canzone: Met you by surprise, I didn't realize, that my life would change forever, saw you standing there, I didn't know I cared, there was something special in the air. Dreams are my reality, the only kind of real fantasy, illusions are a common thing, I try to live in dreams, it seems as if it's meant to be…
Ma tu….
Erano mesi che non mi andava di frequentare gente, tranne i miei 4 amici intimi, nonostante le forti pressioni, la sera preferivo restare a casa, un po’ di televisione, il gatto, il cane; quel mio carattere da lupo solitario si faceva sempre più pressante di sera, quindi le insistenze di Bernardo rimanevano nel vuoto.
Bernardo credeva di essere bello e di piacere alle donne solo perché magro, biondino con gli occhi azzurri, ma noi lo chiamavamo simpaticamente ‘o muorto (il morto), per il suo colorito pallido e le sue onnipresenti occhiaie, dovute senza dubbio a pratiche di autoerotismo per eccessiva esplosione ormonale; inoltre gli piaceva la musica disco ed a casa da solo faceva il deejay, ma si muoveva come un pezzo di legno, però era convinto di essere un ballerino provetto, per questo frequentava discoteche e case dove organizzavano feste da ballo; lui conosceva bene Marisa.
Oramai erano passati 6 mesi che non frequentavo la mia vecchia comitiva, dovetti lasciarla a malincuore, eravamo un gruppo molto unito, ci volevamo bene è questo per me era un problema. Non ho mai sopportato aprirsi per dare, ma davo senza aprirmi e questo comportava dei limiti interiori, ne ero consapevole e quando ci diplomammo, colsi l’occasione per lasciare il gruppo, ma era una cosa che avevo covato da tempo; per 20 dei 21 amici del gruppo scrissi dei profili, una pagina per ognuno di essi, una sorta di caricatura, solo per una non scrissi nulla, Chiara, la bella ragazza di cui ero forse innamorato, ma lei non ne voleva sapere, era appena uscita da una relazione che l’aveva scottata, me lo disse chiaramente “Roberto so perché mi guardi, devo dirti che non sono indifferente a tutto ciò, ma non voglio intraprendere adesso una nuova relazione, mi spiace, ma per il momento possiamo solo essere buoni amici, come lo siamo già”. Erano parole che già conoscevo, apprezzai il fatto che fu lei a dirmele, d’altronde era intelligente ed aveva capito da come la guardavo che non era solo per amicizia; non potevo frequentare un gruppo dove c’era Chiara, ad agosto, approfittando che non c’era nessuno dove ci riunivamo, portai il libro rilegato in portineria, sopra avevo scritto un bigliettino “So che non sarà facile per voi, come non lo sarà per me, ma le nostre strade adesso si divideranno, auguro a tutti voi una vita felice e perché no, qualche risata leggendo questo libro. Roberto”.
Le insistenze di Bernardo si fecero sempre maggiori, dato non aveva avuto successo nel farmi uscire, si fece aiutare dagli altri amici, Giovanni, Gennaro ed Umberto, c’era l’occasione adatta per uscire, una festa di compleanno dove erano invitate tante ragazze, sarebbe stato l’ideale, secondo loro, affinchè io ritrovassi lo smalto perduto, ma io non mi piegavo di un centimetro, non avevo proprio voglia di vedere tanta gente, ma una frase di Bernardo mi fece capitombolare “Dai Roberto, non puoi lasciarci soli anche questa volta, sei sempre il nostro Leader!!!”
Per loro ero un Leader, mentre io mi sentivo uno qualsiasi, si avevo sempre la battuta pronta, con le ragazze ci sapevo fare, ma ero anche presuntuoso e permaloso, non mi sentivo carismatico; ognuno di noi aveva un soprannome, il mio era Leader e forse era giunto il momento di dimostrarlo a me stesso di valere ed uscire di casa.
Arrivammo a casa di Marina verso le 18:30, erano già tutti li, ma noi eravamo come al solito in ritardo; Bernardo era come una donna, per prepararsi ci metteva un secolo, ma i risultati non erano esaltanti.
“Ehi ragazzi, ben arrivati” fu Marisa ad aprirci la porta, davanti a lei mi sentivo come un ranocchio davanti ad una principessa, tanto era bella, rimasi senza parole, ma fu lei a rivolgermela “Tu devi essere il famoso Roberto di cui mi ha parlato Bernardo, vero?”; “Famoso???” risposi con aria di sufficienza, tipica dei presuntuosi come me, “certo, sono mesi che me ne parla, quasi credessi che fosse una delle sue stronzate”; “allora lo conosci bene anche tu, sai che è il maestro in stronzate, comunque auguri e grazie per l’invito”. Le diedi due baci sulle guance, mi prese la mano e disse “vieni che ti devo presentare i miei”.
I nuovi arrivati dovevano per forza passare dai suoi, padre, madre e fratello, dovevano conoscerti, ti squadravano e poi se gli andavi a genio, potevi frequentare la loro casa, altrimenti entravi nella lista nera; quella sera non mi preoccupai affatto di fare una buona impressione, prima di entrare in casa già pensavo a quanto sarebbe durata la festa, per cui se non mi avessero più invitato, non me ne sarei fatto un problema, anzi!
Il salone dedicato alla festa era abbastanza grande da contenere comodamente una cinquantina di persone, c’erano 4 divani, uno per ogni lato e poi una serie di sedie, addobbato per un compleanno con festoni e palloncini, casse acustiche appese ai due angoli, luci psichedeliche e stroboscopiche, sembrava di essere in una mini discoteca, mi sedetti sul primo divano libero ed osservavo le persone ballare.
Faceva caldo in quella casa, il riscaldamento era condominiale e con tutte quelle persone che si muovevano, si avvertiva ancora di più, mi alzai e decisi di andare a fumarmi una sigaretta fuori al balcone.
Il balcone affacciava sul cortile interno e quindi mi girai verso il salone mentre facevo le mie boccate alla marlboro light, ovviamente comprate di contrabbando, date le ristrettezze economiche in cui versavo.
Mentre stavo fumando, ci fu uno dei primi break, fuori la disco e su un bel lento; come al solito ci fu il “panico” generale, gli uomini che restavano in piedi in mezzo al salone e le ragazze tutte a sedere, in attesa di essere invitate; una rimase in piedi, fino a quel momento non l’avevo notato, strano, dissi tra me e me, come avrò fatto a non vederla???
Una ragazza dal colorito più scuro, forse aveva fatto le lampade oppure era ancora l’abbronzatura presa al mare, capelli neri corvini con una coda tenuta con un nastro rosso, camicia e minigonna nera, come calze e scarpe, rossi invece come il fiocco nei capelli, orecchini, collana e lacci delle scarpe; mi soffermai proprio sulle scarpe, vestita così ci sarebbero volute delle scarpe, ma lei indossava scarpette da ginnastica e non capivo il motivo, poteva essere alta un metro e sessanta, l’avrebbero slanciata ed evidenziato il suo corpo niente male, invece la scelta di usare scarpette da ginnastica proprio non l’avevo capita.
Iniziavo a sentire un po’ di freddo, spensi la sigaretta e rientrai dentro, sembravo spaesato, ancora non mi ero abituato a stare con gli altri, eppure era un bell’ambiente, ma mi sedetti nuovamente sul divano, cercando con lo sguardo quella ragazza dai capelli neri.
La scorsi dopo un po’, ballava con un ragazzo molto carino, somigliava al cantante Scialpi, sia fisicamente che nel modo di vestirsi; dovevano conoscersi da parecchio, ballavano all’unisono e si guardavano spesso negli occhi, sorridendosi ed io ero quasi incantato per i loro movimenti sulle note di Billiie Jean di Michael Jackson: Billie Jean Is Not My Lover, She's Just A Girl Who Claims That I Am The One, But The Kid Is Not My Son, She Says I Am The One, But The Kid Is Not My Son; lei era semplicemente stupenda, adesso capivo perché indossava le scarpette, quelle movenze naturali, sui passi più difficili di Michael Jackson, formavano davvero una bella coppia, poi quando misero su i Kool & the gang, con:
Get down on it - c’mon and , Get down on it - if you really want it, Get down on it - if you gotta feel it, Get down on it - get down on it, Get down on it - come on and, Get down on it - if you really want it, Get down on it - you gotta feel it, Get down on it
Vederli ballare urtandosi le anche e girandosi intorno, mentre Bernardo cercava di attirarmi a ballare, indicandomi delle belle ragazze intorno a lui, ma io aspettavo prima di buttarmi nella mischia, non avevo le loro capacità e non volevo sfigurare; fortunatamente dopo una canzone che si ballava sapendosi semplicemente coordinarsi con gambe, bacino e braccia, Der Kommissar, alle prime note mi buttai nella mischie e proprio accanto a lei: Zwei drei vier one two three. Its easy to see, But its not that I don't care so, Cause I hear it all the time, But they never let you know.
Non mi sembrava vero, stavo ballando dopo 6 mesi, ero un tantino impacciato, ma sentivo la musica dentro e pur non vedendo quella ragazza quasi mai di viso, riuscivo a farmi trascinare dal suo pensiero:
Don't turn around, oh oh, Der Kommissar's in town, oh oh, Don't turn around, oh oh, Der Kommissar's in town, oh oh
Mi stavo scatenando, ma era venuto il momento di un altro break, le note erano quelle della colonna sonora de “il tempo delle mele”;
Met you by surprise, I didn't realize, that my life would change forever, saw you standing there, I didn't know I cared, there was something special in the air. Dreams are my reality, the only kind of real fantasy
illusions are a common thing, I try to live in dreams, it seems as if it's meant to be
mi giro e trovo lei, come al solito al centro della sala, ma lei si rivolge a me dicendomi “ma allora non sei finto, credevo fossi una sagoma su quell divano, immobile a fissure tutti”, “non è vero” risposi “fissavo solo te, ti va di ballare?”; non rispose, mise le sue braccia intorno al mio collo ed io alla sua vita, tenendo una gamba tra le sue e muovendoci piano, senza mai alzare i piedi da terra; amava ballare e sapeva che un lento se non fatto in quel modo non avrebbe avuto senso, bisognava sentire tutto il corpo dell’altra persona, avvertire il sangue scorrere nelle vene.
“mi chiamo Rosita, tu devi essere Roberto”
“sì, sono Roberto, ma come fate a conoscermi se è la prima volta che vengo qui?”
“Marisa è una mia compagna di classe, e Bernardo ci ha fatto una testa tanta parlandoci di te, sembra quasi di conoscerti bene”
“spero che te ne abbia parlato bene, senza le sue solite esagerazioni, a volte mi fa paura quando apre bocca”
“questo non lo so, quando ci conosceremo meglio te lo saprò dire, adesso posso solo dirti che…balli davvero bene, non mi hai pestato i piedi e mi fai sentire al sicuro tra le tue braccia”.
Non avevo voglia di andare ad altre feste, quella sera del compleanno di Marisa la considerai una parentesi, una bella parentesi, ma nulla di più, ritornai ad essere il lupo solitario di sempre, continuavo a rifiutare di divertirmi, forse non volevo attaccarmi ad altre persone che poi avrei puntualmente abbandonato.
Ma Bernardo non si dava per vinto, doveva per forza rompermi, era quasi il suo obiettivo principale, c’era la festa di Carnevale, non poteva andarci senza di me, non aveva idee su come mascherarsi ed era d’obbligo.
“Dai Roberto dobbiamo andarci, pensa a come vestirci, io non ho idee, ma tu hai sempre l’idea giusta”
Era un martello pneumatico, sapevo che non avrebbe smesso di rompere fin quando non gli avrei detto di sì; mancavano solo due giorni e bisognava sbrigarsi, trovare qualcosa che non costasse nulla, ma che sarebbe stata ad effetto.
“hai una T-Shirt ed un pantaloncino corto?” dissi a Bernardo “si”
“bene, allora metteremo quelli, un paio di calzini bianchi e scarpette, faremo i tipi da spiaggia, tanto da Marina si muore dal caldo”
Il giorno della festa si presentò alle 16 a casa, come se dovesse farsi un trucco da star, ci vestimmo, mettendoci sopra felpa e pantaloni da tuta, faceva freddo ed andammo da Marina.
“ciao ragazzi, da quanto tempo Roberto, ma tu sparisci sempre così? Dai entrate, ma questa è una festa in maschera e voi?”
Marina era vestita da cenerentola, stava benissimo, aveva messo un vestito della mamma vecchio ed un grembiule rosso, tutto macchiato a dovere davanti, calze bianche ed un berrettino rosso che le teneva i capelli, guance rosse su un fondotinta bianco come il latte.
“Guarda che siamo vestiti, solo che ci dobbiamo spogliare, possiamo andare in camera tua?”
“certamente, sapete dov’è!”
Ci cambiammo in fretta, in fondo dovevamo solo toglierci felpa e pantaloni; ovviamente eravamo in ritardo e tutti erano già arrivati e si stavano divertendo; entrammo in sala e ci sentimmo tutti gli occhi addosso.
Rosita era vestita di nero, ma questa volta con una blusa e pantaloni aderenti, scarpe con il tacco, capelli sciolti ed una mascherina nera sul viso, dei baffi da gatta disegnati sul viso, ci guardiamo per pochi ma intensi secondi, mi giro verso Bernardo e gli dico “vado a fumare una sigaretta”.
Fumo nervosamente sul balcone appoggiato alla ringhiera, non sento il freddo, eppure gambe e braccia di fuori, avverto qualcuno che mi sta dietro, ma non mi volto. “così tratti le ragazze tu, nemmeno un saluto dopo quasi due mesi?”
Mi volto di scatto “non ti avevo riconosciuto, pensavo non venissi oggi”
“davvero?” risponde tra lo stupita e l’incredula, “perché non sarei dovuta venire, per te, per me o per cosa?”
“semplicemente perché sei di un altro pianeta, è un quartiere che non ti appartiene, con gente che tranne per alcuni aspetti, non ha nulla a che vedere con te, ti ho osservata bene la prima volta, con quel ragazzo potresti condividere solo il ballo, con Marina siete compagne di classe, ma non di uscite, gli altri stanno allo stesso livello di quel ragazzo, chi ci potrebbe essere qui di interessante per una ragazza dei quartieri alti?”
Mi guardò per un attimo negli occhi senza dire nulla, mentre io facevo due tiri alla mia sigaretta, poi si tolse la mascherina e disse “forse un cretino che con due gradi, è venuto ad una festa in pantaloncini e t-shirt e se ne sta fuori al balcone a fumare?”
“non avevo soldi per vestirmi, non avevo tempo per pensare a qualcosa di meglio, forse non avevo nemmeno voglia, ma dovevo in qualche modo essere diverso dagli altri e l’unico modo economico per stupire era mettersi qualcosa che nessuno avrebbe pensato”
“Roberto” mi disse “tu devi sempre stupire tutti e vuoi che gli altri te lo facciano notare oppure ti basta stupire solo le persone a cui tieni?” poi continuò “sono passati quasi due mesi da quando abbiamo parlato e ballato ed io ho ancora i brividi, le tue mani poggiate sulla mia schiena, il calore del tuo corpo sul mio, i tuoi occhi quando sei andato via; se sono qui, se sto parlando con te, se sto morendo di freddo qui fuori…”
Improvvisamente il panico, gente che gridava, tutti che si accalcavano alla porta, un fuggi fuggi generale, era ritornato l’incubo, la scossa che ci segnò per la vita, quella delle 19:35 del 23 novembre 1980, si stava ripresentando, più leggera della precedente, ma la paura era molto più forte nella gente, non facemmo in tempo a dirci nulla, venimmo travolti nella marea di persone per strada e poi ognuno cercava un modo per raggiungere casa, per tranquillizzare i genitori, per avere notizie, scoppiò il caos…dove sei? Ho i tuoi occhi dentro i miei, le tue mani su di me ed una canzone: Met you by surprise, I didn't realize, that my life would change forever, saw you standing there, I didn't know I cared, there was something special in the air. Dreams are my reality, the only kind of real fantasy, illusions are a common thing, I try to live in dreams, it seems as if it's meant to be…
Ma tu….
Opera scritta il 18/02/2015 - 15:03
Da Masaniello _
Letta n.1294 volte.
Voto: | su 3 votanti |
Commenti
Bellissimo racconto, la musica lo pervade e la realtà lo conduce alla descrizione dell'impotenza dell'uomo di fronte a certi avvenimenti ed
allo scatenarsi dei sentimenti passando dal divertimento all'angoscia.
Bei tempi quelli della Kool & the gang !!!
Bravissimo
allo scatenarsi dei sentimenti passando dal divertimento all'angoscia.
Bei tempi quelli della Kool & the gang !!!
Bravissimo
giancarlo gravili 19/02/2015 - 16:30
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Bellissimo racconto, la musica lo pervade e la realtà lo conduce alla descrizione dell'impotenza dell'uomo di fronte a certi avvenimenti ed
allo scatenarsi dei sentimenti passando dal divertimento all'angoscia.
Bei tempi quelli della Kool & the gang !!!
Bravissimo
allo scatenarsi dei sentimenti passando dal divertimento all'angoscia.
Bei tempi quelli della Kool & the gang !!!
Bravissimo
giancarlo gravili 19/02/2015 - 16:30
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Grazie Focus, pensavo fosse un pò lungo, ma dato che ad un veterano come te è piaciuto....
Masaniello _ 19/02/2015 - 10:53
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Beh, un bel racconto, ben scritto...la parte che riguarda "lo stupire" mi ha ricordato la mia poesia Stupirmi voglio...forse per questo m'è piaciuto. Ma tutta la narrazione è buona...ciaociao.
. Focus 19/02/2015 - 10:49
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