Stringeva il volante, lo stringeva così forte da riuscire a torcerlo con le mani negli spostamenti del polso, mentre seguiva le linee bianche che sempre più velocemente scorrevano sotto le ruote, curva dopo curva, marcia dopo marcia, non vedeva nemmeno più la strada, stava guidando nella sua anima, ed era sempre più rabbioso. Accelerava sulle sconfitte, sgommando su chi lo aveva deluso, ubriaco di un cupo e tetro dolore che gli annebbiava la mente. Una voce gli sussurrava alle orecchie: -Rallenta, Rallenta che ci ammazziamo così-
Ma lui non sentiva, o non ascoltava, sentiva soltanto l'eco del rumore delle porte che gli erano state sbattute in faccia, vedeva solo la sporcizia che aveva lasciato chi, dopo averlo attraversato, aveva abbandonato dentro di lui. Sentiva pulsare nel sangue ogni pugno non dato, ogni "no" non pronunciato, ogni carezza che gli era stata negata, ogni affetto che una vita impietosa gli aveva strappato di mano, ogni sopruso che aveva dovuto subire, e intanto metteva un'altra marcia.
Correva come una scheggia impazzita nel buio, spegnendo i fari, e di colpo un muro gli si parò davanti.
Ma lui non vide quel muro, non vedeva un muro, vedeva solo il suo dolore e la sua voglia di distruggerlo scagliandocisi contro, così chiuse gli occhi, ed esalando il suo ultimo respiro accelerò.
Essere ubriachi di rabbia per non avere saputo reagire, ribellarsi a tante cattiverie, lasciare che gli altri a poco a poco ti distruggono l'anima e così pensi che forse è meglio annientarsi per non soffrire più.Un racconto molto crudo. Ciao
Anna Rossi 10/09/2015 - 04:37
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