Stelle cadenti
È molto bello fare passeggiate perchè sembra quasi di vivere una timida primavera con la differenza che anziché raccogliere margherite facciamo incursioni nelle vicine campagne fino ad arrivare in riva al mare per raccogliere le bacche di mirto con cui ogni famiglia si adopera a fare il liquore in una serie di ricette, tutte migliori.
Conoscendo delle ottime aziende che fanno il liquore come se fosse fatto in casa, ho smesso da tempo di competere con queste distillerie casalinghe e raccolgo le bacche per fare un delicato semifreddo che ormai non posso far mancare ai miei clienti.
Da bambina sognavo anch'io di appiccicare il naso al vetro della finestra per vedere Babbo Natale passare per le strade avvolto dai fiocchi di neve con le galoppanti renne, così come vedevo le immagini nel mio libro di lettura ed in televisione, ma restavo costantemente delusa e con le maniche della maglia nuova tirate fin sopra i gomiti a contrastare la giornata tiepida.
Ed è grazie a questo clima che mi appresto a raccontarvi di una serata particolare, una vigilia di Natale di tanti anni fa.
Allora avevo due famiglie, quella di origine ed il gruppo scout, dove feci il mio ingresso a sette anni e lasciai da donna adulta, trascorrendone ventiquattro in cui completai tutto l'iter: da sorella minore e spensierata divenni sorella maggiore, cercando di non far nascere troppi pensieri nelle ragazze e nei ragazzi che oggi sono madri e padri di famiglia.
Buona parte del tempo libero era dedicato alle attività del gruppo e quello che restava era dedicato agli amici che erano praticamente le stesse persone che ne facevano parte.
Mia madre lo diceva sempre che a fare troppe capriole insieme prima o poi ci si scontra, e così infatti sono andate le cose. Dopo. Ma non è di quello che voglio parlare.
Era la sera di un 24 dicembre di circa vent'anni fa ed io, Marisa, Elena, Giulia e Francesco ci ritrovammo dopo la novena spaesati, a non voler rompere le file, a voler stare ancora insieme a ridere, a programmare e a volerci bene.
All'epoca nessuno di noi aveva anelli da farsi infilare all'anulare nella notte Santa davanti a suoceri tomografi e a nessuno di noi andava di restare a casa ad aiutare la propria madre a spargere burrosa besciamella sulla lasagna da infornare l'indomani mentre i nostri padri, smessi gli abiti da campagna, avrebbero sostato davanti al caminetto a sorvegliare che la cottura del porcetto proseguisse a regola d'arte.
Mentre tutti si apprestavano a rientrare a casa noi ci trovammo alla fine da soli seduti sul gradino della
chiesa con nessuna intenzione di rientrare a casa, e così dissi “Dai, organizziamo qualcosa!”
Le nostre esigenze erano molto semplici, ci accontentavano di poco e le idee non ci mancavano.
A quell'ora ormai tutti i negozi erano chiusi e cosi accompagnai i miei amici a casa con la promessa che sarei passata di li a mezz'ora a riprenderli.
Fu così, che stipati nella mia 112 special bianca, ognuno con il suo piccolo bagaglio, ci dirigemmo verso il vicino mare.
Quell'auto era uno spadino ed io allora ero parecchio spavalda per cui il mio piede destro era costantemente pigiato sull'acceleratore, cosa che a pensarci oggi, divenuta ormai una donna fin troppo prudente, mi fa venire i brividi. All’epoca volevo diventare pilota di rally ma mi comportavo come se già lo fossi.
Un giorno il mio povero zio Giuseppe che tre anni fa ha dato la buonanotte in famiglia per non svegliarsi più, mi disse che avrebbe dovuto rottamarla per comprarsi la Fiat Uno, ma se l’avessi voluta me l’avrebbe regalata, “Va solo pulita” mi disse.
Ma certo che l'avrei pulita, che considerazione strana che aveva fatto!
In realtà mio zio usava la 112 come un trattore in mezzo alla vigna ed agli ulivi caricandola durante la vendemmia e la raccolta delle olive, per cui io e due mie cugine armate di alcol, stracci, sapone, cera ed aspirapolvere impiegammo ben tre ore a toglierle l'aria di campagna e renderla un'auto da piccola e rustica star.
E quindi, dicevo, stipati in quell'auto io, Marisa, Elena, Giulia e Francesco raggiungemmo quel vicino tratto di pineta a ridosso del mare adornato di corbezzoli e cisto, dove la sabbia bianchissima lasciava spazio a bassi scogli di porfido rosso. Cercata un po’ di legna con le torce facemmo il falò e ci sistemammo stretti attorno mangiando le cose che ognuno di noi aveva portato da casa: salsicce, pecorino, pane carasatu e del vino rosso, tutto fatto in casa naturalmente.
Le fiamme del fuoco ci scaldavano il viso e facevano luccicare i nostri occhi che apparivano ancor più grandi e più profondi, esattamente come il percorso di vita che ci univa.
Non stoviglie pregiate, non pietanze ricercate ma un semplice fuoco a scaldare i nostri cuori, a far sgorgare nella massima intimità le parole dalla nostra anima e le confidenze con una smisurata fiducia.
Il fuoco, così semplice ma così sacro, così capace di squarciare e fondere con il suo calore anche il carattere più corazzato o spigoloso e di far sgorgare dal profondo le emozioni più nascoste e più vere come dorato e fluido miele, per quella cena particolare fu la nostra tavola, imbandita di semplicità e di fratellanza.
Mangiammo anche il panettone, spezzandolo come Gesù divise il pane fra i suoi amici, a suggellare ancora una volta quel legame speciale, che allora credevamo indistruttibile e brindammo con dello spumante che prelevai fra le tante bottiglie, dimenticate ed impolverate in cantina e probabilmente risalente agli anni '70.
La serata era magicamente meravigliosa, tiepida, senza vento e senza nuvole e le nostre parole e le nostre emozioni erano dolcemente accompagnate dalla lenta risacca, così discreta e placida come una mamma culla il suo bambino e dai profumi della macchia mediterranea che disposta a mezzaluna sembrava proteggerci dalle brutture del mondo.
Le luminose fiamme lasciarono il posto alle braci e noi ci distendemmo vicini ad osservare il cielo che quella sera era così limpido da permetterci di trovare le varie costellazioni e fu in quel momento che ci rendemmo conto che nel cielo comparivano dei veloci ricami dorati, le saette delle stelle cadenti che sembravano addobbare la cupola del nostro teatro in quella notte veramente speciale, una notte di Natale così semplice e così ricca che a distanza di anni e nonostante come siano andate a finire le cose, la ricordo come un grande regalo, come il prezioso privilegio di aver vissuto dei momenti memorabili e di aver gustato una cena particolare e dei momenti prodigiosi.
Non ho più avuto occasione di parlare con quei miei amici di questa cena particolare, ma so che è rimasta nel cuore di noi tutti, ma soprattutto spero che i desideri espressi alla vista della scia delle stelle cadenti si siano avverati o che perlomeno abbiano regalato la forza necessaria ad opporsi alla delusione.
Millina Spina, 13 Dicembre 2015
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Quando scrivo racconto di me e delle persone che ho amato e che m'hanno amata rendendomi la persona straordinariamente normale che sono oggi. Ed è in questa normalità che ho capito che le emozioni degli esseri umani sono simili, a volte anche i ricordi, collocati in un certo contesto, sono i medesimi, ed è bello essere in grado di renderli parole e sensazioni fruibili da tutti.
Aspettiamo dunque che racconti a noi tutti qualcosa scritta con l'inchiostro della nostalgia in una trama che risulta solitamente intrisa d'amore e che appassiona il lettore.
La ringrazio di vero cuore per le sue parole e per averci dato la possibilità di condividere i sentimenti, esattamente come tra sorelle e fratelli in una grande famiglia e auguro un felice Natale a lei e ad i suoi cari.
Sì, il Natale vissuto con la massima semplicità condividendo il tozzo di pane e le emozioni sotto un cielo stellato, è a mio avviso uno dei grossi privilegi di cui ho goduto. E che non dimenticherò mai.
Grazie per aver apprezzato questi miei ricordi.
Buona giornata!
Buonanotte.
Buona giornata!
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