La serratura scattò e la porta iniziò a spalancarsi. A tastoni cercò l’interruttore e lo pigiò: tre palpiti e poi il bagliore della luce artificiale squarciò il buio e il silenzio di quella stanza.
“Finalmente”, disse lei tra se.
Ma lei non sapeva che lui si trovava lì, nascosto nell’angusto ripostiglio. Negli ultimi giorni non aveva fatto altro che seguirla, per cercare di precedere con precisioni i suoi movimenti, finché non avesse trovato il modo di congiungere le orbite delle loro strade. E ora c’era riuscito, lì in quello spazio di pochi metri quadrati. Solo loro due e nello stesso momento. Ma lei questo non lo sapeva, nessuno lo sapeva e nessuno l’avrebbe sentita urlare. Era ossessionato da quella ragazza, fin dal primo momento in cui i suoi occhi si erano posati su quell’esile collo, desiderando di possederlo: con cattiveria, affondando i denti nella pelle calda, e la lingua umida…
A sincerarsi dell’assenza di falle, velocemente richiamò alla mente ogni punto di quel piano perverso.
Marta si avvicinò al primo cassetto e fece come per aprirlo. Chiuso. “Strano”, pensò. Provò con quello successivo: chiuso anche quello. Sbuffò seccata e con irritazione colpì col dorso della mano i piccoli cassetti usati per riporre i cambi d’abito, uno dopo l’altro, in modo che se ce ne fosse stato uno aperto, si sarebbe mosso per contraccolpo. Chiuso chiuso chiuso chiuso chiuso. Arrivò fino in fondo alla stanza, all’ultimo, quello attiguo al ripostiglio delle scope. Quando rimbalzò indietro, sentì come un brivido, nulla più. Vi poggiò dentro la borsa. Le finestre polverose e dalle inferriate arrugginite si affacciavano su una notte senza luna. E c’era un silenzio inquietante, l’unico suono appena percepibile era il ronzio del neon che a stento la illuminava da sopra, lasciando il resto nell’oscurità. Quella squallida palestra abbandonata era il solo posto in cui poteva affinare la sua tecnica di ballerina. Dopo che una lieve increspatura amareggiata solcò il suo viso, iniziò a sbottonarsi la camicetta -il cuore di lui allora prese a battere con violenza. La fece scivolare giù dalla schiena bianca, sulle curve sottili e aggraziate del corpo, poi un lampeggiare di lunghi capelli rossi ricadde su quella valle immacolata. Inarcò la schiena per aprire la zip della gonna allacciata di lato, rivelando così il profilo dei seni. Lui dovette impedire a se stesso di ansimare, per evitare che lei si accorgesse che lì c’era qualcosa che non andava. Con rapidi movimenti si slacciò la minigonna.
Predatore, era adesso in preda dei suoi istinti più carnali, e per ogni centimetro che quella gonna percorreva le gambe vellutate di lei, più sentiva il sudore imperlargli la fronte, e più la sua mente penetrava nei tetri abissi della depravazione. I suoi occhi scorrevano sui fianchi morbidi di lei, lentamente morbosamente, quasi il suo sguardo potesse tramutarsi in mani fameliche e a affondare le unghie peccaminose nella pelle liscia. Ed era difficile non perdere il controllo e cedere alle immagini della sua follia che già possedevano quel corpo. In una lascivia fatta di capelli, pelle, unghie, labbra e sudore, mentre mille diavoli dalle lingue di serpente e la testa di porco danzavano al fuoco della libidine.
"Esci da lì, stupido!" disse Lei.
“Merda”, fece lui stizzito.
Con fare da monella lo vide avanzare da quel lurido buco polveroso che era il magazzino delle scope.
Appena fu emerso alla luce, lei lo baciò teneramente. Ancora una volta il suo sguardo ripercorse il suo corpo, meravigliandosi di come, nonostante fossero passati gli anni, fremesse in lui lo stesso desiderio di sempre. Ora erano soli, finalmente soli. Sorrise maledettamente, mentre il bacio di lei diventava più osceno. Quella notte nessuno l'avrebbe sentita urlare
“Finalmente”, disse lei tra se.
Ma lei non sapeva che lui si trovava lì, nascosto nell’angusto ripostiglio. Negli ultimi giorni non aveva fatto altro che seguirla, per cercare di precedere con precisioni i suoi movimenti, finché non avesse trovato il modo di congiungere le orbite delle loro strade. E ora c’era riuscito, lì in quello spazio di pochi metri quadrati. Solo loro due e nello stesso momento. Ma lei questo non lo sapeva, nessuno lo sapeva e nessuno l’avrebbe sentita urlare. Era ossessionato da quella ragazza, fin dal primo momento in cui i suoi occhi si erano posati su quell’esile collo, desiderando di possederlo: con cattiveria, affondando i denti nella pelle calda, e la lingua umida…
A sincerarsi dell’assenza di falle, velocemente richiamò alla mente ogni punto di quel piano perverso.
Marta si avvicinò al primo cassetto e fece come per aprirlo. Chiuso. “Strano”, pensò. Provò con quello successivo: chiuso anche quello. Sbuffò seccata e con irritazione colpì col dorso della mano i piccoli cassetti usati per riporre i cambi d’abito, uno dopo l’altro, in modo che se ce ne fosse stato uno aperto, si sarebbe mosso per contraccolpo. Chiuso chiuso chiuso chiuso chiuso. Arrivò fino in fondo alla stanza, all’ultimo, quello attiguo al ripostiglio delle scope. Quando rimbalzò indietro, sentì come un brivido, nulla più. Vi poggiò dentro la borsa. Le finestre polverose e dalle inferriate arrugginite si affacciavano su una notte senza luna. E c’era un silenzio inquietante, l’unico suono appena percepibile era il ronzio del neon che a stento la illuminava da sopra, lasciando il resto nell’oscurità. Quella squallida palestra abbandonata era il solo posto in cui poteva affinare la sua tecnica di ballerina. Dopo che una lieve increspatura amareggiata solcò il suo viso, iniziò a sbottonarsi la camicetta -il cuore di lui allora prese a battere con violenza. La fece scivolare giù dalla schiena bianca, sulle curve sottili e aggraziate del corpo, poi un lampeggiare di lunghi capelli rossi ricadde su quella valle immacolata. Inarcò la schiena per aprire la zip della gonna allacciata di lato, rivelando così il profilo dei seni. Lui dovette impedire a se stesso di ansimare, per evitare che lei si accorgesse che lì c’era qualcosa che non andava. Con rapidi movimenti si slacciò la minigonna.
Predatore, era adesso in preda dei suoi istinti più carnali, e per ogni centimetro che quella gonna percorreva le gambe vellutate di lei, più sentiva il sudore imperlargli la fronte, e più la sua mente penetrava nei tetri abissi della depravazione. I suoi occhi scorrevano sui fianchi morbidi di lei, lentamente morbosamente, quasi il suo sguardo potesse tramutarsi in mani fameliche e a affondare le unghie peccaminose nella pelle liscia. Ed era difficile non perdere il controllo e cedere alle immagini della sua follia che già possedevano quel corpo. In una lascivia fatta di capelli, pelle, unghie, labbra e sudore, mentre mille diavoli dalle lingue di serpente e la testa di porco danzavano al fuoco della libidine.
"Esci da lì, stupido!" disse Lei.
“Merda”, fece lui stizzito.
Con fare da monella lo vide avanzare da quel lurido buco polveroso che era il magazzino delle scope.
Appena fu emerso alla luce, lei lo baciò teneramente. Ancora una volta il suo sguardo ripercorse il suo corpo, meravigliandosi di come, nonostante fossero passati gli anni, fremesse in lui lo stesso desiderio di sempre. Ora erano soli, finalmente soli. Sorrise maledettamente, mentre il bacio di lei diventava più osceno. Quella notte nessuno l'avrebbe sentita urlare
Opera scritta il 09/05/2012 - 14:53
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Commenti
molto avvincente il finale mi ha piacevolmente sorpresa
Claretta Frau 18/06/2012 - 20:13
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