Sovente cado, mi lacero, sono dolente di non soffrire abbastanza. Resto lontano. Strozzo un rantolo che, fuggiasco, tenta di evadere dal mio esofago. Ricado, il colpo è più duro, ma ce la posso fare. Claudicante mi accosto ad una fontana, che non mi permette di bere. Ma mi osserva con diffidenza. L'ambiente che mi circonda è fatto da oggetti che riflettono la mia personalità. Ora mi rendo conto, del perché la fontana mi abbia negato l'acqua. Non era altro che lo specchio del mio egoismo. Guardo un orologio, resto immobile per almeno mezz'ora, seduto su un sasso. Ma non ne sono sicuro, poiché le lancette non accennano il benché minimo spostamento. Allora indico un punto, nel vuoto, con l'indice. Ma è tutto inutile, il punto non è interessato a me in alcun modo. Forse...allora, credo di aver capito ciò che proprio non funziona. Lì vicino c'è una piccola mannaia, conficcata in un tronco buono da ardere. Si lascia prelevare con riluttanza, non potendo opporre più resistenza di quanto le concede il proprio peso. L'afferro, dunque, con la mano sinistra e recido un dito della mano destra. Ma il pollice, appena, reciso mi scruta con placido e incommensurabile distacco. Ora sono senza dubbio certo della mia ipotesi: io non faccio più parte di questo mondo.
Opera scritta il 14/02/2016 - 13:12
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