ICHNUSA VS CAFFE\'
Prima di arrivare al lavoro io e mio marito ci fermiamo al bar per un caffè che ultimamente è spesso offerto da chi, ignorandoci fino ad oggi, ci allunga la mano per salutarci e ricordarci che “ci sono anche io, per il bene del paese.” Vorremmo rispondere acidamente, mio marito soprattutto vorrebbe lasciare addirittura il caffè sul bancone, in un eloquentissimo gesto. Gli do una gomitata e lo costringo a berlo, anche se è più amaro del solito. Risaliamo in macchina e proseguiamo brontolando, come George e Mildred in quel vecchio telefilm.
C’è fermento nel mio paese: suoni di clacson accompagnati da saluti con la manina da parte di quel lontano parente, sempre tronfio nella sua pochezza; c’è il compagno di banco delle elementari che mi chiama con il mio vero nome di battesimo, quello rimasto solo sul registro dell’anagrafe ed in quello degli insegnanti e che ho impedito che il prete pronunciasse nel giorno del mio matrimonio. Poi ci sono le richieste di amicizia su facebook, e tutte parlano di rinnovamento e cambiamento. Ad essere sinceri quest’ultimo c’è sempre stato nel mio paese, che è cambiato, ma in peggio. Il mio è un paese molto tranquillo e silenzioso, addirittura è l’unico comune costiero della Sardegna che si spopola.
Se vuoi andare al cinema fai testa o croce tra Olbia o Nuoro, tanto i chilometri sono pressoché uguali, una cinquantina. Dopo diversi anni è stato riaperto anche da noi, una bella struttura moderna in periferia, ma dopo tre mesi l’hanno fatto saltare in aria; hanno provato a risistemarlo ed è arrivato un altro ordigno a porre fine ad ogni speranza. Il mio paese è chiamato la bella addormentata: una magnifica montagna, dolci colline ed una costa meravigliosa.
Eppure il territorio non è valorizzato e siamo noi i primi a non apprezzarlo: da noi l’invidia, male endemico della Sardegna, ha la sua fonte. Addirittura qualcuno racconta su di noi una triste barzelletta, che ora vi racconto: Al contadino che arava il campo apparse in tutto il suo splendore l’Arcangelo Gabriele e gli disse “Buon uomo, sono venuto per farti un grande dono, non importa l’entità della tua richiesta perché puoi chiedermi tutto. Ma sappi che il tuo vicino di terreno avrà il doppio di ciò che mi chiederai.” Il contadino, confuso da tanta magnificienza rispose “Posso pensarci per oggi? Torna domani e ti dirò.”
Così il contadino poté consultarsi con la moglie, saggia donna, e quando l’indomani l’Arcangelo riapparve per avere la risposta, questi prontamente disse “Ho deciso: cavami un occhio!”
Che tristezza, vero? Eppure è così, non siamo orgogliosi se qualcuno emerge, no, siamo invidiosi e facciamo di tutto per allontanare l’eventuale successo. Lo facciamo con le parole, che si spandono come veleno micidiale e con l’indifferenza, che uccide ugualmente. Con la conseguenza che il paese anziché progredire in questi anni è veramente scaduto, marcito come frutta al sole d’agosto.
E tu che fai per renderlo migliore, chiederete voi. Io ho preso tanto dal mio paese, mi fa male vederlo così sgretolato eppure lo amo tantissimo. Ma ho anche dato tanto, con il volontariato ed ho creato un’attività diversa da quelle esistenti, investendo tante forze e soldi ed ipotecando tutte le energie future, ma l’indifferenza generale mi ha fatto ad un certo punto impacchettare tutto e con tanta delusione mi son spostata, fortunatamente, di qualche chilometro, dove posso contare sul passaggio numeroso dei turisti, linfa vitale per la nostra isola e con cui riesco a viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda. Spesso con persone che non parlano la mia lingua ma che con un mix di lingue, di gesti e disegni riusciamo a capirci. E chi, mi ha danneggiato ignorandomi per anni, non votandomi mai, ora mi offre il caffè per accattivarsi il voto: porca miseria, valgo veramente poco! Andrò a votare, perché nonostante tutto credo o sogno che ancora qualcosa si possa aggiustare, perché so che c’è un rimedio a tutto, escluso alla morte.
Ho pensato spesso di andarmene lontano, ma ho i genitori anziani che hanno bisogno di me, non riuscirei ad abbandonarli. Mio marito, venuto da Roma, potrebbe, e vorrebbe a questo punto andare in ogni dove, perché il banco di prova è stato superato egregiamente, ma sta qui per me, solo per me. E’ ovvio che avverto un grande peso sull’anima e che talvolta mi schiaccia.
I candidati spesso non vengono scelti in base alle loro qualità od alla loro rettitudine ma in base alla famiglia: più è numerosa, più ci son probabilità che questa sia un serbatoio di voti. Ed ecco allora che ti suonano alla porta e ti invitano a votarli. Quando vanno da mia madre, lei con la sua solita crudezza smorza ogni entusiasmo dicendo “Non vado più né a funerali, né a votare” che per lei son la stessa cosa.
L’orario migliore per andare a votare senza incontrare nessuno sarebbe all’ora di pranzo, ma sono impegnata con il lavoro, ci andrò immediatamente dopo, considerando che a giugno ci sarà caldo ed il caseggiato scolastico nel pomeriggio sarà sotto il sole cocente. Perché solitamente c’è la fila dei candidati, o di coloro che muovono i fili, che va dal cancello al portone d’ingresso, come in attesa delle condoglianze ad un funerale. Mi guardano, sorridono e mi contano come voto mentre io, passandoli in rassegna invio un “fottiti!” a tutti loro.
Non so ancora chi voterò, nel frattempo aggiusto i santini nell’album del panino e mi stappo una fresca, bionda Ichnusa!
Sono queste considerazioni forse molto dure, ma sono le stesse che mi raccontano persone del mio paese che son dovute andar via. Per gli stessi motivi.
L’anno scorso scrissi una poesia in una sera in cui ero più amareggiata, delusa e sconfortata del solito. Sembra scritta per un amore infranto, invece l’ho scritta per il mio paese, per la mia gente, per il posto che nonostante tutto amo e fa vibrare il mio cuore.
L'attesa
Osservo incantata le fiamme
che il mio sguardo vacuo
taglia, bruciandosi
nel ricordo di un lontano abbraccio.
Mi trascino sotto la pioggia gelata
e trafitta da mille lame aguzze
la mia angoscia resiste
come un guerriero soggiogato.
Svendo solerti e falsi sorrisi
all'apatia della folla
indifferente al sole e alle stelle,
sedata dalla noia e dal torpore.
Il mio squallido piatto
mi nutre con cibo senza sale,
senza amore e senza colore
che non sazia la mia miseria.
Vado incontro alla tramontana
forte nella mia corazza,
che si accartoccia
lasciandomi flessa sul campo,
sconfitta dal peso della mia debolezza.
E piango quelle lacrime troppo amare
e troppo a lungo custodite
nell'attesa che il tuo caldo respiro
le asciugasse.
Millina Spina, 6 Maggio 2016
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Con questo racconto non vorrei sfatare ciò che si dice di noi sardi e della nostra ospitalità.
No, il sardo è un popolo meraviglioso, è quello che tratta l'ospite con grande rispetto e quasi ossequiosità. Ma il sardo ha poca stima di se stesso, ecco quindi che nasce l'invidia nei confronti di chi raggiunge il successo. Io sono sarda e ne vado fiera, ciò non toglie che veda alcuni difetti, e questo dell'invidia, grande freno alla nostra crescita ed alla nostra affermazione, si potrebbe sanare se solo fossimo più orgogliosi e riuscissimo a collaborare.
E' sicuramente come dici tu, un problema comune in tante regioni, ma sai che significa "cavarci gli occhi l'un l'altro" in una terra circondata dal mare? Si va via e piano piano si muore.
So che in questo senso sono perdente, ma lotterò con tutti i miei mezzi affinché ciò non accada.
Ti ringrazio di cuore per la riflessione donatami.
Ciao!
È vero, non dobbiamo permettere di lasciar andare le nostre radici poiché il nostro futuro, senza di esse, non potrà essere un tempo fiorente. Lingua, storia, cibo e tradizioni vanno preservate ma allo stesso tempo bisogna lavorare per diventare migliori, e noi come sardi, orgogliosi non solo del nostro mare ma della nostra gente e dei suoi successi.
Grazie a te per il passaggio in questo spaccato di vita.
Mah!
Grazie del tuo passaggio
Ma la Sardegna è un posto meraviglioso ed anche i sardi, è che abbiamo molto da imparare ma siamo troppo testardi.
Ajò
Ciao e buona giornata!
Grazie!
Grazie!
Complimenti e un caro saluto...