ESTOTE PARATI - SIATE PREPARATI
Sono entrata nel gruppo che avevo appena sette anni ed ho lasciato a trentuno, ci sono quindi praticamente cresciuta tra canti a squarciagola, preghiere rivolte al Cielo, salite polverose, risate e lacrime sincere.
Era il 1974 ed io insieme ad altre ragazzine formammo il cosiddetto Cerchio delle coccinelle e la prima uscita fu in quella campagna appena fuori del paese, tra gli ulivi argentati ed i papaveri rossi, dove ora ci sono l'ufficio postale, le scuole medie e tantissime abitazioni.
Ricordo con quale entusiasmo tutte noi abbiamo vissuto ogni istante di quelle giornate dense di attività, di paure e di nostalgia di casa.
Allora non esistevano ancora le camicie azzurre della divisa e d'inverno usavamo quegli odiosi lupetti blu che al lavaggio si accorciavano nelle maniche e che non riuscivano ad occultare quelle piccole dunette, i nostri piccoli seni che con puntualità spuntavano e di cui tutte ci vergognavamo, facendoci incrociare spesso le braccia a nasconderli.
Nel gruppo ho fatto tutto l'iter, fino a diventare capo e in tutti quegli anni ho visuto un'esperienza formidabile: ho percorso chilometri di strada a piedi, spesso con il manico del coperchio della pentola schiacciato sulla schiena per non aver saputo fare lo zaino a mestiere; ho imparato a gestire la fame per via di quel fuoco che non eravamo in grado di accendere con la legna bagnata; ho imparato ad ascoltare i miei passi inseriti armoniosamente nelle voci preziose della natura; ho apprezzato la mano che mi veniva tesa in aiuto durante la salita.
Son riuscita a resistere alla fatica in maniera inverosimile per essere da esempio ai miei ragazzi, per non farli crollare a pochi passi dalla mèta. Poi, attorno ad un fuoco, con il viso illuminato dalle fiamme ed il conforto della loro presenza, ho confessato le mie debolezze, perché capissero che anch'io ero un essere umano, in cammino, ma fallibile.
Ricordo i pianti di gioia alla fine di un campo estivo di dieci giorni, tempo nel quale tutto si era condiviso ed i cuori, troppo colmi dell'esperienza vissuta non riuscivano a contenere le emozioni, per cui tracimavano, trasformando la felicità in lacrime, segno tangibile ed indelebile di quell’avventura.
Ci comportavamo come se non dovessimo vederci più per molto tempo, invece, smessa la divisa e riposti tutti gli attrezzi da campo ci si ritrovava ancora insieme. Perché eravamo amici, tanto amici, forse troppo amici.
Io ho avuto tanto dal gruppo e tanto ho dato, in termini di tempo, economici e di vita, e non me ne pento.
Ma non tutte le storie hanno un lieto fine.
Il fatto che fossimo sempre insieme ci ha ghettizzati, e nel momento in cui alcuni eventi, compreso il lavoro, hanno allargato qualche maglia, come uno strappo alla tenda dentro cui dormivamo, le cose son cambiate perché non mi era permesso di modificare la strada. Insomma, alla fine il diktat è stato o con noi o contro di noi. Ho lottato fino alla fine per poter condividere ancora quel cammino, ma prendevo continuamente sberle da chi, all'occorrenza, aveva usato persino il mio spazzolino da denti.
Con triste velocità tutti i visi si sono irrigiditi in una fredda cattiveria, ed ho trovato solo cuori sprangati, sono stata trattata come elemento della peggior feccia ed infine, nel buio angoscioso della mia solitudine, sono crollata.
Ho perso velocemente peso, probabilmente inaridita dalle lacrime versate, ognuna delle quali mentre cadeva, rimbombava nel vuoto della mia vita, con un frastuono che non sapevo gestire e che mi privava della lucidità necessaria per camminare ancora.
Avevo perso la mia battaglia, perché non capivo quale, e quanto grande fosse il mio nemico.
Neanche il parroco, assistente spirituale del gruppo, spese una mezza parola. Nessuna domanda, nessuna attenzione forse perché ciò avrebbe destabilizzato il ghetto, e questo era un rischio che non poteva correre. L’apparenza prima di tutto.
Non scorderò il giorno quando, qualche anno dopo, andai a chiedere il nulla osta per il mio matrimonio: mi cacciò strillando perché avevo scelto un'altra parrocchia e di fatto si rifiutò di rilasciarlo. Lui, il grande parroco, il grande oratore, il conquistatore di folle ma per me un semplice, misero essere. E non vado oltre.
Finché rimase parroco del mio paese implorai mio marito che se mi fosse successa qualcosa che avesse richiesto la mia sepoltura, per nessun motivo avrebbe dovuto celebrare il mio funerale. Lì avrebbe cantato le mie lodi, ed io fredda e rigida come il marmo dentro una cassa di legno, non avrei potuto ribattere e mandarlo a quel paese.
Ora è parroco di quella chiesetta in riva al mare dove mi sono sposata.
Lentamente ne sono uscita, e determinante è stata la presenza di mio marito, ma la ferita sanguina ancora: non riesco a parlarne o a scriverne se non tra le lacrime, come adesso…
Di tutti quegli anni ho tante immagini fotografiche, mi chiamavano la ragazza dal click facile, e così l'inverno scorso ho deciso che forse era arrivato il momento di regalarle, nonostante tutto, alle persone con le quali avevo condiviso quei momenti pubblicandone alcune sulla pagina facebook del mio paese. Il risultato è stato che qualcuno le ha condivise sulla sua pagina e lì sono state commentate, non dove le avevo postate io. Nei detti popolari c'è sempre un fondo di verità e da noi si dice "prus t'incrunas, prus su culu ti ch'idene", più t'abbassi, più il sedere ti si vede.
Per quanto mi riguarda quelle fotografie possono anche marcire.
Io non ho più amici, ho dato un valore diverso a questa parola, il mio cellulare non squilla e al mio compleanno o a Natale i messaggi che ricevo si contano sulle dita di una mano monca, ma non ne soffro ed ho paura delle persone che cercano di avvicinarsi a me, talvolta solo per comodo, per un piatto di pasta gratis - ho una piccola trattoria - allora mi chiudo a riccio, ed il mio atteggiamento potrebbe essere scambiato per alterigia, ma è solo autodifesa e difendo con le unghie ciò che ho realizzato.
Sono come un fico d'India, con tante spine, da prendere ed aprire con attenzione, ma non tutti hanno questa pazienza e non tutti meritano la dolcezza del frutto.
Non soffro di solitudine, piuttosto soffro parecchio per l'indifferenza, mi rifugio nel silenzio appena posso, ascolto ancora i miei passi e da quello squarcio sulla tenda ho capito che si possono guardare le stelle, perché questa vita è una terra piena di strade, di buone opportunità che mettono in gioco le nostre capacità e le nostre abilità, ed occorre esser preparati, anche se, ho scoperto, al tradimento non si è mai preparati.
Millina Spina, 23 Luglio 2016
ESTOTE PARATI, siate pronti, è il motto dello scautismo.
Nella foto, una delle tante, bellissime strade percorse.
Voto: | su 3 votanti |
credo che le stranezze siano spesso dovute all'incoerenza nel professarsi aperti al mondo e poi agire, nell'intimo del proprio gruppo, in maniera completamente opposta.
Il cattolicesimo invece non è così invadente, diciamo che si è abbastanza liberi di professare in maniera soggettiva.
Almeno è questo che io ho vissuto e che ho insegnato ma manco da tanti anni e non mi son più curata di conoscere le evoluzioni...o le involuzioni.
Ciao!
Ciao!
Ciao!
Hai ragione, c'è parecchia rabbia in questo mio diario, ma sfiderei chiunque a non averne!
Grazie per le tue parole ed ora vado ad apparecchiarti il tavolo.
Ciao!
Io sono scout fino al midollo, ma lo sono senza divisa e senza iscrizione: lo sono tutti i giorni nel lavoro, con le persone che incontro e con le situazioni da affrontare e sistemare.
Lo sono nella pienezza dei miei silenzi e nell'ascolto della Natura e qui ho coinvolto mio marito, che venendo da una grande città si è scoperto un grande camminatore ed egli stesso amante del silenzio. Però parliamo tanto tra di noi!
Grazie per il tuo commento e...ma se con le parole fai centro, cosa farai mai leggendo gli sguardi?
Un'abratzu a tie puru!
Ho parlato del mio dolore, purtroppo sempre vivo, evitando di dare i connotati alle vere motivazioni, almeno credo, che hanno portato gli "amici" ad allontanarmi dal gruppo.
Chi è scout una volta lo è per sempre, nella vita di tutti i giorni, anche senza frequentare il gruppo.
Io ho rimosso i canti e le preghiere, solo ultimamente qualcosa sta riaffiorando, la mia camicia è rimasta appesa nell'armadio, con le maniche arrotolate, esattamente come l'ho lasciata quasi vent'anni fa e vedere scout in giro mi disturba, di solito mi giro dall'altra parte. Non posso farci niente, ma è la - forse vile - verità e con quelle persone che sono ancora là, non ci guardiamo neanche in faccia.
Non e' fra i miei desideri farne ancora parte, ho dato ed ho preso, non dimentico e non perdonero' mai.
- segue -
Quando parlo o penso a questa vicenda lo faccio sempre tra le lacrime, perché ho sofferto parecchio e tuttora è una ferita che sanguina, per il modo in cui sono stata trattata e che non credevo di meritare. A tal riguardo avevo scritto "Pietre e lacrime" - se ti va di leggerlo lo trovi a pagina 15 del mio profilo OS - scritto nel primo periodo in cui, timidamente mi affacciavo a questo sito.
Ho mostrato i miei intestini, come dici tu, le mie debolezze, i miei limiti e qualche qualità, e l'ho fatto con la stessa angoscia provata allora, che sempre si rinnova, rendendo reale e tangibile quel passato.
Grazie!
Scorrevole et esaustivo racconto.
Lieta Domenica Millina.
*****
Ma sei una Scuot, e puoi sopportare.
Non so se verrò in sardegna. Ma dovesse essere, accettero quel piatto di pasta "gratis".
Io sdrammatizzo, sempre.
Ciao Millina, buona domenica.
bello il racconto. Mi sono venute in mente le tue parole quando mi dicesti che la Sardegna è una terra bellissima e piena d'invidia. Non volevo crederci e ancora oggi mi chiedo perchè. E' un sentimento forse maschilista? E' un'idea falsa dello scoutismo, forse concepito in una visione bigotta di piacere smodato contro le regole della chiesa? E' la tua figura di capo che ha adombrato l'attesa del divenire di qualcuno? Mi dispiace, quale che sia il motivo, non capisco e non vedo bene l'idea dell'abbandono di una vera passione, che mi è sembrata ancora molto viva dentro di te, tanto da stillare qualche lacrimuccia. Ora magari hai uno scout tutto tuo e privato, il tuo bel marito. Ti abbraccio . Salvo 5*