«Si?» Chiese passandosi una mano tra i capelli sale e pepe.
«Avocato, sta bene? Oggi non si è presentato allo studio.»La sua segretaria. Al diavolo!
«Un imprevisto.» Tagliò corto.
«Capisco. I signori Mantovani erano molto contrariati.» Al diavolo pure loro!
«Prenda un altro appuntamento per lunedì.»Una nota metallica gli distorceva la voce.
«Come vuole. Buona serata.»
«Buona serata.» Replicò sarcastico. Odiava essere disturbato a casa. Ma in fondo la colpa era anche sua, recuperò il bicchiere e su versò dell'altro liquore.
Aveva una forte emicrania. La tempie gli pulsavano e faticava a concentrarsi. Il lunedì era sempre una giornataccia, ma quello stato in cui si trovava non era dovuto solo al lunedì. Aveva passato una notte insonne, a causa dei suoi ricordi che lo tormentavano. Chissà dov'era lei, adesso? Guardò l'orologio, erano le 19:30, i Mantovani erano andati via da poco, e per quella sera aveva ancora due appuntamenti. Si affacciò alla finestra, l'estate si stava avvicinando, e c'era ancora luce. Nella piazzetta sottostante parecchie famigliole, e bambini urlanti che giocavano. Allentò un po' il nodo della cravatta. Non aveva mai pensato di farsi una famiglia, e ora era tardi. “stai proprio invecchiando” si ammonì. Un bambino attrasse la sua attenzione. Se ne stava seduto in disparte, cercando testardamente di allacciarsi le scarpe. Non poteva avere più di tre anni, valutò. Il bimbo alzò per un istante la testa, e i loro sguardi s'incrociarono. Solo per poco. Una frazione di secondo. Fu peggio che ricevere un pugno nello stomaco. Quel bambino era identico a lui. Si scostò dalla finestra. Non era possibile. Quando tornò ad affacciarsi, il bambino era sparito. Che strani scherzi gli andava facendo la sua mente? Doveva condurre davvero una vita vuota, per immaginare certe cose. Che strano, non ci aveva mai pensato prima.
La luce dell'interfono, si accese e un secondo dopo la segretaria lo avvisò che il suo cliente era arrivato. Si ricompose velocemente, imponendosi di pensare solo al lavoro.
Finalmente se ne poteva tornare a casa. L'episodio di poche ore prima, era totalmente dimenticato. Ne restava solo un lieve turbamento. Estrasse, le chiavi dell'auto, dalla tasca, salì e mise in moto. Stava facendo manovra, e non vide il bambino sbucare dalla traversa, e attraversare la strada di corsa. Sentì l'urto. Scese per controllare, cos'era successo. Una donna stava correndo nella sua direzione, gridando.
«Max! Max!» Lui si voltò verso l'auto.
Un bambino era sdraiato a terra. Per lui fu uno shock, era lo stesso bambino che aveva visto dall'ufficio. Quello che gli somigliava. E ora quella somiglianza gli bruciava.
«Max...Max...»La donna singhiozzava, ed era proprio dietro di lui. In quel momento Massimo si riscosse.
«Lo porto al pronto soccorso.» Prese il bambino in braccio, e lo depose su sedile posteriore. Solo allora, si girò verso la donna. Sbiancò in volto. Il mondo gli crollò addosso. Non poteva essere!
«Giulia...»Mormorò.
«Tu!» La donna era livida di rabbia.
«Sali.» Sibilò lui, a denti stretti.
Il tragitto in ospedale fu scandito, da un penoso silenzio, carico di tensione e domande inespresse.
Al pronto soccorso passarono momenti concitati, seguiti da una lunga attesa.
Giulia era spaventata e piena di rabbia. Non poteva credere di trovarsi in quella situazione, e che lui fosse lì. Quando aveva visto il bambino cadere, si era vista finita, un'altra volta, e sapere che anche questa volta fosse colpa sua, non l'aiutava per nulla, anzi, aveva voglia di prenderlo a schiaffi, di colpirlo. Si girò a guardarlo, aveva un braccio contro il muro, la testa bassa, e le spalle leggermente curvate. La fronte appoggiata al braccio, il corpo quasi di profilo. La cravatta rossa, che contrastava con la camicia azzurra, era allentata, la giacca buttata su di una panca, poco distante. Il volto teso. Non lo vedeva da tre anni. E un miscuglio di ricordi e sensazioni contrastanti le si agitava nel petto. Sembrava sconvolto e preoccupato. Doveva parlargli? Forse, ma un nodo le serrava la gola, e in quel momento riusciva solo a pensare al figlio. Si voltò di nuovo verso di lui, in quel momento lo odiava profondamente, eppure non poteva che provare un po' di pena, nel vedere il grande avvocato, Massimo Anselmi, in quello stato.
Si passò una mano tra i capelli, e allentò il colletto della camicia, sbottonando il primo bottone. Era furioso, furioso con se stesso e con la donna che gli stava accanto. Furioso per non aver visto il bambino. Furioso per non averla mai cercata, e disperato. Disperato per quell'attesa, che lo logorava, e per i dubbi che lo tormentavano. Il bambino non poteva avere più di tre anni, e i conti tornavano, senza contare l'incredibile somiglianza. Si avvicinò a lei.
«È mio figlio?» Chiese, la voce profonda, il volto teso.
Giulia non rispose.
«Dannazione! Dimmi se è mio figlio!» Giulia lo guardò. Era stanca e preoccupata, e a lui gli si strinse il cuore. Si sedette accanto a lei e attese. Giulia aveva i capelli neri scomposti, che le ricadevano sulle spalle e la sua figura era più matura. Gli occhi erano cerchiati, ed arrossati dal pianto. Massimo le cinse le spalle con un braccio, attirandola un poco a sé, in segno di conforto.
«Vuoi davvero che risponda alla tua domanda?» Il suo sguardo divenne severo.
«Sì. Anche se credo di conoscere la risposta.» Giulia annuì. Il bambino gli somigliava tantissimo.
«Si chiama Massimo. Ma io lo chiamo Max...sai è ancora così piccolo...»Scoppiò di nuovo in singhiozzi, e lui la strinse un po' di più. Dentro bruciava. Aveva un figlio e non lo sapeva. Lui ormai, non era più un ragazzino, tutt'altro, e lei ancora una giovane donna, bellissima e vulnerabile. E avevano un figlio.
«Ti ho pensata tanto.» Le disse.
«Ma davvero?» Era sarcastica. Si sciolse dall'abbraccio e cominciò a camminare, su e giù.
«Davvero.» Lei lo guardò scettica. Massimo si passò una mano tra i capelli.
«Non mi credi, vero?»
«No.» Rispose secca. Lui si alzò di scatto ed andò alla finestra. Quel luogo era squallido, e l'odore di disinfettante, nauseabondo.
«Giulia...»Chiamò piano. Ma in quel momento le porte si aprirono ed uscì il medico.
«Signora?» Giulia corse verso di lui, bianca in volto. Il medico sorrise, rassicurante. «Il bambino sta bene. Ma lo terremo una notte in osservazione, per sicurezza.» Giulia sentì il cuore più leggero, e per poco non svenne per il sollievo, ma Massimo la sorresse. Il medico si congedò dicendo che potevano vederlo. istintivamente, Giulia si voltò verso Massimo, e gli nascose la testa, nell'incavo del collo. Lui ne rimase spiazzato, ma ben presto comprese, che era solo un gesto meccanico. Doveva essere sfinita. La tenne un poco stretta a sé, poi la scostò con delicatezza. Era minuta ed esile, e sentiva un forte senso di protezione nei suoi riguardi. Cercò di sorriderle.
«Il bambino ti vorrà vicino.» Lei annuì, si voltò e corse via. Il cuore in gola e mille dubbi in mente. Massimo non la seguì. Andò al bar dell'ospedale. Sapeva che Giulia voleva stare solo, col piccolo e la sua presenza sarebbe stata di troppo. E poi faceva ancora fatica a metabolizzare la notizia. Aveva un figlio. Giulia l'aveva cresciuto da sola, o si era rifatta una vita? Pagò il barista e bevve il suo caffè. Sarebbe salito tra qualche minuto, a controllare il piccolo e a vedere se a Giulia serviva qualcosa.
Max, dormiva e sembrava tranquillo, per fortuna. Massimo era rimasto giù, e con tutta probabilità se ne era già andato. Cosa sarebbe successo, ora? Accarezzò i capelli del piccolo. Era così simile al padre. Le aveva fatto uno strano effetto rivederlo, e non solo per le circostanze. Non fece a tempo, ad analizzare, questi contrapposti sentimenti che la dilaniavano.
«Dorme? Ti ho portato un caffè.» La voce di Massimo, la riscosse dai suoi pensieri.
«Sì. Grazie.» Prese il caffè. «Tu non lo prendi?» Massimo scosse la testa.
«L'ho preso prima.» Sembravano due estranei, lei era bellissima. Le posò una mano sulla spalla. Avrebbe voluto stringerla.
«Pensavo te ne fossi andato.» Gli disse.
«Perché?»
Lei fece spallucce.
Quella situazione era grottesca. Non sapeva neanche più cosa provare, se rabbia o felicità per la scoperta.
«Stai con qualcuno?» Le chiese a bruciapelo.
«No.» Le sfuggi, in un sospiro. Massimo si avvicinò al piccolo.
«È bellissimo.» Disse, facendogli una carezza. Giulia sorrise. E lui si sentì morire. La voleva, e voleva il bambino.
«È vero.» Giulia chiuse gli occhi. Sembrava esausta. Le si fece vicino e l'abbracciò, facendole appoggiare la testa sul suo petto.
Era confusa, lui era lì. Bello come ricordava, anche se erano passati tre anni. Lo odiava, perché ogni volta che si trovava nei guai, era colpa sua, eppure le faceva piacere averlo accanto. In che pasticcio, si stava mettendo, di nuovo? Lui la strinse ancora un po' e lei lo lasciò fare. Sembrava così sicuro, così padrone di sé. Era questo che l'aveva attratta, tre anni prima, oltre al suo fascino e al fatto che quando sorrideva sembrava un ragazzino.
Era così giusto tenerla stretta. Eppure non doveva essere così, non avrebbero dovuto trovarsi lì, ma in una casa, la loro casa. Era tutto così sbagliato, e così giusto, allo stesso tempo. E lui non sapeva come mettere le cose a posto. Non poteva pretendere di voltare pagina, e ricominciare, eppure erano entrambi lì. Seguendo un impulso, chinò la testa a cercarle le labbra. Erano così morbide e dolci. Fu un bacio tenero, che non chiedeva nulla, eppure Giulia rispose al bacio con trasporto. Le sue labbra erano tenere, arrendevoli, come ricordava. Intensificò il bacio, stringendola di più. Quando si scostarono, erano entrambi ansimanti, la confusione disegnata nei loro sguardi.
«Dovremmo parlare.» Le disse. Giulia lo guardò smarrita. E ancora una volta, a Massimo gli si strinse il cuore.
«Cosa intendi?» Lo scrutava guardinga. Provò ad abbracciarla, ma lei si sottrasse. Era sulla difensiva. Lui si sentiva stanco.
«Giulia, per favore...non fare così.» Lei lo guardò.
«No? Piuttosto, cosa vorresti dirmi? Discolparti? Riempirmi di bugie, per evitare conseguenze?» Disse alludendo all'incidente.
«No. Più che altro vorrei sapere cosa fare adesso.» rispose senza scomporsi.
«Come, scusa?»
«Giulia, ci siamo ritrovati, e abbiamo un figlio.»
«Io ho un figlio. Tu non ci sei mai stato.» Lui fece un passo indietro, frustrato.
«Ah, scusa, in questi tre anni, mi è passato di mente, di consultare la mia sfera di cristallo.» Lei scosse la testa.
«Sono ancora sconvolta, scusa.» Lui le tornò vicino.
«Lo sono anch'io. Ma ti voglio, vi voglio nella mia vita. Assolutamente.» Lei alzò lo sguardo verso di lui.
Massimo le accarezzò i capelli.
Avevano pranzato in un ristorante, e ora erano a ca sua. Stentava a crederci, ma era riuscito a convincerla. Versò un po' di liquore in due bicchieri, e si avvicinò alla veranda. Ma, invece di uscire si fermò a spiarla. Stava giocando col bambino e sembrava una bambina, lei stessa. In quel momento, lei si voltò e lo vide. Arrossi. Massimo, le sorrise e li raggiunse. Posò i bicchieri sul tavolo e s'inginocchiò accanto al piccolo, a sua volta.
Giulia rimase spiazzata. Un gesto simile, non se lo aspettava. Massimo era concentrato su Max, e sul gioco, ma appena poteva si voltava verso di lei. Approfittando di un momento di distrazione, del piccolo, si sporse verso di lei, e le rubò un bacio. L'attimo dopo, stava di nuovo dando spago a Max. Giulia, era rimasta pietrificata, dalla sorpresa. Lui aveva un'aria, naturale e appariva perfettamente a proprio agio. E anche lei, dovette ammettere, stava bene. Quel bacio, era stato perfettamente casto, eppure, era stato un gesto molto intimo, che aveva riacceso una piccola speranza in lei. Quando incrociò il suo sguardo, Massimo sorrideva, una luce, maliziosa negli occhi. Il bimbo rideva felice. Giulia guardò Massimo, aveva i capelli scompigliati, e la camicia sgualcita. Ora stava ridendo, per qualcosa che aveva detto Max, e appariva molto più giovane, della sua età. Era ancora desiderabile, pensò. Arrossendo si diede della stupida, e si affrettò a voltare lo sguardo, fingendo di cercare qualcosa. Lui si accorse del suo turbamento, ma fece finta di nulla.
Massimo se ne stava comodamente in poltrona. Era esausto, ma felice. Giulia lo raggiunse e si sedette nella poltrona affianco.
«Il bambino si è addormentato...nel tuo letto» Arrossì «Mi spiace» . Massimo si alzò fece il giro della sua poltrona, e le mise le mani sulle spalle. Giulia sussultò. Ancora una volta era stato un gesto banale, eppure c'era una certa intimità nel suo modo di fare.
«Non ti preoccupare. Non c'è problema.» Si chinò a baciarle il collo. «Io ora dovrei andare in ufficio. Ma vorrei trovarvi ancora al mio ritorno. » Giulia si voltò a guardarlo. Era così serio!
«Perché?» La rabbia, gli salì dentro. Evidentemente, le ore passate insieme non avevano lo stesso significato, per lei.
«Come ti ho detto, vi voglio nella mia vita. E non rinuncerò all'idea. Mai.»
«Non mi hai mai cercata.»
«E ho sbagliato, ma questo non vuol dire, che ti abbia dimenticata.» Giulia lo guardò.
«Pensi che basti? Ci trasferiamo qui, e giochiamo alla famiglia perfetta?»
«Certo che no. Ma da qualche parte dovremmo pure cominciare, no? Le famiglie perfette non esistono. Lo siamo già, anche se non vuoi...»
«E va bene, ma ci sono dei problemi tecnici...»
«Quando il bambino si sveglia, vai a prendere le vostre cose.» Fece una pausa per sfiorarle la guancia con un bacio. «In fondo al corridoio, c'è una stanza vuota. È arrivato il momento di riempirla.»
«Ma...» Cercò di protestare, ma lui sorrise.
«Al resto penseremo al mio ritorno.»
Ormai era l'una passata. Erano ore che sistemavano la stanza. Massimo si stava rivelando una sorpresa, e il suo cuore continuava, a fare le capriole. Rise nel vederlo com'era conciato, i capelli arruffati, il volto accaldato. Le amiche della camicia arrotolate, e i pantaloni sgualciti. Il grande avvocato che montava una cameretta, e chi l'avrebbe mai detto? Lui si accorse del suo divertimento e cominciò a rincorrerla. Lei riparò in salotto, ma lui la raggiunse. Si baciarono con passione. Poi massimo, si scostò e andò a riempire due bicchieri col vino rosso.
«Ce li siamo meritati.» Gliene porse uno e sedettero sul divano. Lei gli appoggiò la testa su una spalla. Stettero così per un po, poi la passione si riaccese, e tra baci e carezze, finirono sul tappeto. Tra un groviglio si vestiti e passione, con baci sempre più ardenti e carezze sempre più ardite, sino a toccare l'apice della loro, travolgente passione. Massimo la tenne stretta a sé. Quella era la felicità.
Poi ridendo, si mise a sedere con le spalle, contro il divano.
«Sono troppo vecchio, per fare a meno del letto.» Dichiarò.
«A me, non è sembrato.» Lo abbracciò poggiando la testa contro il suo petto.
Lui le lanciò un'occhiata tra il malizioso e il severo. Poi si fece improvvisamente serio.
«Ti amo.» Le disse. Lei lo guardò, era serio?
«Sei serio?» Lui rise.
«Che domanda sciocca, amore mio!» Si chinò a baciarla, proprio mentre lei arrossiva.
«Anch'io ti amo.» Mormorò, quando il bacio, finì.
«Giulia, non sarà facile, ma non ho rivoluzionato la mia vita, così, solo per un capriccio.»
«È successo tutto così in fretta...» Lui la strinse forte.
«Ogni cosa, ha un suo perché. L'importante è essersi ritrovati.»
Lei, sorrise. Forse fidarsi di lui, ancora era una pazzia, ma sentiva che Massimo aveva ragione, e quello per loro, sarebbe stato un nuovo inizio.
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