Marcella Martino, 56 anni, titolare dell’omonima gioielleria in via della consolata a Torino non proferiva parola.
Il Commissario Giuliano non capiva e non si dava pace.
“Signora si rende conto di cosa ha fatto?”
“Vorrei capire perché”.
Ma la signora Marcella non rispondeva, guardava nel vuoto senza espressione alcuna e non proferiva parola.
Due ore prima era arrivata una telefonata al commissariato di zona.
“Ho ucciso questa lurida troia, via Principessa Clotilde 23.”.
Queste erano state le sue ultime parole, dopo di che silenzio totale.
La signora Martino era sposata da più di vent’anni con il Dottor Mario Macario, ortopedico al C.T.O.di Torino.
La coppia aveva due figli, o meglio ne aveva tre, ma la primogenita, Stella, era morta anni prima in un incidente stradale. Venne convocato il marito.
L’uomo era a dir poco sconcertato e non si dava pace.
“Non capisco, siamo una bella famiglia, abbiamo subito un lutto tremendo e mi sembrava lo avessimo superato, abbiamo ancora due figli meravigliosi che ci danno grandi soddisfazioni ….”
Angelo Giuliano, Commissario a Torino da ormai più di dieci anni di cose “strane” e/o cruente e/o inconsuete ne aveva viste tante, ma questa non la capiva proprio.
Interrogando amici, parenti, vicini di casa e negozianti della zona usciva il ritratto di una signora gentile ed affabile, impegnata nel sociale, sempre pronta ad aiutare il prossimo.
La prima figlia, Serena, nata ne luglio del 1981 era stata falciata da un pirata della strada insieme alla nonna mentre in un assolato pomeriggio estivo attraversava la strada sulla strisce pedonali con semaforo verde, il colpevole non era mai stato trovato.
Giuliano collegò immediatamente gli eventi; “Vuoi vedere che …..”.
La vittima, Paolo Silicotto, 44 anni, titolare della merceria “Pizzi & Merletti” era anche lei una persona onesta e per bene.
Il marito Alberto Cartacavallo, anni 48, insegnate di Italiano e storia al liceo Cadorna era disperato.
Giuliano escluse subito la pista della vendetta per la morte della figlia in quanto la signora Silicotto non aveva mai preso la patente.
Le due donne non si conoscevano, non vi erano riscontri in merito ne tantomeno vi erano frequentazioni tra i due mariti. L’unica soluzione era provare a far parlare l’omicida.
Venne convocato il Dottor Raffaele Salvamatti, notissimo psicologo e collaboratore della polizia in casi simili.
Salvamatti provò per due ore a cavare qualche parola all’omicida. Non ci fu nulla da fare, la signora Martino non aveva mai parlato ne cambiato espressione.
L’omicida si faceva docilmente condurre dalla cella alla sala interrogatori, si sedeva sulla sedia, fissava un punto nel vuoto e non proferiva parola.
Non parlò nemmeno con l’Avvocato Defendi, suo difensore che dopo sei o sette visite gettò la spugna e disse al marito “Ci sono le prove, c’è la telefonata e la signora ha atteso gli inquirenti in merceria, consegnato l’arma del delitto e si è fatta arrestare”.
Ci fu il processo, Le prove erano schiaccianti e il delitto fu ricostruito velocemente.
Alle ore 8,30 la Silicotto aveva aperto la merceria.
Alla 9,00 la Martino si era presentata in negozio ed aveva spaccato la testa alla vittima con il Crick della 500L di cui era proprietaria. Aveva chiuso la porta del negozio e chiamato la polizia confessando l’omicidio.
L’avvocato Defendi aveva invocato la semi infermità mentale, l’accusa non aveva infierito più di tanto.
Il processo si era concluso con una condanna a 16 anni e la Martino fu tradotta al carcere delle Vallette.
Dopo circa sei mesi il Giuliano venne chiamato dal Dottor Mazzaferro, direttore del carcere.
La signora Martino si era tolta la vita impiccandosi con un lenzuolo legato alla branda della sua cella.
Detta tecnica viene chiamata Impiccagione alla Condè” e consiste nell'infilare il collo in un cappio agganciato a un supporto molto basso e poi lasciarsi andare in una posizione pressoché seduta.
Vennero convocate le guardie carcerarie e furono interrogate tutte le detenute.
Nei sei mesi di detenzione la signora Martino non aveva mai proferito parola si era sempre comportata ovviamente benissimo. Le altre detenute semplicemente la ignoravano.
Le sue compagne di cella confermarono quanto ribadito da tutti gli altri.
Una specie di Zombie che vegetava senza dare fastidio a nessuno e senza venire considerata da qualcuno.
“Merda, non sapremo mai perché ‘sta santa donna ha ammazzato la merciaia” disse Giuliano a Mazzaferro.
“Sempre ammesso che ci sia un perché…” rispose Mazzaferro.
Vennero fatti i funerali e, come sempre, l’episodio fini nel dimenticatoio.
Erano passati circa tre mesi dai funerali della signora Martino quando il Commissario Giuliano ricevette una telefonata. Era il Dottor Macario, era successa una cosa veramente molto particolare.
Giuliano si recò al cimitero monumentale dove aveva appuntamento davanti alla tomba della donna.
“Ha toccato qualcosa?”
“Assolutamente no, come ho visto il mazzo di fiori vi ho chiamato”.
La scientifica prelevo un mazzo di trenta rose nere su cui campeggiava un biglietto con la scritta “GRAZIE”.
Non furono rilevate impronte e non si riuscì a risalire al luogo di acquisto delle rose, che in origine erano bianche ed erano state verniciate con una anonima bomboletta spray da una mano esperta.
Adesso il Commissario Giuliano sapeva che l’omicidio della merciaia aveva un perché e che in giro per il mondo c’era qualcuno che sapeva.
Poco distante da loro una donna completamente vestita di nero, con gli occhiali scuri si godeva la scena con un lieve sorriso. Attese che i poliziotti ed il marito della signora Martino se ne andassero poi, con molta calma e aiutandosi con un bastone, se ne andò zoppicando verso l’uscita.
Il Commissario Giuliano non capiva e non si dava pace.
“Signora si rende conto di cosa ha fatto?”
“Vorrei capire perché”.
Ma la signora Marcella non rispondeva, guardava nel vuoto senza espressione alcuna e non proferiva parola.
Due ore prima era arrivata una telefonata al commissariato di zona.
“Ho ucciso questa lurida troia, via Principessa Clotilde 23.”.
Queste erano state le sue ultime parole, dopo di che silenzio totale.
La signora Martino era sposata da più di vent’anni con il Dottor Mario Macario, ortopedico al C.T.O.di Torino.
La coppia aveva due figli, o meglio ne aveva tre, ma la primogenita, Stella, era morta anni prima in un incidente stradale. Venne convocato il marito.
L’uomo era a dir poco sconcertato e non si dava pace.
“Non capisco, siamo una bella famiglia, abbiamo subito un lutto tremendo e mi sembrava lo avessimo superato, abbiamo ancora due figli meravigliosi che ci danno grandi soddisfazioni ….”
Angelo Giuliano, Commissario a Torino da ormai più di dieci anni di cose “strane” e/o cruente e/o inconsuete ne aveva viste tante, ma questa non la capiva proprio.
Interrogando amici, parenti, vicini di casa e negozianti della zona usciva il ritratto di una signora gentile ed affabile, impegnata nel sociale, sempre pronta ad aiutare il prossimo.
La prima figlia, Serena, nata ne luglio del 1981 era stata falciata da un pirata della strada insieme alla nonna mentre in un assolato pomeriggio estivo attraversava la strada sulla strisce pedonali con semaforo verde, il colpevole non era mai stato trovato.
Giuliano collegò immediatamente gli eventi; “Vuoi vedere che …..”.
La vittima, Paolo Silicotto, 44 anni, titolare della merceria “Pizzi & Merletti” era anche lei una persona onesta e per bene.
Il marito Alberto Cartacavallo, anni 48, insegnate di Italiano e storia al liceo Cadorna era disperato.
Giuliano escluse subito la pista della vendetta per la morte della figlia in quanto la signora Silicotto non aveva mai preso la patente.
Le due donne non si conoscevano, non vi erano riscontri in merito ne tantomeno vi erano frequentazioni tra i due mariti. L’unica soluzione era provare a far parlare l’omicida.
Venne convocato il Dottor Raffaele Salvamatti, notissimo psicologo e collaboratore della polizia in casi simili.
Salvamatti provò per due ore a cavare qualche parola all’omicida. Non ci fu nulla da fare, la signora Martino non aveva mai parlato ne cambiato espressione.
L’omicida si faceva docilmente condurre dalla cella alla sala interrogatori, si sedeva sulla sedia, fissava un punto nel vuoto e non proferiva parola.
Non parlò nemmeno con l’Avvocato Defendi, suo difensore che dopo sei o sette visite gettò la spugna e disse al marito “Ci sono le prove, c’è la telefonata e la signora ha atteso gli inquirenti in merceria, consegnato l’arma del delitto e si è fatta arrestare”.
Ci fu il processo, Le prove erano schiaccianti e il delitto fu ricostruito velocemente.
Alle ore 8,30 la Silicotto aveva aperto la merceria.
Alla 9,00 la Martino si era presentata in negozio ed aveva spaccato la testa alla vittima con il Crick della 500L di cui era proprietaria. Aveva chiuso la porta del negozio e chiamato la polizia confessando l’omicidio.
L’avvocato Defendi aveva invocato la semi infermità mentale, l’accusa non aveva infierito più di tanto.
Il processo si era concluso con una condanna a 16 anni e la Martino fu tradotta al carcere delle Vallette.
Dopo circa sei mesi il Giuliano venne chiamato dal Dottor Mazzaferro, direttore del carcere.
La signora Martino si era tolta la vita impiccandosi con un lenzuolo legato alla branda della sua cella.
Detta tecnica viene chiamata Impiccagione alla Condè” e consiste nell'infilare il collo in un cappio agganciato a un supporto molto basso e poi lasciarsi andare in una posizione pressoché seduta.
Vennero convocate le guardie carcerarie e furono interrogate tutte le detenute.
Nei sei mesi di detenzione la signora Martino non aveva mai proferito parola si era sempre comportata ovviamente benissimo. Le altre detenute semplicemente la ignoravano.
Le sue compagne di cella confermarono quanto ribadito da tutti gli altri.
Una specie di Zombie che vegetava senza dare fastidio a nessuno e senza venire considerata da qualcuno.
“Merda, non sapremo mai perché ‘sta santa donna ha ammazzato la merciaia” disse Giuliano a Mazzaferro.
“Sempre ammesso che ci sia un perché…” rispose Mazzaferro.
Vennero fatti i funerali e, come sempre, l’episodio fini nel dimenticatoio.
Erano passati circa tre mesi dai funerali della signora Martino quando il Commissario Giuliano ricevette una telefonata. Era il Dottor Macario, era successa una cosa veramente molto particolare.
Giuliano si recò al cimitero monumentale dove aveva appuntamento davanti alla tomba della donna.
“Ha toccato qualcosa?”
“Assolutamente no, come ho visto il mazzo di fiori vi ho chiamato”.
La scientifica prelevo un mazzo di trenta rose nere su cui campeggiava un biglietto con la scritta “GRAZIE”.
Non furono rilevate impronte e non si riuscì a risalire al luogo di acquisto delle rose, che in origine erano bianche ed erano state verniciate con una anonima bomboletta spray da una mano esperta.
Adesso il Commissario Giuliano sapeva che l’omicidio della merciaia aveva un perché e che in giro per il mondo c’era qualcuno che sapeva.
Poco distante da loro una donna completamente vestita di nero, con gli occhiali scuri si godeva la scena con un lieve sorriso. Attese che i poliziotti ed il marito della signora Martino se ne andassero poi, con molta calma e aiutandosi con un bastone, se ne andò zoppicando verso l’uscita.
Opera scritta il 02/11/2016 - 10:51
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Commenti
Si leggono sempre con piacere questi tuoi racconti. Scritti bene e simpaticamente intriganti.
Patrizia Bortolini 04/11/2016 - 08:01
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