Da due ore fissavo lo schermo desolatamente vuoto e altrettanto desolante era il foglio bianco del mio word processor.
Le sigarette fumate e le bottiglie di birra sulla scrivania, tristemente vuote, facevano parte della scena che mi deprimeva ancor di più.
Attraverso i vetri, vedevo il crepuscolo lasciare pian piano il posto alla notte e con molta autocommiserazione paragonavo il fenomeno naturale al declino delle idee che mi stava assalendo; già mi vedevo, lacero e sporco, chiedere la carità agli angoli delle strade e mi immaginavo i commenti: “Peccato, era bravo, aveva delle belle idee...”.
Cercai di cancellare l'orrenda visione bevendo una generosa sorsata di birra.
Mentre ingollavo il liquido, ormai caldo, sentii una vocina che diceva: “Ma che razza di scrittore sei, pnon è possibile che tu pnon sappia scrivere pnemmeno una riga!”
Risposi automaticamente: “Eh, facile a dirsi! Farsi venire le idee non è come andare a fare la spesa, non hanno ancora aperto il negozio dove le idee si vendono al chilo, sai?!?”
Sobbalzai sulla sedia e il resto della birra finì sulla camicia; la vocina che avevo sentito non era la mia coscienza, veniva da sotto la scrivania.
Mi abbassai, certo di aver avuto un'allucinazione - troppe birre, sei ubriaco!
Poco distante dalle mie gambe, c'era un esserino alto non più di trenta centimetri, vestito con un gonnellino nero, la testa pelata e con un gran nasone.
Strabuzzai gli occhi, li chiusi, me li stropicciai, li riaprii: quel naso era ancora puntato verso di me.
Rinculai con la sedia per allontanarmi da lui – oddio sto morendo, forse questo è il preludio alla fine della vita terrena, addio amici cari, addio vecchio Flock, ricordatemi, ve ne prego!
Uscì dalla penombra ma la situazione non cambiò: era proprio seminudo, calvo e con un gran naso, unica variante stava sgranocchiando naftalina; riconobbi la confezione come proveniente dal mio armadio - pure ladro!
“Era un sacco di tempo che pnon pne mangiavo di così buona, qualità eccellente, complimenti per la scelta.”
“Ma chi ti ha dato il permesso di frugare fra la mia roba e di appropriarti della mia naftalina? Mettila giù subito!”
“Perché?”
Rimasi a bocca aperta, la voce mi si strozzò in gola tanto da farmi parlare in falsetto: “Ma come perché? E' roba mia, tu non hai il diritto di mangiarla senza che io ti abbia invitato!”
“Ah pno? Sei tu quello depresso, che pnon ha più idee, io sono qui per aiutarti, ma pnon posso farlo con la pancia vuota.”
“Tu, aiutare me? Ma chi sei?”
“Eta Beta” come se questo dovesse spiegare tutto.
“Eta Beta, ma che razza di nome è?”
“E' il mio nome”
“Ho capito, io ti ho chiesto che razza di nome è, non di chi è!” Mi stava esasperando.
“E' il mio nome”
Rinunciai, freneticamente cercai di accendermi una sigaretta, mi accorsi che le mani mi tremavano, non so dirvi se fosse perché avevo l'impressione di vivere un incubo o per la situazione paradossalmente reale.
No, non sto morendo, sono pazzo, completamente pazzo!
La visione di due energumeni in camice bianco che mi portavano via recalcitrante, mi atterrì ancor più di quella della morte.
Sembrò mi avesse letto nel pensiero, oppure fu solo la mia aria stralunata a fargli dire:
“Pno, pnon sei pazzo, tutto questo sta accadendo realmente e io sono qui per aiutarti, pnon sempre la realtà è solo quella che vediamo.”
Il rumore della naftalina sgranocchiata mi fece rabbrividire.
Finalmente riuscii ad accendermi la sigaretta, il fumo, fin dalla prima boccata, ebbe un effetto calmante.
Sempre convinto di un corto circuito irreparabile nel mio cervello, chiesi: “Di grazia, come potresti aiutarmi?”
“Suggerendoti cosa scrivere.”
“Ah, è arrivato l'essere onnisciente! Hanno già scritto di tutto e di più, a me servono idee che siano originali, non ancora espresse da qualcuno; poi... ho già scritto di tutto, ho esplorato tutti gli argomenti...”
Mi interruppe con l'aria saputa e quella vocina stridente – forse troppa naftalina? - “Di me pnon hai mai scritto!”
“Ma se è la prima volta che ti vedo!”
“Pnon è vero, ci siamo già incontrati, solo che pnon te lo ricordi.”
Terrorizzato vedevo gli energumeni raddoppiare: ce ne vogliono quattro per tenere a bada un pazzo scatenato.
“Non dire fesserie, io ricordo tutto della mia vita!”
“Anche di quando eri bambino?”
Questo era un colpo basso, risposi farfugliando: “Ora sono un uomo adulto, quei tempi sono troppo lontani e poi... che c'entra la mia fanciullezza?”
“Quello era il momento in cui la fantasia pnon aveva limiti, ti sembrava di vivere le storie che leggevi pnei fumetti.”
Feci per rispondere, ma mi fermò con un gesto della mano, schizzandomi con qualche briciola di naftalina.
Mentre guardavo, incredulo, i puntini bianchi che si scioglievano nella birra che m'infradiciava la camicia, continuò: “Hai lasciato morire il bambino per diventare adulto, hai smesso di sognare perché ti vergognavi di ammetterlo e ti sentivi ridicolo!”
Questo non era un colpo basso, era un uppercut bello e buono.
Boccheggiando: “Va bene!” contento che non ci fosse qualcuno a sentire la mia ammissione.
“Dunque secondo te cosa dovrei scrivere, qual è l'idea che dovrebbe aiutarmi?”
“Aaah, allora sei proprio un testone! Pnon c'è verso di farti capire qualcosa! Povero me, proprio pnon c'è pnessuna speranza!”
“Oh, oh, oooh!! guarda che sono depresso pnon stupido!”
Ossignore sto parlando come lui, antepongo le p alle n.
Ai quattro energumeni si era aggiunto un dottore dalla voce suadente e melliflua.
“Allora scrivi!”
“Di cosa?”
“Della fantasia, pno?”
“Della fantasia?”
“Si, della fantasia e di come si può essere felici coltivandola.”
Una piccola luce si stava facendo strada in quel baratro pnero – no, nero – che era la mia testa.
“Sai che hai ragione?!?”
“Sì, sono Eta Beta.”
“Cosa c'entra?”
“Pnon lo so ma sono Eta Beta.”
Esasperante!
“Scrivi! E con questo ti saluto!”
Sparì come era apparso.
Mi avvicinai alla tastiera e febbrilmente iniziai a scrivere:
«Da due ore fissavo lo schermo desolatamente vuoto e altrettanto desolante era il foglio bianco...»
Le sigarette fumate e le bottiglie di birra sulla scrivania, tristemente vuote, facevano parte della scena che mi deprimeva ancor di più.
Attraverso i vetri, vedevo il crepuscolo lasciare pian piano il posto alla notte e con molta autocommiserazione paragonavo il fenomeno naturale al declino delle idee che mi stava assalendo; già mi vedevo, lacero e sporco, chiedere la carità agli angoli delle strade e mi immaginavo i commenti: “Peccato, era bravo, aveva delle belle idee...”.
Cercai di cancellare l'orrenda visione bevendo una generosa sorsata di birra.
Mentre ingollavo il liquido, ormai caldo, sentii una vocina che diceva: “Ma che razza di scrittore sei, pnon è possibile che tu pnon sappia scrivere pnemmeno una riga!”
Risposi automaticamente: “Eh, facile a dirsi! Farsi venire le idee non è come andare a fare la spesa, non hanno ancora aperto il negozio dove le idee si vendono al chilo, sai?!?”
Sobbalzai sulla sedia e il resto della birra finì sulla camicia; la vocina che avevo sentito non era la mia coscienza, veniva da sotto la scrivania.
Mi abbassai, certo di aver avuto un'allucinazione - troppe birre, sei ubriaco!
Poco distante dalle mie gambe, c'era un esserino alto non più di trenta centimetri, vestito con un gonnellino nero, la testa pelata e con un gran nasone.
Strabuzzai gli occhi, li chiusi, me li stropicciai, li riaprii: quel naso era ancora puntato verso di me.
Rinculai con la sedia per allontanarmi da lui – oddio sto morendo, forse questo è il preludio alla fine della vita terrena, addio amici cari, addio vecchio Flock, ricordatemi, ve ne prego!
Uscì dalla penombra ma la situazione non cambiò: era proprio seminudo, calvo e con un gran naso, unica variante stava sgranocchiando naftalina; riconobbi la confezione come proveniente dal mio armadio - pure ladro!
“Era un sacco di tempo che pnon pne mangiavo di così buona, qualità eccellente, complimenti per la scelta.”
“Ma chi ti ha dato il permesso di frugare fra la mia roba e di appropriarti della mia naftalina? Mettila giù subito!”
“Perché?”
Rimasi a bocca aperta, la voce mi si strozzò in gola tanto da farmi parlare in falsetto: “Ma come perché? E' roba mia, tu non hai il diritto di mangiarla senza che io ti abbia invitato!”
“Ah pno? Sei tu quello depresso, che pnon ha più idee, io sono qui per aiutarti, ma pnon posso farlo con la pancia vuota.”
“Tu, aiutare me? Ma chi sei?”
“Eta Beta” come se questo dovesse spiegare tutto.
“Eta Beta, ma che razza di nome è?”
“E' il mio nome”
“Ho capito, io ti ho chiesto che razza di nome è, non di chi è!” Mi stava esasperando.
“E' il mio nome”
Rinunciai, freneticamente cercai di accendermi una sigaretta, mi accorsi che le mani mi tremavano, non so dirvi se fosse perché avevo l'impressione di vivere un incubo o per la situazione paradossalmente reale.
No, non sto morendo, sono pazzo, completamente pazzo!
La visione di due energumeni in camice bianco che mi portavano via recalcitrante, mi atterrì ancor più di quella della morte.
Sembrò mi avesse letto nel pensiero, oppure fu solo la mia aria stralunata a fargli dire:
“Pno, pnon sei pazzo, tutto questo sta accadendo realmente e io sono qui per aiutarti, pnon sempre la realtà è solo quella che vediamo.”
Il rumore della naftalina sgranocchiata mi fece rabbrividire.
Finalmente riuscii ad accendermi la sigaretta, il fumo, fin dalla prima boccata, ebbe un effetto calmante.
Sempre convinto di un corto circuito irreparabile nel mio cervello, chiesi: “Di grazia, come potresti aiutarmi?”
“Suggerendoti cosa scrivere.”
“Ah, è arrivato l'essere onnisciente! Hanno già scritto di tutto e di più, a me servono idee che siano originali, non ancora espresse da qualcuno; poi... ho già scritto di tutto, ho esplorato tutti gli argomenti...”
Mi interruppe con l'aria saputa e quella vocina stridente – forse troppa naftalina? - “Di me pnon hai mai scritto!”
“Ma se è la prima volta che ti vedo!”
“Pnon è vero, ci siamo già incontrati, solo che pnon te lo ricordi.”
Terrorizzato vedevo gli energumeni raddoppiare: ce ne vogliono quattro per tenere a bada un pazzo scatenato.
“Non dire fesserie, io ricordo tutto della mia vita!”
“Anche di quando eri bambino?”
Questo era un colpo basso, risposi farfugliando: “Ora sono un uomo adulto, quei tempi sono troppo lontani e poi... che c'entra la mia fanciullezza?”
“Quello era il momento in cui la fantasia pnon aveva limiti, ti sembrava di vivere le storie che leggevi pnei fumetti.”
Feci per rispondere, ma mi fermò con un gesto della mano, schizzandomi con qualche briciola di naftalina.
Mentre guardavo, incredulo, i puntini bianchi che si scioglievano nella birra che m'infradiciava la camicia, continuò: “Hai lasciato morire il bambino per diventare adulto, hai smesso di sognare perché ti vergognavi di ammetterlo e ti sentivi ridicolo!”
Questo non era un colpo basso, era un uppercut bello e buono.
Boccheggiando: “Va bene!” contento che non ci fosse qualcuno a sentire la mia ammissione.
“Dunque secondo te cosa dovrei scrivere, qual è l'idea che dovrebbe aiutarmi?”
“Aaah, allora sei proprio un testone! Pnon c'è verso di farti capire qualcosa! Povero me, proprio pnon c'è pnessuna speranza!”
“Oh, oh, oooh!! guarda che sono depresso pnon stupido!”
Ossignore sto parlando come lui, antepongo le p alle n.
Ai quattro energumeni si era aggiunto un dottore dalla voce suadente e melliflua.
“Allora scrivi!”
“Di cosa?”
“Della fantasia, pno?”
“Della fantasia?”
“Si, della fantasia e di come si può essere felici coltivandola.”
Una piccola luce si stava facendo strada in quel baratro pnero – no, nero – che era la mia testa.
“Sai che hai ragione?!?”
“Sì, sono Eta Beta.”
“Cosa c'entra?”
“Pnon lo so ma sono Eta Beta.”
Esasperante!
“Scrivi! E con questo ti saluto!”
Sparì come era apparso.
Mi avvicinai alla tastiera e febbrilmente iniziai a scrivere:
«Da due ore fissavo lo schermo desolatamente vuoto e altrettanto desolante era il foglio bianco...»
Opera scritta il 21/02/2013 - 00:37
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