Come quell'armatura rigogliosa
che sempre seppe combattere
che mai volle farlo,
quel tarlo
logorava in me
senza pur mai farlo
quel che d'umano s'era detto.
Chi lo chiamò delitto e chi inutile sventura
chi paura
eppure sa,fu una fortuna.
E si trattò di scelte
incerte,insicure
O docili sventure..
Accidenti,Contigenti
mi pareva di toccarle
quelle poche ultime cose
sopravvissute all'arme.
E si trattò signori
sì di scelte.
Che quell'armatura non seppe combattere
a dirlo fu la paura.
Che quel tarlo venne a nuocere
lo disse la sventura.
E la donna che le possedeva
la forza e la paura
fuggiva,piano
alla parola;
Docile , aggressiva
impetuosa,tardiva
discorsiva e generosa
non seppe mai scegliere come definire
quel suo esser rigogliosa.
E mai venne definita
sotto un'albero spoglio,nudo
all'origine dei tempi
alla fine degli sgomenti
giacea tranquilla,attonita
dall'anima sua,assopita.
Non volle dirsi mai ,
seppe essere
e in mezzo a quei nomi,
piano ricrescere.
Germogliò all'alba,
Origine del tempo,
e seppe poi riposare alla notte
sotto quel lontano ginepro.
Nessuno la vide e tutti seppero chiamarla
Fu logorata e dall'armatura trasfigurata
trasandata , dal tempo consumata.
E non ebbe coraggio di combattere,
e non seppe sfuggire
al lento consumare
d'un corpo che vedeva semplicemente
giacere.
Chi disse corpo morto
chi alla donna diede torto
chi seppe imputarle una vita mai vissuta
e chi disse di quella donna come al mondo mai venuta.
Lei seppe poi fuggire
ai mille alfabeti e
alle poche lire,
sotto un'albero spoglio
dove caddero foglie,
e rinascere piano
seppero le sue giunture
corpo e anima
sofferenze e cure
un'unico elemento
a cui l'aria,tutt'intorno
diede il nome di
momento.
Visse
e non nell'eternità
ma nell'attimo
che come spina,punge.
Viva.
che sempre seppe combattere
che mai volle farlo,
quel tarlo
logorava in me
senza pur mai farlo
quel che d'umano s'era detto.
Chi lo chiamò delitto e chi inutile sventura
chi paura
eppure sa,fu una fortuna.
E si trattò di scelte
incerte,insicure
O docili sventure..
Accidenti,Contigenti
mi pareva di toccarle
quelle poche ultime cose
sopravvissute all'arme.
E si trattò signori
sì di scelte.
Che quell'armatura non seppe combattere
a dirlo fu la paura.
Che quel tarlo venne a nuocere
lo disse la sventura.
E la donna che le possedeva
la forza e la paura
fuggiva,piano
alla parola;
Docile , aggressiva
impetuosa,tardiva
discorsiva e generosa
non seppe mai scegliere come definire
quel suo esser rigogliosa.
E mai venne definita
sotto un'albero spoglio,nudo
all'origine dei tempi
alla fine degli sgomenti
giacea tranquilla,attonita
dall'anima sua,assopita.
Non volle dirsi mai ,
seppe essere
e in mezzo a quei nomi,
piano ricrescere.
Germogliò all'alba,
Origine del tempo,
e seppe poi riposare alla notte
sotto quel lontano ginepro.
Nessuno la vide e tutti seppero chiamarla
Fu logorata e dall'armatura trasfigurata
trasandata , dal tempo consumata.
E non ebbe coraggio di combattere,
e non seppe sfuggire
al lento consumare
d'un corpo che vedeva semplicemente
giacere.
Chi disse corpo morto
chi alla donna diede torto
chi seppe imputarle una vita mai vissuta
e chi disse di quella donna come al mondo mai venuta.
Lei seppe poi fuggire
ai mille alfabeti e
alle poche lire,
sotto un'albero spoglio
dove caddero foglie,
e rinascere piano
seppero le sue giunture
corpo e anima
sofferenze e cure
un'unico elemento
a cui l'aria,tutt'intorno
diede il nome di
momento.
Visse
e non nell'eternità
ma nell'attimo
che come spina,punge.
Viva.
Opera scritta il 01/10/2017 - 18:11
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Commenti
Mi piace l'opera, molto bella. Forse, se posso dirlo, il ritmo risulta un po' rallentato... dall'impostazione dei versi; ma è solo una questione di gusti personali. L'ho apprezzata molto
Francesco Gentile 02/10/2017 - 10:31
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