Rammento, era di maggio quella sera. Seduti sulle poltrone di vimini del patio, guardavamo silenti, immersi nei nostri più o meno allegri pensieri, il giardino illuminato dall’algida luce lunare.
Cercando d’intavolare una parvenza di dialogo, indicando con il braccio teso la luna, esclamai: «Il cielo è solcato da invisibili scie lanciate verso l’infinito, sono le anime in viaggio!»
Lei mi guardò, come si osserva un bambino che ha appena espresso un pensiero molto più grande di lui. «E questa, da dove viene… dalla testa o dal cuore?» mi chiese accennando un sorriso.
E tanto bastò a far si che nelle sere a venire implementassi la mia astrusa teoria con nuovi particolari, per strapparle altri sorrisi e donarle attimi di serenità.
«Alcune scie, quelle delle anime solitarie di chi non frequentò l’amore, viaggiano rette. Altre, le anime degli innamorati, corrono avvolte in spirali replicando l’atto d’amare per l’eternità» aggiunsi, la sera seguente.
«E le anime che il fato inopinatamente divise, costringendole ad abbandonare insieme alla vita anche l’amore… come viaggiano? A zig zag?» mi chiese chiosando con strisciante ironia, aprendosi al sorriso.
Non avevo risposta alla sua domanda. Riflettei per altre tre sere prima di provare a farlo convintamente. «Vedi la luce algida della luna?» esordii, indicando l’astro.
Lei annuì interessata.
Avendo oramai catturato la sua attenzione, continuai ad argomentare: «Quando il destino divide irreparabilmente un grande amore… una parte di esso resta qui a struggersi, mentre l’altra nell’attesa di unirsi a spirale con l’amato, o l’amata, ripara sulla luna. Cos’altro, se non il brulicare di anime frementi e solitarie, può donare all’astro la magica luce che tanto attrae gli innamorati.»
Lei gettò un lungo sguardo dentro la luna, come a voler cercare di scomporre la luce in tanti piccoli punti luminescenti. «Deve esserci ressa lassù, son così pressati l’un l’altro gli spiriti degli innamorati, che si son fusi in un solo grande spirito» sentenziò con una punta d’amara ironia.
«Già, devono essere davvero tanti, troppi, gli innamorati che ogni giorno il destino divide e lascia in attesa lassù… e anche quaggiù» replicai serio, riflettendo su ciò che aveva appena detto.
«Secondo te, come faranno, quando verrà il tempo di riabbracciarsi, a ritrovarsi in mezzo al mucchio di anime in attesa lassù?» mi chiese all’improvviso, senza la consueta ironia.
Bella domanda, pensai.
«Forse, ogni anima possiede una musicalità unica, capace di attrarre a se l’anima amata» risposi, a dire il vero poco convinto.
Forse lei lesse nell’espressione del volto o nel tono della voce un’esitazione e replicò di conseguenza: «No, non credo… un’orchestra dove ogni elemento suonasse il pezzo a lui più gradito, farebbe soltanto casino… Cacofonia, altro che musica celestiale: rumore assordante capace di far fuggire l’anima dell’amato fino alla fine del tempo. Questo sarebbe.»
La gran risata a conclusione della frase mi lasciò basito. Era evidente che la mia poca convinzione aveva fatto scricchiolare l’intera impalcatura della mia teoria, lo lessi nei suoi occhi. Se volevo ritrovare la credibilità perduta, avrei dovuto cercare una risposta convincente prima di tornare su un argomento così delicato.
Ma come potevo io, uomo di poca cultura e ancor meno fede, risolvere la diatriba che nessuno, nemmeno le menti più eccelse, sarebbero riuscite a dirimere credibilmente? Naturalmente non potevo. Così, l’argomentare sulle scie lanciate verso l’infinito, finì lì e, nonostante continuassi a cercare una risposta esaustiva, non tornai mai più su un argomento tanto affascinante quanto ostico.
Sono passati cinque anni; da due, ogni sera mi siedo solo sotto il patio, guardo la poltrona di vimini vuota alla mia destra, sospiro, poi guardo la luce algida della luna e cerco di capire come farò a scomporla, quando verrà il tempo d’unire le nostre scie e volare, avvinti in spirale, verso l’infinito.
Questa sera ho avvertito una fitta; per un attimo sembrò che il cuore, dopo un sussulto, s’arrestasse. «Forse è venuto il momento di trovare la risposta, invano cercata quaggiù» mi dissi, finalmente sereno.
A fatica raggiunsi la camera, aprii la finestra e mi sdraiai vestito sopra il letto; una stupenda luna piena e l’inebriante profumo di colei che amo invase la stanza. «Ecco la risposta invano cercata» sospirai, inseguendo, con lo sguardo e l’olfatto, la scia che partendo dalla camera puntava dritta ad un minuscolo punto, illuminato dalla calda luce dell’amore… là, sull’algida Luna.
Ora che il sentiero profumato ha disvelato il percorso per raggiungere l’astro dov’ella m’attende, potrò finalmente raggiungerla, per iniziare insieme il lungo viaggio che conduce… non so dove.
FINE
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