La serenità, il sorriso, se n’erano volati in cielo, assieme a lei.
La cupezza, l’espressione melanconica, fu d’allora il marchio di fabbrica del mio esistere.
Melanconia e muta disperazione, questo provavo ogni volta che aprivo la porta della sua camera, rimasta come la lasciò quell’ultimo giorno.
Così, una sera presi la decisione di non aprire mai più la porta dei rimpianti.
Tenni duro per più di quindici giorni. Poi, un caldo pomeriggio di luglio, con il sole a picco che picchiava duro come i cupi pensieri che martellavano la mente, una forza misteriosa mi spinse ad aprire ancora quella porta.
Entrando non vagai, com’ero d’uso fare, con lo sguardo intorno alla camera, ma puntai deciso verso la grande libreria a parete (quattro metri per tre) e lì mi soffermai ad osservare, rapito, i libri bellamente esposti che, con i loro colori e le loro storie da narrare, emanavano aroma di vita rallegrando l’intera parete.
«Nemmeno se campassi cento anni, riuscirei a leggerli tutti… come avrà fatto, nei suoi pochi anni, a raccoglierli e leggerli tutti?» mi chiedevo, orgogliosamente stupito da tanta esibita cultura.
Leggendo i titoli sui dorsi, l’occhio mi cadde su un volume che, a differenza di tutti gli altri, era girato sottosopra.
Incuriosito lo presi, lo rigirai, lo aprii e lessi il titolo e la prefazione: era un romanzo d’amore, una storia struggente dal finale, purtroppo, scontato.
Tenendolo fra le mani lasciai scorrere velocemente le pagine e arrivai al risguardo finale; la pagina, solitamente bianca, era vergata a mano in bella calligrafia.
Un attimo di emozionata commozione mi colse nel riconoscere la sua bella grafia.
Mi sedetti sul letto, e con voce tremante iniziai a leggere: «Perché le grandi storie d’amore devono finire sempre in tragedia? Perché il pensiero della morte ci deve accompagnare per l’intera vita? Perché non proviamo, per una volta, a vivere e pensare al contrario di quel che la logica imporrebbe? Io ci ho provato: ho iniziato a leggere, pervasa di cupezza, la storia dalla fine, e più mi addentravo verso il principio, più il mio umore migliorava; e quando arrivai finalmente all’inizio, una serenità d’animo sconosciuta prese il posto della cupezza. I protagonisti erano tornati a vivere felici uno accanto all’altra. Chiunque tu sia, che negli anni a venire leggerai queste poche parole; ascolta: prova anche tu per una volta la leggerezza, l’ebbrezza che dona vivere al contrario. Getta per un attimo alle spalle le quotidiane incombenze e prova a guardare il mondo che ti circonda da una diversa prospettiva… provaci almeno una volta, e la tua normale vita, muterà in una divina anormalità. Ora, prima di andartene a provare l’ebbrezza del vivere al contrario; chiudi il libro e rimettilo al suo posto, rovesciato, così come lo hai trovato. Sicché un giorno, incuriosendo qualcun altro si lasci prendere e leggere, convincendo anche lui a nutrirsi di una nuova filosofia di vita.»
Chiusi il libro e lo riposi come lei desiderava, poi rimasi con lo sguardo perso a riflettere.
Voltandomi vidi il mio sguardo riflesso nello specchio sopra il comò, una serenità sconosciuta addolciva la durezza dei lineamenti; una forza misteriosa mi spingeva a provare l’ebbrezza del vivere al contrario.
Uscii dalla camera, guardai con noncuranza la pila di documenti da sistemare sul mio tavolo da lavoro e mi precipitai in strada. Un caldo asfissiante da togliere il respiro, investendomi, mi rammentò che da giorni la bolla africana insisteva sulla bassa padana.
Le rabbiose bestemmie di un muratore intento a ristrutturare la casa accanto alla mia, attirarono la mia attenzione. Ne aveva ben donde il poveretto: sotto un sole a picco che spaccava le pietre, con quaranta gradi all’ombra e l’umidità che sfiorava il novanta per cento, stava tirando su un muro di mattoni.
Stampando un bel sorriso in faccia all’imbronciato artigiano, mi feci innanzi. “Cos’ha, perché ride questo perditempo… mi sta prendendo in giro? Se si avvicina ancora, gli tiro un mattone in testa a questo cretino” deve aver pensato in quel momento. La cosa non mi spaventò e continuai ad avanzare.
«Questa è area di cantiere, se ne vada!» fu il perentorio invito che mi rivolse sbraitando.
Mi arrestai, e usando un tono avvolgente, che in verità non sapevo di possedere, iniziai a declamare il verbo del vivere al contrario: «Non sprechi la sua giornata addosso a quel muro. Non vede che cielo, che sole…laggiù, a poche centinaia di metri c’è una piscina. Getti la cazzuola e scenda da quel ponteggio; il muro non si offenderà di certo se invece di crescere di qualche metro oggi, lo farà domani. Vada a farsi un bel bagno, al muro, ci penserà domani; quando sarà meno stanco e più sereno.»
A dire il vero, non lo so neanche io quale profondo pensiero intendessi esprimere con quella frase. Mi uscì così, di getto; e così la offersi al povero muratore che, incredibile a dirsi, mi prese in parola: gettò la cazzuola, scese dal ponteggio, passandomi accanto mi assestò una robusta pacca sulla spalla e, ringraziandomi, si diresse verso la piscina.
Felice per aver vissuto il mio attimo al contrario, e aver convinto il muratore a fare altrettanto, rientrai in casa, tornai nella sua camera, ripresi il libro, lo aprii e iniziai a leggerlo partendo dalla parola “FINE”.
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Sto rileggendo il racconto che ho appena scritto… sì proprio quello che tu hai appena letto, per trovare un significato a quel che ho appena vergato.
La camera e la libreria traboccante di libri esistono veramente; il libro del racconto, no.
Lei leggeva molto, di tutto, e scriveva divinamente.
Io, forse per il poco tempo a disposizione all’epoca, leggevo poco e non scrivevo affatto quando lei era ancora fisicamente presente.
Improvvisamente, qualche anno fa, ho iniziato a scrivere; sciocchezze forse, ma che mi sono state d’immenso aiuto, se non a sconfiggere, perlomeno a contenere il pregnante dolore che avvolge l’animo umano, devastato da accadimenti difficili, se non impossibili, da accettare anche per chi fosse aduso frequentare con convinzione il tempo dell’attesa di un domani migliore, da trascorrere in un luogo ove la felicità perduta ci sarà restituita in eterno.
Fu così che, a modo mio, iniziai a vivere al contrario. E oggi, rileggendo quest’ultimo scritto mi sento di affermare: lei è ancora qui, è dentro di me con tutta la sua cultura, è lei che batte i tasti della mia mente, spingendomi ad esprimere e scrivere pensieri.
Tu che mi leggi, forse penserai che siano elucubrazioni di un uomo che il dolore ha spinto sull’orlo della follia… potrebbe essere, chi può dire cosa è veramente follia nel nostro quotidiano vivere?
Per molti, chi lavora lo stretto necessario per vivere e passa il resto del tempo immerso nel sogno, è un pazzo.
Per me, e spero anche per molti altri, chi lavora tutta la vita per accumulare una montagna di denaro che non riuscirà mai a spendere, è un folle.
Il mondo è bello perché vario, e ognuno lo vive a modo suo; ma la verità vera è una e una soltanto: se tutti imparassimo a vivere al contrario, il mondo sarebbe migliore.
FINE
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Ciao Margherita.
Giancarlo.
Complimenti bellissimo!
Ciao Grazia
Giancarlo
non so dirti a quale sfera della vita appartengano, ma le cose strane accadono,quella di cui scrivi è come un dialogo, tra te e lei, che non si è mai interrotto...
Un saluto
ciao Vincent.
Giancarlo