Correvano appaiati, sfiorandosi senza mai toccarsi: come due centometristi confinati all’interno delle rispettive corsie. Anzi, data la velocità inusitata e l’assenza di un traguardo da tagliare, oserei paragonare la loro folle corsa a quella di due parallele lanciate verso l’infinito.
Lui, giovane e aitante dal fisico scultoreo, sguardo volitivo lanciato ben oltre l’orizzonte.
Lei, gracile e indifesa, dallo sguardo perennemente timido e spaventato; innamorata persa del colosso che le correva a fianco desiderava follemente, senza mai trovare il coraggio di farlo, saltare a piè pari la corsia, abbracciarlo e baciarlo fino ad amalgamarsi in un unicum di eterno, ardente piacere con l’amato.
Ma l’architetto del creato per rendere il suo capolavoro forte, invulnerabile e incorruttibile, pensò bene di privarlo del dono più importante: il desiderio d’amare. Rendendo praticamente impossibile un qualsiasi tipo di approccio fra i due amanti perduti.
Per la verità, di perduto v’era solo l’amore sconfinato che lei nutriva per il colosso dallo sguardo di pietra; al quale, non avendo mai né conosciuto né frequentato l’amore, non passava nemmeno per’anticamera del cervello il desiderio di accoppiarsi con quella che giudicava poco più che un fastidioso ronzio di zanzara accanto alle sue divine orecchie.
La corsa allegra e scoppiettante, con il trascorrere degli anni per lei mutò in una triste, patetica maratona. Ansimando cercava di tenere il passo sempre fresco e potente del suo eternamente giovane compagno di corsa; immarcescibile colosso cui le ingiurie della vecchiaia sembravano scivolargli di dosso, come la polvere risucchiata dal vento generato dalla sua imperiosa falcata.
“Ho corso sognando di unirmi a lui per anni e anni, senza mai deflettere dal mio proposito. E ora che mi sento vecchia e stanca, sono costretta a fermarmi, guardandolo allontanarsi senza nemmeno il ricordo di un suo accenno di sorriso; di un complimento, anche falso; di un qualcosa che ora mi permetta di credere di non aver corso invano” pensava, ansimando con le lacrime agli occhi, sentendo le gambe farsi di pietra e le forze venirle meno.
«No! Non può finire così! Non deve finire così!» proruppe richiamando dagli esausti polmoni il poco fiato rimasto.
E finalmente trovò il coraggio di fare quel che aveva sognato fin dall’inizio della sua folle corsa.
Raccolse le residue energie e, con un balzo felino degno di una giovane tigre, saltò a piè pari la corsia in cui era costretta e si gettò addosso all’amato.
Il risultato non fu certo quello desiderato; lui accolse il focoso abraccio come una fastidiosa puntura di zanzara, e come tale trattò l’amore disperato di lei: con un gesto istintivo della sua potente mano scacciò la poveretta facendola rotolare lontano e imperterrito proseguì nella sua corsa.
Poco più avanti, quando se la trovò davanti, stesa a terra supina che ancora implorava amore, la reazione fu a dir poco sconcertante: gli passò sopra calpestandola senza pietà e proseguì, senza rallentare, la sua eterna corsa.
Correva impettito, e lo sguardo tagliente come la prua di una nave apriva il vento, che ricomponendosi repentinamente alle sue spalle generò un vortice impetuoso, tanto potente da spazzare via per sempre i resti della mai amata, fragile Vita; andata in frantumi inseguendo l’utopico desiderio di correre per l’eternità accanto all’amato, inossidabile Tempo.
FINE
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Ciao Vincent
Giancarlo