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Un paio di scarpe sporche

Cosa volevano dirmi quelle scarpe parlanti,
senza lacci e infangate,
davvero no lo so.
Ero così confuso da non comprendere
quel semplice linguaggio
fatto forse con un sì o con un no!


Non appartenevano di certo a un re,
a un ricco, ad un nobile blasonato.
Di sicuro, a un poveraccio,
a un vero disgraziato.


Stavano lì, da sole rimaste,
perché il suo padrone poveraccio,
uomo dignitoso,
emarginato da questa misera realtà,
era appena deceduto,
congelato per il freddo
sotto quell’immenso porticato.


Nessuno dei passanti se n’era
accorto che i suoi occhi
erano serrati ma sereni e quel suo bianchissimo viso.


Sicuramente quel misero pensava che almeno lassù
avrebbe trovato un luogo caldo,
il suo vero, definitivo, paradiso.


Ha scontato cara, quaggiù,
la sua misera condizione.
Però di certo avrà lassù,
la sua meritata calda conclusione.


Ed io che abito nei quartieri alti,
mendicherò un giorno,
proprio a lui, una briciola di quel sorriso eterno.


Chissà cosa mi risponderà!
Mi chiederà di togliere le mie calde ciabatte,
e indossare quelle sue povere scarpe tutte rotte.
Solo così il buon Dio mi riceverà,
altri sistemi, non ce ne sono davvero,
per raggiungere l’eternità.




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Opera scritta il 04/01/2018 - 16:53
Da Vincenzo Scuderi
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