Mi nascondevo nel rumore che compone
la penna sul foglio
quando la si impugna;
La schiena curva
sul da farsi che si accumulava
man mano scomponevo
il ritmo dei miei giorni
e l'urlo della carta ad ogni asta,
virgola o punto che gli incidevo
sul dorso liscio.
Non c'ero che io,
io solo
con tutto il mio mondo
incastonato in me
e non lo si poteva vedere,
non lo si poteva scorgere.
Io ero le onde che affligono il mare
e non lo si percepiva
se mi camminavi accanto,
né se mi cingevi le spalle
con il braccio,
nemmeno parlandomi
nemmeno chiedendomi di riverlarmi.
Qualcuno mi parlava
faceva domande
annuivo,
ma dentro sognavo la notte
planavo a braccia tese
su un bosco che cresceva
tra fila di cemento abitato
e scendevo a piedi dritti come a voler danzare
sui fili elettrici dei tralicci
e questi si facevano sottili, via via sempre più sottili,
fino a perdersi nell'azzurro,
con loro mi assottigliavo anche io,
divenivo una spiga di nubi
più fine, più leggiadro,
così potevo risalire, ancora un altro po',
stavolta su un soffitto imperlato di lune
dove travasavo il sangue
per barattarlo in cambio di un'altra ora
da passare con la schiena sul mio prato di stelle
poi di nuovo giù
in picchiata contro la terra
a ingozzarmi di fango,
dove mi mettevo a scardinare bocche di ferro
a isolarmi nelle botteghe del rumore
e infine di corsa contro l'ultimo orizzonte
come a volerne rapire tutti i tramonti
e saziarmene i polmoni
di tutto il verde che c'era.
Salivo, salivo più su
fino al punto più alto
fino a capire
che mi amo un po' di più
se sono più me stesso
e sono più me stesso
se mi amo un po' di più.
il mio nome,
di nuovo qui,
scusa
guardavo fuori dalla finestra,
cosa guardavi?
Forse me,
quello che farei,
che vorrei essere
o divenire
se avessi più del solo tempo di questa vita
per capirmi
la penna sul foglio
quando la si impugna;
La schiena curva
sul da farsi che si accumulava
man mano scomponevo
il ritmo dei miei giorni
e l'urlo della carta ad ogni asta,
virgola o punto che gli incidevo
sul dorso liscio.
Non c'ero che io,
io solo
con tutto il mio mondo
incastonato in me
e non lo si poteva vedere,
non lo si poteva scorgere.
Io ero le onde che affligono il mare
e non lo si percepiva
se mi camminavi accanto,
né se mi cingevi le spalle
con il braccio,
nemmeno parlandomi
nemmeno chiedendomi di riverlarmi.
Qualcuno mi parlava
faceva domande
annuivo,
ma dentro sognavo la notte
planavo a braccia tese
su un bosco che cresceva
tra fila di cemento abitato
e scendevo a piedi dritti come a voler danzare
sui fili elettrici dei tralicci
e questi si facevano sottili, via via sempre più sottili,
fino a perdersi nell'azzurro,
con loro mi assottigliavo anche io,
divenivo una spiga di nubi
più fine, più leggiadro,
così potevo risalire, ancora un altro po',
stavolta su un soffitto imperlato di lune
dove travasavo il sangue
per barattarlo in cambio di un'altra ora
da passare con la schiena sul mio prato di stelle
poi di nuovo giù
in picchiata contro la terra
a ingozzarmi di fango,
dove mi mettevo a scardinare bocche di ferro
a isolarmi nelle botteghe del rumore
e infine di corsa contro l'ultimo orizzonte
come a volerne rapire tutti i tramonti
e saziarmene i polmoni
di tutto il verde che c'era.
Salivo, salivo più su
fino al punto più alto
fino a capire
che mi amo un po' di più
se sono più me stesso
e sono più me stesso
se mi amo un po' di più.
il mio nome,
di nuovo qui,
scusa
guardavo fuori dalla finestra,
cosa guardavi?
Forse me,
quello che farei,
che vorrei essere
o divenire
se avessi più del solo tempo di questa vita
per capirmi
Opera scritta il 27/01/2018 - 16:44
Da Matih Bobek
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Commenti
...che mi amo un pò di più se sono più me stesso e sono più me stesso se mi amo un pò di più...
molto bella, introspettiva, profonda
complimenti
molto bella, introspettiva, profonda
complimenti
laisa azzurra 27/01/2018 - 20:02
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