LA CASA NEL BOSCO
C’è silenzio attorno a me, solo il fruscio delle fronde degli alberi mosse dal vento ed il rumore dei miei passi che mi accompagnano verso la meta, verso quell’attimo di pace così intimo e così tanto agognato.
Ho una piccola casa nel bosco, in realtà è una capanna di pietre e di legno dove ogni tanto mi rifugio lontana dai rumori, lontana dallo sterile brusìo e dagli sguardi persi in pozzi troppo profondi ed oscuri dentro i quali è inutile cercare bagliori.
In questo angolo di mondo non funziona il cellulare, non c’è corrente elettrica e mancano tutte le comodità ma c’è quel che mi basta per essere serena, almeno per qualche istante.
Nessuno conosce l’esistenza della mia preziosa dimora che ho costruito negli anni, mettendo in ordine una pietra sopra l’altra, scegliendole accuratamente, esattamente come vorrei fare con i miei pensieri, armonizzandoli, pensieri così spesso bersaglio del mio stesso rigore e dei miei deleteri sensi di colpa. Nessuno potrà mai raggiungermi e distogliermi da questa condizione di quiete e di silenzio e mai nessuno farò entrare in questo spazio che custodisco e difendo come il più zelante dei guardiani.
Il cigolio della porta, arrangiata con delle semplici assi di legno grezzo, mi dà la benvenuta ed io finalmente mi sento a casa, in questa minuscola stanza dove la luce filtra dall’unica, piccola finestrella e dove il camino che occupa la stretta parete è il mio fidato confidente. Sull’altro lato c’è un vecchio divano su cui è stesa una coperta di lana colorata, quella che fece mia nonna all’uncinetto con i maglioni disfatti, così piena di ricordi e di profumi e tanto preziosa da racchiudere in sé la storia e le voci di tutta la famiglia.
Non ci sono arredi, qui sarebbero inutili. Ci sono solo delle nicchie tra le pietre e in una di queste ho inserito un quaderno, bianco, e qualche penna.
Non so a cosa serviranno quei fogli immacolati, forse ci scriverò qualcosa, delle sensazioni, paure o speranze, e la cosa mi spaventa non poco perché parlare a me stessa è tra le cose più ardue che io possa chiedermi. O forse li lascerò così, bianchi, non imbrattati dalla mia vita.
Mi chiudo la porta alle spalle e prendo il solito sentiero, calamitata dalla voce del mio amico, il torrente, che scorre instancabile nel suo perseverare, nel suo rinnovare purezza e vigore. L’acqua, che mai si ferma, discorre con me ogni volta, sembra incitarmi a non desistere e a scavalcare le pietre che incontro nel mio cammino, o dove impossibile almeno a raggirarle.
Lo raggiungo, inebriata dal profumo della menta selvatica e sorrido, serena, al canto dei cardellini. Salto sui sassi e raggiungo la mia isola, un’enorme roccia posta al centro del torrente, dove l’acqua sbattendoci si separa. Compio il mio gesto rituale e mi ci sdraio sopra e mentre sento l’acqua defluire ai lati con potenza i miei muscoli si rilassano, il battito del cuore rallenta e la mia anima, fluida, si assesta. Tutto torna a posto. L’acqua, nel suo scorrere riesce a liberarmi dei pesi che con fatica mi trascino, è come se mi lavasse l’anima rendendola leggera e mondata da ogni sozzura del quotidiano.
Il mio sguardo cerca l’azzurro del cielo tra le fronde dei pioppi che crescendo ai lati del torrente finiscono per incontrarsi ed abbracciarsi, e le foglie nel loro frenetico movimento emettono quella musica, così simile ad un applauso. E non so se si fan beffe dei miei fallimenti o plaudono ad ogni mio piccolo passo: forse entrambe le ipotesi, chissà, forse deridono la mia severità e la mia caparbietà in un mondo dove ormai si tende ad affrontare la vita in modo superficiale, o forse le approvano, in questo mondo dai modi troppo sciatti ed arrendevoli.
A volte fantastico e mi sembra che quest’isola in mezzo al torrente sia una barca alla deriva in un mare placido che mi culla e mi coccola, come una piccola figlia da sanare e da ridare al mondo; altre invece, penso sia una bara, in movimento verso l’ignoto. Cosa sarà poi la morte se non l’unica e più intima e segreta esperienza che l’essere vivente si troverà a vivere?
I miei pensieri vagano, trascinati dalla corrente e dal vento, in un cristallino turbinio che mi dona armonia e serenità, madri di nuove risorse, indispensabili a compiere nuovi passi.
Vengo spesso nella mia casa nel bosco, e ogni volta attingo delicate parole dal torrente.
Vengo ogni volta che posso.
Mi basta chiudere gli occhi.
Millina Spina, 29 luglio 2018
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un pensiero profondo che tocca argomenti dai quali noi, comuni mortali, fuggiamo, quasi come un gesto scaramantico, coì il pensiero....
lo trovo, a tratti, malinconico, quasi ci fosse una sorta di rassegnazione agli eventi, a quelli che tu chiami fallimenti...ma bellissimo
Ti cattura perché intimo, introspettivo, dove in fondo il lettore legge qualcosa di sé.
Chiunque infatti ha bisogno di un posto, fisico o mentale, lontano da inutili rumori, dove rifugiarsi e da cui ripartire rinnovati.
Piaciuto molto, Millina.