«La nebbia si è alzata, ne approfitto per andare al “Bennet” a fare spesa», annunciò Savino indossando il cappotto. «Ti ringrazio d’avermelo rammentato, mica me lo ricordavo che dovevo comprare i dolcetti per i bambini», aggiunse prendendo le chiavi di casa dal tavolino.
«Tu non te lo saresti certo scordato», sussurrò sospirando, controllando i fiori nel vasetto di cristallo posato sul tavolino tra due ritratti; quello della moglie a cui si era appena rivolto e l’altro della figlia. «Oggi non ho visto la maschera da strega sul tuo letto… Se non l’hai spostata tu, devo averlo fatto io inavvertitamente ieri, quando ho arieggiato la camera», disse accarezzando il ritratto. «Il guaio è che non mi ricordo dove l’ho messa», aggiunse corrugando la fronte.
Sospirò. «Va beh, Halloween è domani… quando tornerò la cercherò… Ciao, Rosita», la rassicurò salutandola. Poi volse lo sguardo sul ritratto della moglie e la voce s’increspò: «A dopo, cara», riuscì solamente a pronunciare. Tirando su col naso provò a trattenne la commozione, si tolse gli occhiali, asciugò gli occhi, liquidi e chiarissimi, e dopo aver rinforcato le lenti scese in garage. Lì giunto salì sulla vecchia “Panda” e dopo essere uscito dal passo carraio si avviò lentamente in direzione del centro commerciale.
L’ottantenne Savino Scolari, da quando, tre anni prima, la settantatreenne Ada, sua moglie, se n’era andata a far compagnia alla figlia, che da ormai dieci anni domiciliava nella cappella di famiglia, viveva da solo nella villetta dall’intonaco invecchiato e ammalorato: era come se il dolore che lo aveva invaso, prima per la perdita della figlia e successivamente dell’amatissima moglie, lo esprimesse, oltre che nello sguardo perennemente afflitto, nella poca cura dedicata all’immobile dentro al quale aveva condiviso felicità e gioia con le sue due donne.
Ada aveva lottato per diventare madre. E quando, dopo ben tre aborti spontanei era riuscita, a quasi cinquant’anni, a sodisfare il suo desiderio, non avrebbe mai immaginato che la luminosa felicità portata da quella bimba dentro la loro casa sarebbe durata il breve spazio di una giovinezza spezzata.
Rosita se n’era andata schiantandosi contro un grosso platano mentre si recava in discoteca a festeggiare Halloween. Aveva diciotto anni e una gran voglia di vivere, ma questo non era bastato a far sì che qualcuno, o qualcosa, recepisse il grido di dolore di una madre che, stringendo a sé la figlia che lottava strenuamente distesa nel letto di un ospedale, implorava disperata: «Ti prego, lasciala vivere… prendi me.»
Ma i miracoli son tali perché capitano sempre agli altri. E così quella notte Ada aveva iniziato a morire… o forse lo era già, ma aveva provato a vivere ancora un po’ per non lasciare solo e disperato il povero Savino.
Il carrozziere che aveva recuperato la macchina, prima di fargli firmare le carte per demolirla l’aveva mostrata a Savino. «Per favore… me la potrebbe prendere?» gli aveva chiesto con voce rotta, indicando la maschera in lattice da strega incastrata fra i sedili posteriori.
Il carrozziere, facendosi strada a fatica tra le lamiere contorte, l’aveva recuperata.
«Grazie», aveva mormorato Savino stringendola al cuore. Poi aveva firmato le carte e se n’era tornato mestamente a casa.
«Vado a metterla sul suo letto», aveva singhiozzato Ada prendendola dalle mani tremolanti di Savino.
Ada aveva iniziato a procurarsi i dolcetti ancor prima che nascesse Rosita per offrirli ai bambini che avessero suonato alla sua porta, aveva proseguito anche quando la figlia ormai adulta festeggiava Halloween con gli amici in discoteca e non aveva smesso nemmeno negli anni che seguirono il tragico evento.
«Ricordati i dolcetti per Rosita e gli altri bambini», si era raccomandata con il marito pochi giorni prima che la morte la rapisse a lui e la liberasse dal dolore interiore, e dal male cattivo e insolente scoperto solo due mesi prima.
Savino le aveva promesso che nulla sarebbe cambiato. Così, da ormai tre anni, il giorno prima di Halloween era d’uso recarsi al “Bennet” per comprare i dolcetti che, dopo averne posati qualcuno sul letto accanto alla maschera da strega della figlia, avrebbe offerto ai bambini, in verità pochi, che avessero suonato alla sua porta.
Camminando lentamente, guardando distrattamente le vetrine del centro commerciale, ripassava mentalmente la scarna lista della spesa: le solite quattro cose che rammentava benissimo senza doversele scrivere.
Entrò nel supermercato, prese una delle ceste in plastica rosse e s’incamminò tra gli scaffali.
Prelevava quasi automaticamente pasta e quant’altro gli servisse dagli scaffali osservando, smarito, una coppia di anziani controllare i prezzi dei cartellini sul bordo dei ripiani. “Sono stanco, Ada, la solitudine è una gran brutta bestia… invecchiare insieme, nonostante quello che ci è capitato, sarebbe stato comunque, perlomeno accettabile… ma così, no! E’ una tortura continua, non ce la faccio più”, rifletteva guardandoli dibattere su cosa sarebbe stato più conveniente prendere.
«Pasta, riso, insalata, formaggio… c’è tutto…» disse controllando la merce dentro la cesta. «Ah! Che sbadato… mi scordavo i dolcetti», fece battendo i polpastrelli dell’indice e del medio della mano destra contro la fronte.
La direzione per stimolare la curiosità e il desiderio dei più piccoli, sicché i grandi le comprassero, aveva sistemato strategicamente maschere e quant’altro riguardasse Halloween nella stessa corsia dei dolciumi, sugli scaffali di fronte.
Savino entrò nella corsia puntando lo sguardo alla sua destra, sugli scaffali dei dolciumi. Solamente quando raggiunse e prese ciò che andava cercando, voltandosi per tornare indietro si accorse delle maschere in lattice appese alla scaffalatura che parevano guardarlo.
«Mah! Non è possibile… come ci è arrivata fin qui?» si chiedeva sconvolto, osservando attentamente una maschera da strega.
Un rapido flashback mentale lo riportò dal carrozziere, che mostrandogli lo sbrego sulla guancia della maschera appena recuperata gli diceva: «Mi spiace, era incastrata, ho dovuto tirarla e si è strappata».
«Lo stesso strappo, nello stesso punto… E poi il colore, consunto dal tempo…» diceva ansimando.
Improvvisamente i rumori e il vociare dentro il supermercato si spense. Savino vide una gran luce scendere dall’alto. Poi tutte le maschere si staccarono dagli scaffali e iniziarono a roteare vorticosamente intorno a lui. «Sei tu, Rosita!» esclamò allungando la mano per afferrare la maschera da strega, senza peraltro riuscirci.
Ci provò di nuovo due, tre volte. Ma ogni volta la mano attraversava la maschera senza riuscire ad afferrarla.
«Mamma! Mamma!» la voce stupefatta di un bimbo ruppe l’incantesimo.
«Cosa c’è, Robertino?» chiese la madre arrivando trafelata spingendo il carrello, dentro al quale aveva sistemato spesa e figlia più piccola.
«Le maschere stavano facendo un girotondo», rispose il piccolo indicandole.
Savino osservò la madre. «No signora, non è fantasia infantile, le assicuro che le ho viste anch’io», disse. Ma né la madre, né tantomeno i due bimbi sembrarono udirlo.
Allora provò ad avvicinarsi. «Ma che mi succede, non riesco a staccarmi dallo scaffale!» esclamò spaventato.
Volse lo sguardo a destra. «Rosita, tu sei qui», disse commuovendosi, guardando la maschera da strega appesa lì accanto.
Guardando in alto gli parve di vedere sua moglie sorridergli. «Ada… finalmente ci siamo riuniti», sospirò tacendosi subito dopo.
«Voglio quella maschera lì», fece il bimbo indicandola.
«Ma che te ne fai, è brutta, sembra un vecchio che piange…», disse la madre osservandola perplessa. «Prendi questa, da zombie, è più in tema», aggiunse mostrandogliela.
«No! O quella, o niente!» s’impuntò il piccolo mettendo il broncio.
«Va bene», sospirò la madre, staccandola dallo scaffale e buttandola nel carrello.
«E tu, Sara, quale maschera vuoi?» chiese alla bimba seduta nel carrello.
«Quella da strega», rispose felice, indicandola.
«Ma è vecchia e rotta, non vedi? Che te ne fai… prendi quella da vampiro», provò a convincerla la madre, indicando lo sbrego sulla guancia.
«No, no, no! Non mi piace il vampiro. Voglio strega!» singhiozzò la bambina.
«Va bene, va bene, non piangere», la rincuorò accarezzandola. «Toh, sei contenta?» le chiese poi mettendola nel carrello.
«Sì», fece lei asciugandosi due grossi lacrimoni.
La madre sorrise e spingendo il carrello si avviò verso le casse.
Mentre attendeva che chi la precedeva terminasse di pagare il conto, udì urlare: «Correte, sta male!»
Cassiere e clienti in attesa volsero lo sguardo tra gli scaffali dove stavano accorrendo i commessi.
Ogni attività cessò all’instante, clienti e cassiere cercavano di capire cosa stesse accadendo. Poco dopo sopraggiunse un commesso. «Un vecchio si è sentito male nel reparto dolciumi», informò la cassiera.
«Come sta?» domandò lei.
«Temo che sia andato», rispose il commesso allontanandosi.
«Così è la vita», sospirò la cassiera, consegnando resto e scontrino al cliente in attesa.
«Mah, le maschere, dove sono finite?!» esclamò la madre, iniziando a svuotare il carrello sul banco della cassa.
«Le avevo messe sopra la pasta; una da strega e un’altra… un po’ strana… un vecchio che piangeva», spiegò alla cassiera.
«Impossibile!» esclamò lapidaria lei. Spiegando all’esterrefatta madre che: «Le maschere da strega le abbiamo finite due giorni fa… E quelle da vecchio che piange, no, non le ho proprio mai viste».
FINE
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Ti ringrazio.
Ciao Grazia.
Giancarlo.
Ciao Paola, amica di penna e di pedale.
Giancarlo
Ciao Antonio
Bravo
Un caro saluto Giancarlo
Malinconico, struggente, un Halloween che vale la pena di ricordare per un agognato ricongiungimento di una famiglia che in Terra non aveva avuto modo e soprattutto tanto tempo per godere appieno della gioie dello stare insieme. Una storia d'amore...
Bravo Giancarlo, un abbraccio