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La solitudine delle farfalle bagnate dal mediterraneo.

(versione Breve)
Questa è la storia di una gola che credette di poter ingoiare un essere umano.
L’essere umano in questione è Omar, un uomo magro, un po’ calvo, pieno di malinconia ed un costume blu. Si presentava così quando l’ho incontrato sulla spiaggia per la prima volta. Due estati fa per la precisione; era steso sul lettino a contemplare il nulla. Pareva un uomo a cui spettava una vita tranquilla e pochi cazzi. Fanculo la filosofia, lo yoga e le religioni; fanculo l’ostinata ossessione per la ricerca di sé stessi. La ricerca della felicità è questione faticosa. Ad Omar piaceva guardare le nuvole con i suoi occhi spenti, ascoltare il mare con disinteresse e leggere le copertine delle riviste estive. Di emozioni forti manco a parlarne. Una sequenza lineare, per un uomo lineare.
Una storia già scritta.
Ma capita che la macchina da scrivere s’inceppi e lo scrittore debba cambiare registro.
Tuttavia, quel giorno d’estate, mentre i bambini costruivano castelli per difendere la spiaggia dorata dai pirati neri del mare blu, la gola di Omar sussurrò una richiesta:
“ Ho sete”.
Strano, pensò Omar, di solito è la mia bocca che ha sete e non la mia gola; così, senza soffermarsi più di tanto, scoprì che la sua gola aveva bisogno di essere dissetata.
Prese una bottiglietta d’acqua a temperatura ambiente, e con piccoli e costanti sorsi, la svuotò, dissetando un capriccio più che un’esigenza.
Ma la bellezza dei capricci risiede nella loro pluralità.
Poco dopo, la gola sussurrò:”Ho molta fame”.
Omar spiazzato e spazientito, alzò il capo al cielo e sbuffò contro una nuvola dalla forma di un rinoceronte, rovistò nella borsa termica e le diede una perzeca ianca bellissima, in cambio del suo silenzio; ma la gola, che oltre alla perzeca masticava furbizia, lo ingannò e iniziò a farsi sentire con sempre più frequenza.
Le richieste, inizialmente, furono bisogni primari: la fame, la sete, il sonno, le donne e il vino.
Immaginatevi adesso Omar, un tipo che non voleva seccature, dover provvedere a questi bisogni con frequenza sempre maggiore. Come un ricatto, da parte di qualcosa dentro di sé che si ribellava a quella vita senza grandi pretese.
“Ma è la mia vita” ripeteva Omar alla sua gola.


Nell'imprevedibilità di fine estate, la gola iniziò a provare le emozioni, e chiese con garbo:
-Omar, Ti va di piangere?- oppure –Ti va di ridere?-.


Omar era confuso, di solito tutte queste richieste provenivano da organi diversi del suo corpo, ma adesso sembrava essersi concentrato tutto lì, nella sua gola. Come se la gola avesse racchiuso tutti i suoi organi. Una chiusura, una concentrazione di qualcosa di strano e pericoloso in un sol punto, anzi una sfera, che gode da ogni direzione della stessa solitudine. Infine, proprio come una sfera compressa allo stremo che esplode, la gola, ingorda di emozioni, iniziò a pensare; da quel momento tutto cambiò.


Nel frattempo l’estate consumò i suoi ultimi giorni ed Omar tornò a Parigi, alla sua vita di sempre, lavoro d’ufficio; ma non era più la stessa persona.
Era, nei confronti del mondo, distratto e lontano, assente; disturbato soprattutto dalla gola parlante, la vita gli scorreva accanto e lui si scostava, concentrato a capire il perché di tutto ciò.


La gola, intanto, affamata di conoscenze, s’interfacciava al mondo, esplorandolo più di quanto avesse fatto Omar nei suoi 36 anni di apatia; e grazie alla ragione acquisita, formulò le prime domande:
-Omar, cos’è l’amore?-
-Omar, perché le persone diventano così cattive quando un uomo ha bisogno d’aiuto?-.
Ma Omar non rispondeva, le domande stagnavano prima nella gola e poi nella sua testa, domande che aveva sempre nascosto a sé stesso si palesavano adesso prepotenti e feroci.


Ecco come l’imbroglio genera ferocia. Minosse provò ad imbrogliare Poseidone e fu punito con la figura del Minotauro, feroce e selvatico.
Se vuoi imbrogliare te stesso, la ferocia che si genera è ancora maggiore.


Con il trascorrere dell’inverno, il centro di Omar diventò la sua gola e non più il suo cuore, e più la gola acquisiva importanza, più Omar sentiva di soffocare.


Poiché la gola lo pungeva sempre su argomenti che riguardavano l’amore, Omar, fu costretto a lasciare la sua ragazza:
-Io non ti amo, e forse non ti ho mai amato-


Pausa, lacrime.


-Io non so più cos'è l’amore-


Pausa, e poi un addio.


-Non mi avete mai capito, mai ho avuto la possibilità di scegliere del mio destino-
Così Omar si allontanò dalla sua famiglia.


-Siete tutti dei pezzi di merda egoisti-
Così Omar litigò con i suoi amici.
Omar diventò un uomo solo.
Il labirinto di Cnosso in cui Minosse fece rinchiudere il Minotauro, divenne il labirinto costruito da una gola per dilettarsi e isolare Omar dai suoi cari.
E la cosa funzionò.
Le fondamenta di quel labirinto erano le domande che formulava la gola, domande che disorientavano le finte certezze su cui Omar aveva costruito il suo castello apatico.
E viene quasi da pensare, che forse, la gola volesse aiutare Omar, scuoterlo dal torpore che lo caratterizzava.
Il castello apatico di cartapesta, burro, ricotta, buttata e amianto, fragile e tossico, facilmente crollò.
Ed ogni volta che un castello cade, si palesa una depressione, che altro non è che l’alba di un nuovo percorso.


L’estate dell’anno successivo incontrai di nuovo Omar, stessa spiaggia, io e lui in riva al mare. Descriverlo mi è difficile, poiché tanto diverse si presentavano le sue forme dopo un anno. Spiccava una innaturale magrezza, una magrezza che non contiene gesta lievi e movimenti soffici, ma soltanto occhi assenti fuori dalle orbite. Era ormai una vittima del suo labirinto e cercava insistentemente l’uscita nella zona del collo che massaggiava continuamente con la mano destra.
Il suo sguardo…
Non parlerò del suo sguardo perché rischierei di graffiare i miei ricordi.
Io e lui in riva al mare discutevamo sulla leggerezza dell’esistenza, ma in silenzio. Lui fissava il Mediterraneo ed io il Mediterraneo contenuto nei suoi occhi, quando, all’improvviso, una ragazza deliziosamente gracile ci passò davanti, i suoi movimenti ricordavano la danza della prima foglia che cade in autunno, con la stessa parsimonia che inganna il mondo e nessuno nota che in quella foglia l’estate muore.
La ragazza è avvolta in una magliettina bianca, leggera, di seta, che quasi sembra, per rispetto, non voler toccare la delicata pelle che protegge.
Sotto la maglietta nient’altro.
I seni liberi di oscillare come pendoli in cerca di un ritmo che dia consistenza al tutto.
I suoi capelli biondi si perdevano a tratti in una piantagione di platino, ed il suo passo poteva sembrare lento,
ma invece,
era leggero, dannatamente leggero, a contrastare la pesantezza di Omar ed il mare rallentò i suoi battiti. Un movimento, il suo, che sembrava aver ingannato la stessa gravità mentale di cui Omar era caduto vittima.
Un movimento che era direttore d’orchestra per le onde del mare.
Ed il mare rallentò i suoi battiti.
Adesso il Mediterraneo pareva fluttuare nell'aria, e gli occhi di Omar aprirsi davvero.


-Il mare è fermo- esclamò Omar.


Due uccellini amoreggiavano sulle spalle della ragazza, il mare è fermo.
La ragazza ferma il passo e guarda gli uccellini; resta immobile.


-Il mare è fermo- sussurra Omar.


Io, che ero lì, compresi l’importanza del momento ed il canto del vento fu l’unica bussola che orientava la mia lucidità, permettendomi di scrivere tutto ciò e di quando, all'improvviso, la gola di Omar urlò talmente forte che anche io compresi le sue parole:


“E’ forse questa la felicità?”.


Omar scoppiò in lacrime e tutto lasciava presagire al miracolo di come un uomo fu sconfitto dalla sua gola.


Scosso, e pesanti le membra, si inginocchiò sulla sabbia umida insofferente e disse:
-Come si ama una depressione?-


La ragazza albina si voltò adagio:


-E’ tutto scritto nel vento-.


Così come Teseo si offrì di entrare nel labirinto per uccidere il Minotauro, con la stessa tenacia, il vento, soffiò nell'orecchio di Omar. Con un fendente preciso l’aria squartò la pesantezza di Omar in tanti piccoli pezzetti ed i suoi occhi cambiarono aspetto.


Da quel giorno non vidi mai più Omar in vita mia; mi spedì però una lettera, con il finale di questa storia.
Tornato in Francia lasciò che la sua gola diventasse sempre più ingorda di potere.
Come un finto saggio che sfrutta la sua ignoranza per esser saggio, la saccente gola aveva raggiunto l’apice del suo splendore; stretta era la morsa su Omar a tal punto che le domande divennero minacce:
-Se non fai come dico ti ingoio- disse la gola.
Ma Omar aveva compreso che un finto saggio alla fine muore annegato nella sua ignoranza e non diede più valore alle parole della gola, anzi, escogitò la sua vendetta.
Comprò una corda ed esclamò:
-Cara gola io mi uccido e lascio il mio corpo a te-.
La gola sapeva che poteva esser forte solo grazie al malesse di Omar e provò a contrattare.
-Dividiamoci questo corpo- disse.
Ma Omar era deciso nel suo intento.
Legò allora una estremità della corda ad un gancio fissato sul soffitto, e con l’altra estremità avvolse la gola, come in una sciarpa calda in inverno, per zittirla per sempre.
Ma gola, schiacciata dal peso della corda urlava:
-Ti prego non farlo-.
E invece Omar lo fece.
Decise di suicidarsi: lasciò andare la sedia quel tanto che bastava per fluttuare in aria, con la corda che diventava sempre più tesa ed un sentimento di libertà crescente, paradossalmente, nel momento in cui si è più legati.
La gola presa da un forte spavento finì per ingoiarsi.
Questa è la storia di una gola che credette di poter ingoiare un essere umano. Ed invece ingoiò se stessa.
Omar, a quel punto, liberò un urlo in letargo nelle sue viscere da troppi anni e poi cadde al suolo.
Nessun sussulto.
Vide per un attimo l’immagine della sua persona, osservò sé stesso all'esterno del suo corpo, come un’anima vagante, ed iniziò a parlare a quel corpo.
Fece amicizia con il suo corpo e scoprì che il tranello aveva funzionato: legata la corda quel tanto che bastava per ingannare la gola e lasciarlo in vita; perché una finta paura non può competere con una vera.
Perché dentro di noi ci tempestiamo d’inganni e capita di cascarci come brocchi, perché dietro quegli inganni ci sono tutte le cose che ci fanno paura, che logorano i respiri, imprigionano i sorrisi, ammazzano l’amore, tutte quelle cose che non affrontiamo se non costretti a farlo.
L’estate successiva è questa estate in cui racconto ed Omar non c’è più; io ho ancora i piedi bagnati dal Mediterraneo che è freddo anche d’estate, ma non tantissimo.
Le nuvole sono ordinate come i bicchieri a ora di cena, dense come il vino, bellissime.
I miei piedi bagnati dal Mediterraneo mi restituiscono quel torpore che mi ricorda chi sono.
Un uomo libero che ha il bisogno di ascoltare continuamente il suo corpo.
Un uomo che nella sua solitudine può partorire farfalle.
La solitudine delle farfalle bagnate dal mediterraneo.
Non ero poi così diverso da Omar; credo nessuno lo sia;
Dopo qualche giorno mi è arrivata una foto di Omar.
Ha cambiato mare, è passato al Tirreno che tocca Napoli e la Calabria tutta, corteggia la Liguria e va a letto con Capri mentre strizza l’occhio a Ischia.
Essere mare deve essere speciale.
Una forma liquida piena di tutto.
Nella foto Omar appare felice, mano nella mano con la ragazza dai capelli color platino che lo fece innamorare, che lo salvò.
Le donne salvano gli uomini o li ammazzano.
Dietro la foto, una scritta a penna:
“E’ tutto scritto nel vento, quindi: bevi scirocco”.




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Opera scritta il 19/11/2018 - 17:34
Da Bruno Gais
Letta n.806 volte.
Voto:
su 1 votanti


Commenti


Grazie mille!

Bruno Gais 19/11/2018 - 22:31

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Bravo...
Denso, pieno di tutto, complimenti Bruno!

Grazia Giuliani 19/11/2018 - 20:48

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