Giò
Lo conobbi in un ospedale qualsiasi, in un reparto qualunque e per puro caso.
Cercavo uno studio medico e mi ero persa nei piani di questo ospedale, quando ad un tratto, mentre continuavo a camminare trafelata e cercavo di contattare la segreteria di un professore qualsiasi, urto involontariamente contro una carrozzina.
- mio Dio, scusami tanto, sono così distratta…
improvvisamente, come una freccia sullo stomaco, mi sento travolgere da uno sguardo disarmante, due occhi neri come la pece, un volto angelico, un colorito diafano, come la neve
- Perché ti scusi signora?
- spero di non averti fatto male
Era lì, in mezzo ad una corsia qualunque, solo ma per nulla solitario, per nulla triste. Poteva avere 10, 12 anni…o forse, meno. Aveva tra le meni un libro ed un pigiamino azzurro come i capillari che si intravedevano sotto i suoi occhi. Ricordo che provai una stretta al cuore, un incredibile senso di impotenza e prostrazione. Per un attimo la mia fretta era stata schiacciata dall’attenzione verso quegli occhi così intensi e penetranti.
La luce del mattino illuminava il suo volto, le sue manine, il suo pigiamino. Mi guardava con aria quasi divertita. Aveva notato il mio imbarazzo ed evidentemente, non ne comprendeva il motivo, o forse si….
- Non mi hai fatto nulla, signora.
- Beh, io sono Angela, piacere….
Allungai la mano e lui, come un adulto, allungò la sua.
- Piacere, io sono Giò
- Ah, Giò come Giovanni
- No no - disse divertito -, Giò come Lorenzo.
- Non riesco a trovare il nesso, ma se lo dici tu…..scusami, ma devo proprio andare
- Si, sbrigati. Devi scendere di un piano.
- E tu come fai a saperlo?
- Ho letto il nome sulla cartella ed il Professore che tu cerchi sta al piano di sotto.
- Grazie Lorenzo, oh scusa, Giò
- Ahahahah ciao Angela
Me ne andai con uno strano sorriso sulle labbra ed il cuore gonfio…un angelo, pensai…oppure, un bel furbetto.
Grazie a Giò, trovai immediatamente l’ambulatorio. Mi sottoposi alla visita medica e raccontai al professore di quell’incontro così, come dire, speciale. E proprio lui, il professor sorriso (così era soprannominato), assunse un’aria incredibilmente triste, costernata, tanto da farmi comprendere la gravità dello stato di salute di Giò. Ricordo che mi disse:
- non ho mai creduto agli angeli finchè non ho incontrato Giò
- professore, se posso permettermi, cos’ha il piccolo?
- Giò ha la leucemia ma ha tanta dignità e tanta dolcezza da essere un esempio per tutti noi.
Si commosse, lo salutai per non essere inopportuna e mi diressi verso l’uscita.
Pensai che avrei voluto salutarlo, ma che non sarebbe stato appropriato…in fondo, chi ero io?
Ed allora fu lui che pensò a me…
Lo incontrai, casualmente, nell’androne in prossimità dell’uscita.
- Angela
- Ohi Giò, che ci fai qui?
- Giroooo, qui sono tutti amici miei. E mentre mi parlava, un campanellino di gente si avvicinava
- Ciao Giò, sempre con le belle signore tu, eh
- Ciao piccolo, stavo per salire da te, ma tu mi leggi nel pensiero
- Ehi Giò, stasera partita a scacchi?
- Ciao amici, lei è Angela. Un po’ sbadata, come tutte le donne ahahahah
- Ciao Angela, piacere. Vedo che anche tu ti sei fatta fregare da quegli occhioni eh? - Disse qualcuno ridendo -
- Salve a tutti, si sono un po’ distratta, ma ora devo proprio andare, scusate……
Mi sentii di colpo inadeguata, sconveniente, inopportuna, quindi me ne andai, o meglio, scappai.
Sentii, senza guardarli, quegli occhi meravigliosi su di me. Feci fatica a non voltarmi, fuggii.
Tornai a casa con quegli occhi nella mente e nel cuore. Tutto quello che feci dopo lo dimenticai. Lo sognai, sognai Giò. Un sogno confuso. Un campanellino di gente ed una carrozzina vuota, poi lui, in piedi, sorridente, ironico. Sognai il libro e mi venne in mente il titolo del libro che credevo di non aver letto: Oscar e la dama rosa.
La mattina mi svegliai con un desiderio, un programma preciso. Sarei andata da Giò. Gli avrei portato un regalo, magari una cuffia wireless per ascoltare un po’ di musica, oppure un altro libro. Mi diressi in un Centro qualsiasi e gli comprai un lettore. Lo feci confezionare per bene e mi diressi velocemente verso l’ospedale. Trovai immediatamente un parcheggio disponibile e, emozionata, salii a quel piano, in quel reparto dove il giorno prima, l’avevo urtato. Chissà perché avevo pensato di rincontrarlo lì, nello stesso punto ed avevo immaginato di allungargli la mano, anche se certamente avrei desiderato abbracciarlo. Mi chiesi improvvisamente cosa ci facessi lì e perché….per un bisogno mio egoistico? Oppure?
Mi diressi, in uno stato di totale confusione, verso la sala infermieri e chiesi di Giò. Un infermiere mi guardò con sospetto e mi chiese chi fossi. Risposi: una conoscente, Angela. Non soddisfatto ed un tantino infastidito, mi chiese di attendere.
Lo vidi entrare in una stanza ed uscire insieme ad una donna.
- Buongiorno. Mi disse – Sono la dottoressa qualunque. Lei chi è?
- Salve, sono Angela. Ho conosciuto ieri Giò, casualmente, e ho pensato di portargli un pensiero. Tutto qui. Non pensavo fosse così complicato.
- Giò è un bambino
- Si, certo, lo so. Se crede, potrei lasciarlo a lei…
Cominciai, come il giorno prima, a sentirmi inadeguata. Mi stava guardando con aria interrogativa, con disappunto, direi. Sudavo….cosa ci facevo lì’ continuavo a chiedermi…..chi credevo di essere?
Quando, incredibilmente, Giò usci dalla sua stanza, si avvicinò. Era come lo avevo sognato. Sorridente, in piedi, bellissimo.
- Ti sei ancora persa signora? Ehm, Angela?
La dottoressa lo guardò e lo prese per mano.
- Quindi conosci questa signora, Giò….
- Si, è una mia amica. Angela, lei è la dottoressa Luna….ahahahah, in realtà non si chiama così, ma ogni tanto ha la luna storta, come oggi per esempio.
- Eh già, il mio piccolo Giò ha proprio ragione. Oggi sono particolarmente scontrosa. Piacere, Monica.
- Piacere mio. Giò, volevo solo lasciarti una cosa. Chissà, forse già lo avrai. E’ solo un lettore.
- Si, ce l’ho, ma se non ti dispiace potremmo regalarlo a Giulia. Lei non ce l’ha. Vieni, te la faccio conoscere.
Beh, ancora più goffa e intimidita, dopo lo sguardo di assenso della dottoressa Monica, mi diressi verso la stanza di Giulia. Entrai in una stanza rosa, con palloncini e peluche colorati, una stanza che odorava di vaniglia e, in un letto, capelli ramati su un cuscino candido e due occhi verdi come olive, succose e brillanti.
- Lei è Giulia
- Ciao Giulia, sono Angela, sono un’amica di Giò, almeno spero….
- Ciao Angela, Giò ieri mi ha parlato di te. Ahahahah Mi ha detto che per poco buttavi giù la carrozzina. Sei imbranata, vero?
- Si. E non poco. Giò ti vuole fare un regalo. Questo è per te…..-dissi, cosciente di aver cambiato colorito-.
Giò era in piedi, vicino al lettino di Giulia. Sorrideva, era sereno, anzi….entusiasta di poter fare un regalo a Giulia. Giulia allungava il suo braccio, avvilito dalla flebo, a cercare la mano di Giò. Lui gliela stringeva e lei pareva estasiata. Pensai che Giò fosse davvero un angelo e che mi trovavo al cospetto di qualcosa che non avrei mai più dimenticato e che forse avrebbe segnato la mia vita.
Li lasciai che parlottavano e provavano le cuffie, sorridenti, festosi, grati…
Quello fu il secondo ed ultimo giorno in cui vidi Giò. Non sapevo nulla di lui, ma avevo i suoi occhi nel cuore.
La dottoressa Monica mi aveva raggiunta per dirmi soltanto queste parole: Giò è un bambino come pochi, un bimbo speciale. E' come una droga, quando lo si conosce entra nel sangue e non si può più fare a meno di lui. Ma io, che sono il suo medico, ho il dovere di proteggerlo.
Mi bastò per comprendere che avevo fatto uno sbaglio e non ebbi più, forse vigliaccamente, il coraggio di tornare.
Pensai a lui ogni giorno, ogni mattina, ogni sera. Mi era entrato dentro come un seme e stava fiorendo dentro di me. Non so dire cosa provassi, ma ogni qualvolta avvertivo un dubbio, una situazione di pericolo o dovevo prendere una decisione delicata, Giò mi apriva occhi e cuore.
Dopo circa un anno, tornai a visita dal professor qualunque.
La notte prima, come spesso del resto, sognai il piccolo angelo. Mi sorrideva e mi salutava con la sua manina violacea e delicata. Rispondevo al saluto e nel sogno avrei voluto abbracciarlo, Dio solo sa quanto avrei voluto, ma lui indietreggiava fino confondersi dietro una siepe innevata. Lo chiamavo, disperatamente cercavo i suoi occhi, ma fioccava e lentamente, un manto di neve ricopriva anche i miei occhi…..
Quella mattina mi svegliai con una certezza. Non avrei incontrato Giò.
Arrivai trafelata e con il cuore in gola.
Nell’androne mi colpì immediatamente una gigantografia….
un volto sorridente e due ciliegie nere…c’era scritto solo: Grazie Giò!
Ed intorno, a fare da cornice, una corolla di immagini di bambini pelati e sorridenti.
Pensai soltanto che non l’avevo abbracciato…..
fuori, aveva appena cominciato a nevicare
NOTA: è solo un racconto. Ma, forse, molti di noi avranno incontrato, almeno una volta, un angelo nella propria vita
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Angela o Laisa, che dir si voglia, oltre che a sorprendermi piacevolmente ancora una volta rappresenta, per il sito, la prova che l’esercizio della scrittura è la palestra della mente per sviluppare, oltre che la creatività, anche la qualità delle composizioni. Forse nemmeno lei si rende conto dei progressi fatti, a livello letterario, ma chi, come me, l’ha seguita nel suo percorso, non può non essersene accorto.
I complimenti che ti faccio, Lais/angela, sono quindi veramente sentiti. Brava...
Stupendo Laisa
Ed ho vissuto il rimpianto per non essere riuscita ad abbracciarlo, lo stesso che sovente mi consuma per i gesti che non riesco a donare e per le parole che non riesco a dire.
Prima che sia troppo tardi...
Un racconto che fa riflettere e che, nonostante l'epilogo, lascia una traccia di tangibile gioia, quella che solo gli angeli riescono a lasciare.
Ed è proprio vero, forse molti di noi ne avranno conosciuto di angeli come Gio'...
Bravissima Laisa!
che scivola silenzioso sulla pelle e lascia traccia...
Stupenda, Laisa