Premessa - Ho letto un bellissimo racconto di Anton Cechov "sul danno del tabacco" che vi invito a leggere (cercate da google - Cechov Anton sul danno del tabacco ed aprite il file in pdf). Ho immaginato di aggiungere una pagina alla storia.
Eccola.
Pende quieta la luna.
Se dovessimo misurare il successo della conferenza da quanto era osservabile dobbiamo dire che fu un fiasco assoluto. L’aria era greve ed impregnata dal fumo di ogni genere di tabacco, gli occhi arrossati e lacrimosi; colpi di tosse catarrosa squassavano l’aria.
La moglie entrò in scena procedendo nel corridoio centrale, agghindata e appariscente, portandosi un lungo bocchino dorato alle labbra vistosamente rosse, sbuffando nuvole di fumo in faccia a tutti coloro che le porgevano le congratulazione per la brillante ed educativa conferenza tenuta dal marito, allargava il suo ampio sorriso raccogliendo i consensi, tutti per lei, l’artefice del successo. Ma si sa come vanno queste cose, se si mostra di non aver apprezzato si rischia di essere poco stimati o peggio considerati incompetenti.
Ivan, aveva osservato l’ingresso trionfale della moglie e stava sgusciando verso l’uscita percorrendo il corridoio laterale, rasentando il muro sperando di non essere visto, certo che nessuno lo avrebbe fermato.
Era prossimo alla meta quando si trovò il percorso sbarrato da una coppia: un uomo giovane e di bella presenza sostenuto da una donna dall’aspetto pulito ed ordinato, il suo abbigliamento rivelava le sue umili origini. La donna prese la mano incerta del giovane e la mise tra quelle di Ivan. Il giovane lo ringraziò ed espresse sincera ammirazione per le sue parole e gli manifestò quanto anch’egli desiderasse la pace.
La donna alzò timidamente lo sguardo verso Ivan. Esile come…. come uno spaventapasseri, Il viso pallido era incorniciato da un fazzoletto nero che dava ancor più risalto agli occhi grandi e chiari, verdi ed acquosi che abbassava continuamente e poi rialzava incontrando lo sguardo di Ivan che in quegli occhi si perse come in un lago, alla deriva; un seducente piccolo neo sulle labbra strette che mai dovettero conoscere il sapore di un bacio. Sentì pulsare in petto un muscolo che da tempo non sentiva battere ed un benefico calore ; biascicò un ringraziamento al giovane ma il suo sguardo era fisso sulla donna che accennando un inchino, si voltò ed uscì in strada conducendo il giovane per mano.
Ivan, impietrito, trasognato; vide a terra un fazzolettino che doveva essere della donna, si chinò, lo raccolse e uscì correndo sulla strada appena in tempo per vedere il giovane e la donna salire su una carrozza che li attendeva e che scivolò via sulla strada innevata.
Ivan Ivanovic Njuchin rimase immobile, accanto alla lampada che rischiarava l’insegna del circolo. I soci uscivano fumando, di lui nessuno se ne accorse. Guardò il fazzolettino, lo aprì ed osservo i fitti ricami che rappresentavano un albero, lo porto al volto ed aspirò, salì un profumo di naftalina e di chiuso, lo immaginò tolto dal cassetto di un vecchio mobile dove era riposto con cura da cui veniva riesumato nelle occasioni importanti.
Lo assalì all’istante la voglia di rincorrerla, raggiungerla per fuggire con lei e poi, fermarsi in un luogo qualunque, lontano, in mezzo alla campagna e restar lì, sotto l’ampio cielo e guardare per tutta la notte come sopra pende quieta, chiara la luna e sognare, sognare…
Brusco fu il richiamo alla realtà. “Ehi spaventapasseri, che aspetti per chiamare una carrozza?”
Eccola.
Pende quieta la luna.
Se dovessimo misurare il successo della conferenza da quanto era osservabile dobbiamo dire che fu un fiasco assoluto. L’aria era greve ed impregnata dal fumo di ogni genere di tabacco, gli occhi arrossati e lacrimosi; colpi di tosse catarrosa squassavano l’aria.
La moglie entrò in scena procedendo nel corridoio centrale, agghindata e appariscente, portandosi un lungo bocchino dorato alle labbra vistosamente rosse, sbuffando nuvole di fumo in faccia a tutti coloro che le porgevano le congratulazione per la brillante ed educativa conferenza tenuta dal marito, allargava il suo ampio sorriso raccogliendo i consensi, tutti per lei, l’artefice del successo. Ma si sa come vanno queste cose, se si mostra di non aver apprezzato si rischia di essere poco stimati o peggio considerati incompetenti.
Ivan, aveva osservato l’ingresso trionfale della moglie e stava sgusciando verso l’uscita percorrendo il corridoio laterale, rasentando il muro sperando di non essere visto, certo che nessuno lo avrebbe fermato.
Era prossimo alla meta quando si trovò il percorso sbarrato da una coppia: un uomo giovane e di bella presenza sostenuto da una donna dall’aspetto pulito ed ordinato, il suo abbigliamento rivelava le sue umili origini. La donna prese la mano incerta del giovane e la mise tra quelle di Ivan. Il giovane lo ringraziò ed espresse sincera ammirazione per le sue parole e gli manifestò quanto anch’egli desiderasse la pace.
La donna alzò timidamente lo sguardo verso Ivan. Esile come…. come uno spaventapasseri, Il viso pallido era incorniciato da un fazzoletto nero che dava ancor più risalto agli occhi grandi e chiari, verdi ed acquosi che abbassava continuamente e poi rialzava incontrando lo sguardo di Ivan che in quegli occhi si perse come in un lago, alla deriva; un seducente piccolo neo sulle labbra strette che mai dovettero conoscere il sapore di un bacio. Sentì pulsare in petto un muscolo che da tempo non sentiva battere ed un benefico calore ; biascicò un ringraziamento al giovane ma il suo sguardo era fisso sulla donna che accennando un inchino, si voltò ed uscì in strada conducendo il giovane per mano.
Ivan, impietrito, trasognato; vide a terra un fazzolettino che doveva essere della donna, si chinò, lo raccolse e uscì correndo sulla strada appena in tempo per vedere il giovane e la donna salire su una carrozza che li attendeva e che scivolò via sulla strada innevata.
Ivan Ivanovic Njuchin rimase immobile, accanto alla lampada che rischiarava l’insegna del circolo. I soci uscivano fumando, di lui nessuno se ne accorse. Guardò il fazzolettino, lo aprì ed osservo i fitti ricami che rappresentavano un albero, lo porto al volto ed aspirò, salì un profumo di naftalina e di chiuso, lo immaginò tolto dal cassetto di un vecchio mobile dove era riposto con cura da cui veniva riesumato nelle occasioni importanti.
Lo assalì all’istante la voglia di rincorrerla, raggiungerla per fuggire con lei e poi, fermarsi in un luogo qualunque, lontano, in mezzo alla campagna e restar lì, sotto l’ampio cielo e guardare per tutta la notte come sopra pende quieta, chiara la luna e sognare, sognare…
Brusco fu il richiamo alla realtà. “Ehi spaventapasseri, che aspetti per chiamare una carrozza?”
Opera scritta il 07/04/2019 - 11:27
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