Chi sei tu, uomo di altri tempi,
così disse il forestiere,
tu, che con innata maestria le bestie da soma meni,
seguite solo dal fedel segugio che coda dimena come serpente assonagli,
sempre attento a seguir ti te ogni cenno,
chi sei tu, che di lanosa pelle vai coperto?
Tu che vai in lungo e in largo per sentieri che appena si attraversano,
uomo che soffri e taci, nulla ti spaventa?
All’uomo che spiegazioni chiedi e con disprezzo, mio signore e mio papà,
l’uomo che diede e senza compenso alcuno
sangue all’anemica tua sorella;
signore noto tuo malgrado che la memoria non ti aiuta,
a dire il vero, non sei solo in questo triste e cupo borgo,
dimentichi forse quando sull’uscio di casa nostra aiuto tu imploravi?
Quell’uomo era mio papà, quest’uomo che disprezzi e mio papà,
ma lasciamo perdere e già sera, tutti intorno a quella legna ardente
boccheggia la nera ciotola che di li a poco di patate e colma,
l’odore dolce del misero pasto si diffonde,
per il vicolo del meschino borgo.
Poi ti adagi come sempre su quel giaciglio a noi tanto caro
lasciandoti cullare dal dolce sonno,
con lo stesso amore di una madre col proprio figlio,
io ti guardo, con la mente ti accarezzo,
non siamo soli, un’angelo ti veglia e non solo,
il santo con barba e manto ti accarezza.
E’ notte fonda guizzan lampi per la fronde
cielo e terra la bocca arsa di un cratere sembra ,
l’ingresso brutto e cupo dell’inferno.
Finalmente la dolce luna va a dormire, di nuovo giorno,
pigro e lento scruti il nuovo giorno,
appena accenni ad un sorriso,
per non mostrar che il soffrir di questa vita ingrata nuoce,
il soffrir che dona più coraggio e ti fa uomo degno,
così dicevi, a me orgoglio doni.
Invidio padre mio l’indomito tuo coraggio
mi pare di veder un Cristo senza croce
e senza paura alcuna,
quello che ti fece degno.
Quanta tenerezza e quanta gioia hai dato al cuore mio.
così disse il forestiere,
tu, che con innata maestria le bestie da soma meni,
seguite solo dal fedel segugio che coda dimena come serpente assonagli,
sempre attento a seguir ti te ogni cenno,
chi sei tu, che di lanosa pelle vai coperto?
Tu che vai in lungo e in largo per sentieri che appena si attraversano,
uomo che soffri e taci, nulla ti spaventa?
All’uomo che spiegazioni chiedi e con disprezzo, mio signore e mio papà,
l’uomo che diede e senza compenso alcuno
sangue all’anemica tua sorella;
signore noto tuo malgrado che la memoria non ti aiuta,
a dire il vero, non sei solo in questo triste e cupo borgo,
dimentichi forse quando sull’uscio di casa nostra aiuto tu imploravi?
Quell’uomo era mio papà, quest’uomo che disprezzi e mio papà,
ma lasciamo perdere e già sera, tutti intorno a quella legna ardente
boccheggia la nera ciotola che di li a poco di patate e colma,
l’odore dolce del misero pasto si diffonde,
per il vicolo del meschino borgo.
Poi ti adagi come sempre su quel giaciglio a noi tanto caro
lasciandoti cullare dal dolce sonno,
con lo stesso amore di una madre col proprio figlio,
io ti guardo, con la mente ti accarezzo,
non siamo soli, un’angelo ti veglia e non solo,
il santo con barba e manto ti accarezza.
E’ notte fonda guizzan lampi per la fronde
cielo e terra la bocca arsa di un cratere sembra ,
l’ingresso brutto e cupo dell’inferno.
Finalmente la dolce luna va a dormire, di nuovo giorno,
pigro e lento scruti il nuovo giorno,
appena accenni ad un sorriso,
per non mostrar che il soffrir di questa vita ingrata nuoce,
il soffrir che dona più coraggio e ti fa uomo degno,
così dicevi, a me orgoglio doni.
Invidio padre mio l’indomito tuo coraggio
mi pare di veder un Cristo senza croce
e senza paura alcuna,
quello che ti fece degno.
Quanta tenerezza e quanta gioia hai dato al cuore mio.
Opera scritta il 03/08/2019 - 23:16
Da franco dima
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