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2047

Posso finalmente scavare tra i calcinacci e le speranze. Da qualche giorno si sono spenti i roghi, insieme al rumore dei bombardamenti. A dire il vero sono fortunato… ho sempre e solo sentito gli schianti, vicini ma non troppo. E sono fortunato ad avere ancora in buono stato la carcassa di un’auto proprio dietro al forno. Quello è restato in piedi. Ma sempre da qualche giorno anche il pane vecchio scarseggia. Così ho ridotto i pasti al desinare verso il calar del sole, e grazie al cielo è rimasto un pantano dove prima c’era il pozzo. La sera avvolgo le mani nelle foglie di frumentone, che al granturco non servon più. E la sera scrivo. Mi è rimasta pure una matita nel taschino, anche se fra un po’ non potrò più far la punta. Per non scordare chi sono, o dimenticare chi amo. Qui non c’è nessuno da parecchio tempo, e non so più se siano passati ventisette giorni o anni.
Poi sono fortunato perché mi è riuscito di salvare un tesoro… la notte apro piano il cassetto che ha una molla rotta del cruscotto e prendo la fotografia di mia moglie e i miei figli un’estate al mare, facendo attenzione a non rovinarla. E ogni notte li guardo.
Quando sono fortunato chiudo gli occhi qualche ora, ma mi sveglia quasi sempre il rumore degli ultimi calcinacci che ancora cadono. Alle prime luci mi rimetto a scavare… tra quelli, e le poche speranze che ancora non cadono.
Forse ho detto tante volte e troppe che son stato fortunato, ma un’altra parola non la trovo per quella mattina… credo fosse primavera quando dalle rovine dietro il muretto a secco ho sentito un ragazzino -Papà, buon compleanno papà mio…-, e qualche passo avanti a lui quasi due uomini con la forza ancora di piangere. E lei. Il passo lento e stanco, ma sempre così bella anche col viso sporco tra i capelli ingrigiti. E anche se il sole tiepido mi accecava quasi gli occhi potevo scorgere con loro un’altra persona, forse una donna… Me li aveva riportati.


“Me li avevi riportati. Ricordi!?”. <Ricordo. Avevo sentito alla radio che la guerra da te era stata più devastante che altrove. E un mattino ero partita con un mezzo di fortuna… una specie di corriera>. Da allora ogni giorno verso il calar del sole prendiamo il tè nella veranda del piccolo bungalow che mi sono potuto permettere, e riusciamo ancora a ridere davanti alla fotografia che la vita ci ha permesso di fare: io con mia moglie e i miei figli e tu, l’amica che mi ha aiutato a non scordare chi sono, o dimenticare chi amo.




Mirko D. Mastro




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Opera scritta il 12/01/2020 - 13:49
Da Mirko D. Mastro
Letta n.818 volte.
Voto:
su 3 votanti


Commenti


Davvero una bella, ma soprattutto emozionante, scrittura creativa.
L'ho letta senza tirare il fiato e il finale, lo ammetto, mi ha commossa.
Un bel lavoro, Mirko!

PAOLA SALZANO 14/01/2020 - 16:16

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Mirko pensa che nel 2047 avrò cento anni

Francesco Cau 13/01/2020 - 12:47

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Mirko, è una scrittura che emoziona e scuote. Coinvolgendo ci racconti l'amore e l'amicizia, sentimenti che ci fanno diventare persone migliori.
Davvero molto bravo!

Grazia Giuliani 12/01/2020 - 19:10

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Qui noto una capacità di coinvolgimento altissimo. Ma del resto come al solito

Ernesto D'Onise 12/01/2020 - 18:17

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La capacità di rimanere se stessi, anche nelle peggiori catastrofi e non dimenticare i veri sentimenti del passato che riemergono da una vecchia fotografia e poi amore e amicizia in questo bel racconto!

Anna Maria Foglia 12/01/2020 - 18:00

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Certo che anche con i racconti non scherzi come qualità.Letto molto volentieri.

Antonio Girardi 12/01/2020 - 16:09

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Un racconto postdrammatico di una realtà interiore, un vissuto che, pur se non vissuto, lo è, per chi scrive quanto per chi legge.
Complimenti!

Leo Pardiss 12/01/2020 - 15:31

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Caro Mirko,io non conosco i tuoi trascorsi. Questo racconto parla d'amore, di guerra, di incendi e di ricordi profondissimo che colpiscono al cuore di chi legge. Mi hai emozionato. Un saluto affettuoso.

santa scardino 12/01/2020 - 14:52

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