Anna rimasta vedova e senza sostegno, torna in Sicilia con la figlia Lia. Il marito Alfonso era morto improvvisamente per infarto e questa perdita aveva sconvolto le loro vite. La loro esistenza nella periferia di Torino, città detestata dalla donna, non era più possibile e altrettanto difficile era stata la decisione di tornare in Sicilia, ai suoi occhi l’unica strada possibile.
Lia, adolescente, lascia in lacrime i compagni di scuola e la vita a cui era abituata e detesta quel rientro in Sicilia di cui aveva sentito raccontare storie terribili. Una realtà diversa con cui dovrà scontrarsi e in cui dovrà lottare per la sua indipendenza. Con il tempo inizierà a guardare quei luoghi, apprezzandone la bellezza, con animo diverso fino a sentirlo come suo di appartenenza, decidendo di rimanere al fianco di Gianni, giovane giornalista di cui si innamora, impegnato nella lotta contro la mafia.
Tutto era iniziato con quel viaggio, un lungo percorso con un treno rumoroso e scuro che sferragliava lungo le rotaie di un binario unico e solitario che attraversava, come un lungo nastro, la pianura imbiancata da una neve recente, appena adagiata con i suoi fiocchi leggeri e subito trasformata in fanghiglia.
Gli occhi di Lia erano fissi sul finestrino e sul panorama che velocemente cambiava lo scenario.
Il treno si era addentrato in un fitto bosco, per poi attraversare dolci colline che man mano si avvicinava alla costa, assumevano delicate colorazioni pastello.
Giungendo ad una delle tante numerose stazioni, l’andatura iniziava a rallentare per poi fermarsi con gran fragore dei freni e dell’odore acre che emanava il lungo macchinario e dopo una breve sosta riprendeva con uno scossone la sua andatura.
- Quando arriviamo? - aveva cominciato a chiedere Lia
- Il viaggio è lungo figlia mia, vedi di dormire- rispose sua madre con un sospiro di rassegnazione.
La rassegnazione era uno stato mentale che Anna conosceva bene, era stata sempre rassegnata ad accettare il volere degli altri e quasi sempre si era trattato di una figura maschile, fosse esso il padre o il marito non cambiava molto e questa sua condizione se la trascinava dietro come un fardello pesante, come un mantello grigio che l’avvolgeva impedendole quasi il respiro, spegnendole qualsiasi iniziativa.
Anna osservava Lia, il cui piccolo nome era la riduzione di Rosalia, nome molto diffuso in Sicilia per la sua antica devozione verso la santa palermitana, e la vedeva segnata da una grande stanchezza causata dalla frenesia di quegli ultimi giorni per i preparativi e i suoi occhi scuri, che solitamente spiccavano nel visino chiaro e pallido, iniziavano a socchiudersi mentre contemporaneamente poggiava il capo con la sua cascata di riccioli castani, sulla sua spalla. Dopo tanti anni tornavano in Sicilia e il viaggio sarebbe stato molto lungo.
Anna rifletteva sulla decisione di tornare in Sicilia che aveva dovuto prendere dopo la morte di suo marito Alfonso, una morte improvvisa e crudele che le aveva tolto il marito ancora giovane. Da anni vivevano a Torino, da quando suo marito aveva iniziato a lavorare presso la FIAT come operaio, ma lei che non aveva studiato e stava quasi sempre a casa, non si era mai adattata a vivere in quella grande città nebbiosa, sentiva la gente ostile e lontana dal suo mondo e dalla sua semplicità Non capiva il loro linguaggio e sentiva di essere oggetto di critiche per il suo aspetto poco curato e per il fatto stesso di essere meridionale. Rimpiangeva la propria famiglia di origine e la vita di fanciulla nel cascinale di campagna dove vivevano, luogo sempre colmo di sole e di vita. Dopo il matrimonio però la coppia si era resa conto che con il lavoro agricolo il guadagno era misero e malgrado la fatica quotidiana, si trovavano sempre in difficoltà economica. Alfonso decise presto di seguire l’esempio di tante famiglie che in quegli anni decisero di emigrare in massa verso le città industriali del nord. Anna, dopo le iniziali ritrosie, aveva finito per rassegnarsi a quella vita per amore di Alfonso e della piccola Lia, la figlia nata dopo il loro arrivo a Torino. In un tempo lunghissimo, la sua vita era stata un susseguirsi di giorni monotoni, trascorsi nello sconforto e nella nostalgia dei suoi familiari.
Al contrario la piccola Lia cresceva bene in quella realtà cittadina, studi compresi e il suo carattere socievole e vivace la rendeva speciale e simpatica a tutti. Anna ricordava l’espressione della figlia quando le aveva comunicato la sua decisione. Era impallidita e poi in lacrime le aveva chiesto:
- Perché mamma? Perché dobbiamo lasciare Torino? Io sono abituata a vivere in questa città, ho le compagne di scuola con le quali studio e che mi vogliono bene. Non puoi trovare lavoro qui? -
- Siamo rimaste sole – aveva risposto Anna- senza tuo padre non ci difende nessuno e poi non vedono di buon occhio noi meridionali-
- Non è vero e poi possiamo difenderci da sole! -
- Sei una ingenua e sei troppo piccola per decidere. Ora che tuo padre non c’è più dovrai adattarti ad accettare la mia volontà. -
Era la prima volta che Anna prendeva decisioni e doveva farlo per sé e per Lia. Non impiegò molto tempo a riflettere, perché sapeva da molto tempo cosa voleva fare. Adesso alla rassegnazione si sostituiva in lei una volontà cocciuta e severa. Lia aveva pianto perché non voleva andar via e già nei suoi dieci anni si erano creati legami e sentimenti. Alla vigilia della sua adolescenza sentiva il fermento di sogni che nascevano e di emozioni che iniziavano ad affiorare come una carezza leggera e delicata e invece il progetto della madre era rigido, lontano dalle sue piccole aspirazioni. Anna sarebbe andata a servizio poiché era l’unico lavoro in grado di fare e Lia l’avrebbe aiutata, ormai aveva dieci anni.
- Alla tua età io lavoravo nei campi e aiutavo la famiglia e poi non posso mantenerti agli studi. Dopo la terza media ti metti a servizio anche tu – le aveva spiegato, sbrigativa e incapace di un dialogo.
Sogni e affetti che si spezzavano e cambiamenti sconvolgenti tormentavano la piccola Lia e con uno stato d’animo inquieto era salita su quel treno in silenzio, finché la stanchezza aveva preso il sopravvento e con il capo sul grembo della madre, era sprofondata in un sonno pesante e senza sogni.
Man mano che attraversavano la penisola verso sud il paesaggio mutava e così anche il clima che perdeva la sua morsa di freddo e si addolciva , diveniva mite con il cielo terso e il sole, sebbene velato da nubi passeggere e solitarie, accendeva i colori delle campagne che incontravano in quel viaggio di ritorno verso l’isola. Attraversarono lo stretto e furono infine a Messina da dove proseguirono il percorso su un treno con poche vetture e piuttosto lento, facendole arrivare sfinite a Bagheria, cittadina non lontana da Palermo e dove finalmente sarebbero scese.
Madre e figlia camminavano nelle strade del vecchio paese lasciato anni prima e che già appariva diverso, ampliato da nuove costruzioni edificate l’una accanto all’altra, non lontane dalle splendide ville, residenze estive della nobiltà palermitana del 1700, adesso in desolata trascuratezza e imbruttite da evidenti segni del tempo. Le strade arricchite da negozi, erano attraversate da macchine e da gente che si muoveva affannata. Lia si guardava attorno smarrita e già rimpiangeva le belle strade ordinate di Torino e tutto quello che avevano lasciato. Anche Anna si sentiva smarrita poiché non riusciva più ad orientarsi, stupita dalle trasformazioni avvenute in quegli anni. Il paese sembrava più grande, rumoroso ed aveva assunto un’aria quasi cittadina . Infine giunsero alla loro vecchia casa, in periferia, un casolare con un grande giardino, soffocato da rovi e sterpaglie che invadevano anche l’ingresso della abitazione.
Impiegarono dei giorni per ripulire la semplice dimora e a togliere le erbacce secche del giardino.
Parenti e amici di famiglia, giunsero presto in visita, animati da una grande curiosità, poiché Anna e Lia tornavano dal “Continente”, così veniva chiamata la penisola italiana al di là dello Stretto, sottolineando in tal modo la natura della Sicilia, relegata in un isolamento che non era soltanto geografico, ma anche sociale e politico ed era abbastanza diffusa la percezione, avvertita da molti isolani, di vivere separati da uno Stato che stava dall’altra parte dello stretto, nel “Continente” appunto.
La povera Anna dopo aver sistemato casa, cercò e trovò lavoro presso una famiglia altolocata che conosceva da anni e Lia rimase a casa depressa e confusa, trovandosi in un contesto sconosciuto, in una realtà che aveva spezzato la sua vita di prima, in una solitudine insopportabile. La drastica interruzione degli studi la sentiva sulla sua pelle come una ferita dolorosa e non rimarginata. Ogni tanto, con una bicicletta trovata nella vecchia casa, faceva delle passeggiate solitarie nel centro cittadino o per sfuggire agli sguardi curiosi della gente, si spingeva verso il lungomare di Aspra, il piccolo sobborgo marinaro di Bagheria che sebbene fosse povero di vegetazione, con strade assolate e silenziose, era tuttavia un luogo che la lasciava senza fiato, incantata: un soffio di vita mediterranea colorata e fascinosa, in cui i gialli e i rossi delle barche adagiate sulla battigia brillavano spiccando sugli altri colori sfavillanti del paesaggio e, nonostante l’amarezza che provava, Lia si scopriva ad ammirare quel golfo, un lembo di sabbia concavo e magnifico che l’attraeva come una magia grande e misteriosa. Il suono del mare era come un grande respiro che si colmava di profumi e nell’aria grandi gabbiani volavano felici e liberi.
Libera- pensava Lia- voglio essere libera come quei gabbiani e nessuno potrà impedirmelo!
Completata la scuola media, in una classe in cui si rifiutò di fare amicizia con i compagni, finì per lavorare anch’essa presso una famiglia benestante ed iniziò a vivere una vita faticosa e insopportabile e a peggiorare la situazione si aggiunsero le regole sempre più restrittive dettate da una madre sempre più ansiosa e spaventata.
Lia non capiva i suoi compaesani sebbene avesse familiarità con il dialetto che anche sua madre e a volte anche lei parlavano. Non capiva i loro silenzi, i gesti, le frasi sottintese, la loro mentalità Intuiva che quel mondo di bellezza straordinaria, di lunga storia e cultura, nascondeva ombre oscure e nel buio dei nascondigli si generava una brutta delinquenza organizzata, con i suoi lunghi tentacoli che arrivava ovunque e si impadroniva dei luoghi, delle persone, delle vite e anche delle anime.
- Voglio andare via da qui! - gridava Lia a sua madre.
- E dove vorresti andare? - ribatteva sua madre. - Qui almeno hai la casa e il lavoro a servizio si trova-
- Io voglio studiare e non voglio andare a servizio. -
- Certo la signorina lo disprezza, ma dimentichi che questo lavoro ci ha dato da vivere ed è onesto-
- Non ho detto che non è onesto e non lo disprezzo, ma io voglio fare altro, voglio insegnare. -
Così i battibecchi nascevano per ogni cosa, anche per ogni sua passeggiata.
Ma col trascorrere del tempo Lia iniziò a ribellarsi ed a uscire, desiderosa di incontrarsi con gli amici suoi coetanei e che come tutti i giovani era pronta a contestare ogni cosa. Più Lia veniva limitata, più lei si allontanava da sua madre e dalla sua volontà di lasciarla ignorante e serva. Col tempo Lia comprese di non sopportarla più e la vedeva colpevole di averla portata in un mondo che faticava ad evolversi e nel chiuso della sua stanza, elaborava sempre più il progetto di andare a vivere a Torino, la città che rimpiangeva e dove avrebbe cercato lavoro. Sarebbe tornata da sua madre ogni tanto per farle visita.
Ma il destino aveva deciso diversamente per lei. L’appuntamento con l’amore era ormai vicino e stabilì nuovi e interessanti scenari.
L’ incontro con Gianni avvenne casualmente, una mattina di primavera. Lia aveva deciso di recarsi nel centro del paese e si era soffermata a guardare dei libri presso una bancarella sul marciapiede e mentre era intenta a sfogliare un grande volume di arte con molte foto a colori di quadri famosi, le si affiancò un giovane dall’aria simpatica. Vestiva sportivamente e aveva uno zaino sulle spalle. Si urtarono e chiedendosi scusa reciprocamente, si guardarono ridendo e si presentarono.
- Sono Gianni e studio giurisprudenza, e tu ?- fece lui
- Io sono Lia – rispose porgendogli la mano- devo prendere ancora il diploma – rise, poi con una punta di mortificazione gli spiegò che anni prima, aveva dovuto interrompere gli studi e ora finalmente aveva deciso di continuare.
Mentre parlavano lui si sentiva colpito da quella ragazza fresca e giovane, con capelli castani morbidi sulle spalle. Un visetto da gattina con un simpatico nasino all’insù e anche Lia trovava carino e intelligente quel ragazzo bruno con ricci ribelli sulla fronte e una chiacchiera continua.
Da quel giorno divennero inseparabili, stupiti entrambi di una complicità che con immediatezza si era instaurata tra loro. Gianni le aveva spiegato che quando poteva scriveva articoli per il giornale l’Ora di Palermo e spesso si occupava di fatti di cronaca.
- Mi piacerebbe però di occuparmi di casi di malavita organizzata, di mafia – le aveva confessato
- Non hai paura?- diceva Lia
- Certo, come tutti. Ma è un male che bisogna combattere e per fortuna esistono uomini di legge coraggiosi che mettono la loro vita al servizio della legalità- Era questo che voleva fare. Ma al momento si accontentava di essere giornalista e di studiare all’università L’entusiasmo con cui parlava, coinvolgeva la giovane ragazza che senza volerlo era rimasta colpita dalla importanza di quegli argomenti, di quelle motivazioni.
Il legame tra i due giovani si trasformò presto in amore, ma era un amore che impauriva la ragazza, poiché intralciava i suoi progetti di andarsene a Torino. Ne avevano parlato e avevano stabilito che sarebbero stati liberi di fare le loro scelte. Ciò che contava era la lealtà e si erano promessi che avrebbero dovuto guardarsi sempre negli occhi senza vergogna ed essere sinceri.
L’estate giunse con le sue folate di scirocco e di caldo insopportabile. Lia aveva conseguito il diploma e adesso doveva decidere della sua vita e se doveva acquistare il biglietto di sola andata per Torino.
Lia aspettava con una certa agitazione Gianni nel bar presso la piazza principale e ripeteva nella sua mente il discorso che avrebbe dovuto fargli. Finalmente eccolo che giungeva sfoggiando un bel sorriso e con un documento in mano che sventolava come una bandierina.
- Lia – esclamò – ho il contratto! Mi hanno assunto al giornale l’Ora!
-Auguri- fece lei abbracciandolo – ma l’università?
- Continuerò naturalmente! E tu cosa hai deciso?
-Credo che partirò, tu non avrai più tempo per me –
- Sai che non è così, però rifletti prima di decidere, anche qui puoi lavorare. Non pensare che a Torino troverai una vita semplice!- la scoraggiò lui
- Non so, Gianni, l’ho tanto desiderato, per anni non ho avuto che questo pensiero-
Decisero di fare una passeggiata in macchina fino a Capo Zafferano, una piccola montagna che si affacciava su un mare spettacolare. Gianni accostò la vettura e strettamente abbracciati rimasero a guardare incantati quel tramonto che una mano invisibile sembrava dipingere, come in una tavolozza di acquarelli, colori sfumati in un mare dai mille riflessi di azzurro e che sembrava congiungersi con il cielo.
Lia scese dalla “cinquecento”, ammirando la bellezza di quel giorno che finiva e mentre rifletteva, senti lacrime scorrerle sul viso. Improvvisamente scopriva che non poteva e non voleva lasciare la Sicilia, perché malgrado tutto sentiva di farne parte, come se un filo invisibile l’avesse ricondotta alle sue origini e che non non voleva più spezzare.
E poi c’era Gianni, un amore pulito e sincero. Perché lasciare tutto questo? Anche qui avrebbe potuto studiare e dare il suo contributo. Desiderava insegnare, lavorare con i bambini, aiutarli a capire che attraverso lo studio avrebbero imparato a conoscere meglio la vita e a pensare con la loro testa. Si girò di scatto verso Gianni, appena sceso anche lui dalla vettura e gli aprì le braccia, mentre il più luminoso dei suoi sorrisi cacciò indietro le lacrime. Una grande emozione li travolse e l’abbraccio che seguì fu più loquace di ogni spiegazione, di ogni parola. Sapevano che avrebbero costruito insieme il loro futuro che avrebbero lottato per costruire tutto quello in cui credevano e lo avrebbero fatto insieme e il loro amore era destinato ad esistere ancora molti anni.
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