Ho mandato un messaggio a Lucilla: lasciamoci. Me ne andai pure da Casalvecchio Siculo, cancellai dalle mie prospettive il vivere a Graniti. Feci cadere nelle mani di mia madre le chiavi di casa perché le consegnasse a Lucilla; mia madre si stupì, una forte amarezza si accese nel suo viso, voleva capire, consigliare, e supplicai d'interrompere le parole. Uscii di casa senza il coraggio d'immaginare le sue lacrime, con la ferma decisione di cercare una nuova vita a Catania. Cercai casa e trovai immediatamente una stamberga nella zona universitaria, un bilocale a pochissimi soldi. Dopo settimane seppi che Lucilla fu impiegata nella cartoleria, iniziativa ovvia di mia madre, pensai nell'immediato; dopo tempo apprezzai il tentativo amorevole di salvataggio che fu compiuto dalla stessa Lucilla, lei infatti propose, lei fino all'ultimo non volle ritrarre la mano. Dal banco che allora fu mio, lei registrava gli eventi che si susseguivano noncuranti della mia assenza, e la sua delusione poteva essere alleviata solo dalla speranza, che in quel momento nulla pronosticava per un suo compimento. Tanto più che, sotto i suoi occhi, gli eventi erano tutti guidati dalla signora che ormai comprendemmo fu la mia sciagura, Lorenza, e tutte le menti dei paesani sembravano in lei calamitate. La bella e dinamica Lorenza senza riposo adoperava tutte l' ore, che minuti non eccedevano, per occupare tutte le vie fuorché una manciata, e le dimore altrui non erano in eccesso alla sua squisitezza. Chi l'avrebbe vista tra quegli antichi e sapienti antenati di quelle terre siciliane, l'avrebbe sicuramente apostrofata come la gallina che non riusciva a far l'uovo: senza tregua non trovava un buco dove deporlo, e semplicemente non l'aveva l'uovo, e qua e là lasciava solo la sua aria, ma sono nuove le menti d'oggigiorno che pensano sia meglio questa aria vacua che la noiosa riflessione. Perché Lorenza si diede la missione di blandire le sofferenze, consigliare i dubbiosi, risolvere le difficoltà. E si spalancavano le porte, ungeva i cardini e non s'opponeva resistenza; si quietavano le coscienze al sua dolce parlare, si addolciva il pensiero alle sue mosse prorompenti, e tutti poi rimanevano stupiti per la sua inaspettata intelligenza. Intelligenza di pensiero, intelligenza di azione, non v'era faccenda in cui essa non riusciva. Quando, dopo mille difficoltà, sfondava un portone che prima s' era ben serrato nell'allontanare le di lei lusinghe, e nel suo splendore gli si spalancava un nuovo atrio, non ne usciva finché tutti non s'accorgevano di quanto amore e magnanimità ci fosse nella sua mente sempre lucida, tale da mantener viva l' intraprendenza, costante l'entusiasmo nel lavoro. Era impossibile non stimarla. Concludeva un lavoro e ne iniziava subito un altro, che non era quello pensato per ultimo, ma il quartultimo delle decine che riordinava in mente appena affioravano, e che presto diverrà il quintultimo in progetto a fronte dei mille per cinque progetti già realizzati nella stessa giornata. E accresciamo il suo merito a pensar che non sempre con denaro, immediato e sicuro, era retribuito il suo valore, e più s'inorgogliva quando s'accasava brillantemente dove neppure era richiesta la sua presenza. E quando la s'interpellava per un consiglio ed un aiuto, la luce non faceva in tempo d'illuminare il suo volto compiaciuto e sorridente, ch' era già di fronte allo sguardo del malcapitato in pericolo. Non è il mio esagerare quello di chi la vuol battere col sarcasmo, io la invidiavo Lorenza, e tanti furono gli attacchi d'ulcera, che in pochi mesi furono un supplizio crescente ch' ella aggiungeva, e per non lasciarmi ferito e agonizzante, ad ogni vittoria s'assicurava che i paesani ben si ricordassero quanto io fossi uomo cattivo. A darle ragione, dopo nemmeno un semestre dal primo interrogatorio arrivò l'immediata condanna. Nel tempo mi si notificarono le citazioni, gli avvisi, le ordinanze ma io ignoravo tutto. Nemmeno una volta mi presentai dinanzi a qualche forma di giudice, non nominai avvocato di fiducia e venni a sapere che si sedette a far finta di esserlo il solito passeggiatore per le aule dei tribunali. Immediata fu l'analisi diretta dei testimoni, tutti legati nel loro sdegno, ebbero la meglio sul giudizio. Lorenza, che partecipò a tutte le udienze, gustò in diretta la mia condanna.
Lessi la condanna a nove mesi notificatami per mezzo posta. «Un mese per ogni vita di gatto. O sono sette le famose vite?», così divagavo. Non m'importava la censura, ma in galera non volevo proprio finire. Mi affrettai a contattare un avvocato qualsiasi, con studio nel centro di Catania; forse sarà più serio. Riuscii ad ottenere l'appuntamento da uno di quei professionisti celebri, di stirpe rinomata e che si vedono nei notiziari regionali. Raccontai per sommi capi la storia, lesse celermente la sentenza e mi propose l'appello, poi mi assicurò: «La cassazione certamente ti assolverà».
«No», gli risposi. L'avvocato si stupì:
« Allora che sei venuto a fare da me?». Gli confidai che quella condanna mi riempiva di forza. Disprezzare lo stato, questo covo di vipere che è diventata l'Italia, il mio paese. Una condanna da parte di gente corrotta fin dentro, cariata in quella parte della ragione che dovrebbe consentire a chiunque d'assolvere un giudizio equanime. Quei nove mesi inflitti da parte dei corrotti, mi rendevano orgoglioso, ma non dovevano mandarmi in galera.
«Solo qualcosa di alternativo alla galera», dissi all'avvocato. Mi parlò della sospensione condizionale oppure, in alternativa, l' attività sociale.
«Quello che riesce», così gli delegai la mia vita, molto disincantato, “tanto non ti pagherò”, pensai, ed uscii dal suo ufficio.
E Lorenza perdurava inflessibile nella sua spassionata vitalità, emersero capacità di guarir anche il corpo. Per lei la vita è fantastica: vive armoniosamente con tutto il bene cui ci cinge la natura. Sapeva di poter guarire i mali attraverso la forza della natura, per mezzo dei rimedi floreali di Bach, l'aroma terapia, sapeva individuare i centri vitali malati, risanarli col suo tocco, competente pure in cromoterapia, gli mancava, per completare la sua professionalità, tutta la collezione di pietre per una pratica completa della cristalloterapia, e sì! ora comprenderete come con le pietre, ultima risorsa, ogni ingresso non avesse difese di sorta. E a quel tempo era tanto adulta da poter vivere da single in una casa di sua appartenenza, addobbarla come la spiritualità richiedeva. La casa risplendeva in costante alternarsi di luminosità, come risplendevano i singolari cristalli appesi alle sue finestre e ch' emanavano giornalmente un nuovo colore a combinarsi continuamente con quello nuovo delle tende: dall'azzurro al verde, dal giallo all'indaco, dall'arancio al violetto; e il rosso era il più frequente. In combinazione tra loro, questi colori ogni nuovo giorno facevano la lor costante apparizione in splendore; addirittura qualcuno sosteneva che nell'arco della giornata uno stesso colore non durasse più di cinque minuti. Un giorno la vecchietta sua vicina di casa scoprì, inaspettatamente, che ad ogni cambiamento di colore s'annusava una «nuova puzza da stordire la testa», così infatti costei disse una volta alle sue amiche, coetanee per lo più zitelle e vedove, oppure coi mariti dimenticati, così pure disse ai suoi nipoti, a sua figlia, alle sorelle, e a tutto il contattabile per vie tradizionali. Lorenza sapeva benissimo che i suoi modi, inconsueti, potevano dare adito a qualche parola di malanimo, eppure si mostrava sempre gentile con la sua vicina di casa, l'unica che aveva; infatti le due vivevano quasi isolate in una delle vie più esterne al paese, e sapevano entrambe che il vicino è come il parente. Una sera (fu nel periodo che Lorenza attendeva, ansiosamente più di me, notizie sul mio rinvio a giudizio) la vecchietta, incontrandola per strada, volle togliersi la curiosità del perché quel monotono color turchese, non venisse cambiato da ormai più di un mese, e perché le piante in giardino non venivano come solito cambiate, al punto che finalmente riuscì col riconoscerne un paio: la digitale purpurea e la verbena, ma riconobbe anche il bonsai di un faggio e molte altre piante delle quali un giorno trarrà maggiori informazioni dalla stessa Lorenza.
«E perché l'incenso solito che sento effondersi, continua ad avere lo stesso odore?», gli chiese in aggiunta la vecchietta. Lorenza quel giorno arrivava in casa dopo un assenza che durò settimane. Anche queste assenza erano ormai divenute normali agli occhi della vecchietta, ma ad ogni assenza le si aggiungeva una stranezza, e se questa gli pareva una volta maggiore e un'altra minore, un motivo glie lo trovava e non era sempre pulito. Lorenza arrivava quel giorno con in mano una scatola piatta ed estesa più di un tavolo, secondo la signora, ma la vecchietta era come sempre esagerata. La scatola era come una di quelle contenenti dei cioccolatini, e di fatti aveva la stessa funzione: ripartire all'interno e delicatamente le preziosità che conteneva.
«Odore?». Lorenza non si aspettava che la signora s'arrischiasse a mostrare la sua invadenza. E rimase stupita. La signora continuò:
«Sì, l'odore che ogni giorno variamente mi facevi sentire, adesso non cambia da molti giorni».
Lorenza sorrise e rispose gentilmente:
« Sono contenta che lo ritieni un odore».
La signora fu imbarazzata, si chiese se Lorenza sapesse che ha diffamato le sue puzze moleste; rispose però senza esitare e con abilità:
«Profumo... se non avessi pensato al profumo non avrei detto incenso».
«È lavanda, adatta per il periodo che sto trascorrendo».
« E che periodo stai trascorrendo? e perché proprio la lavanda?»
«È utile contro il rischio di ansia, questa è aromaterapia»
«Cioè?»
«Ogni essenza della natura ha una sua influenza sul nostro spirito, ed io cerco quelle positive».
«E vale anche le piante che mostri in giardino?».
«Sì anche per loro», rispose Lorenza, pure piena di amorevolezza, e la vecchietta, approfittando dello spirito buono, si fece prendere la mano e chiese:
«E il color turchese nelle finestre?».
«Calma, sicurezza, controllo di me. Saggezza, comprensione, guida positiva, aiuto agli altri. Tolleranza, idealismo duttile, capacità di godere delle esperienze, rilassamento».
E la signora rimase incantata di quella sapienza, ammaliata da quelle mosse delle labbra, una dolce e bella ragazza che mostrava forza spirituale, e che bellezza al vederla. Che profumi emanava.
«Mi venga a trovare in casa, le farò provare anche la cristalloterapia», Lorenza concluse.
La signora si eccitò, lei fu invitata, forse la prima tra tutti che nemmeno uomini si vedevano frequentare quella casa, nel regno del mistero, e non solo entrava a guardare ma a provare addirittura quelle arti che rendevano quella casa, nella nuova prospettiva, luogo di beatitudine.
«Verrò senz'altro», rispose e dovette di nuovo chiedere: « Ma cos'è la cristalloterapia?»
«Fa passare i malanni con le gemme della natura».
Tutta perplessa nel volto, la vecchietta mostrò quanto fosse impreparata. Lorenza se ne accorse e disse:
«Con pietre preziose spiritualmente si riescono a cacciare le energie negative che acciaccano il nostro corpo. Vedi, in questa scatola c'è la collezione completa che ho scovato finalmente nel mio viaggio in Etiopia. Dove ho fatto volontariato».
E qui la signora le porse un immediato saluto, affascinata come era, dovette rinchiudersi in casa altrimenti sarebbe svenuta dinanzi ai piedi di Lorenza...
Da quel covo di acciacchi che era il corpo della vecchietta, fu facile trovare spazio per sistemare quelle gemme preziose: ogni articolazione era dolorante. E s'offrì Lorenza di praticarle un bel massaggio con pomata all'infuso di fiori d'arancio e camomilla. E pensare che quella vecchietta all'inizio era imbarazzata di denudarsi innanzi a quegli occhi, dolci sì, ma estranei; certo rimase l'intimo, ma senza ricoprire il seno, e per tal motivo all'inizio richiese solo il trattamento dei cristalli, quella con le pietre. Per la signora era una cura che non suonava ignota, di fatti, da quelle parti, i suoi avi hanno sempre parlato di tal roccia, di tal pianta, di tal terra miracolosa; e, in raffronto agli umili elementi di questa terra, si poteva onorabilmente riflettere sulle opere meravigliose che si combinavano con le pietre esotiche; quel trattamento suonava consono alla costumanza dovuta, il massaggio no, quello avrebbe fatto parlare. Lorenza l'assicurò che tutto era serio e professionale, il trattamento coi cristalli poteva subentrare solo in un secondo momento, dato che non si trattava di cure magiche e nemmeno empiriche, come l'intende la medicina e la chirurgia contemporanea. Spiegò per sommi capi che gli effetti positivi non seguivano direttamente dalla gemma, ma da quelle forze energetiche che si andavano spegnendo nel suo apparato spirituale. Doveva ripristinare l'armonia del suo spirito. Lorenza doveva indagare i centri del benessere, e la ungeva, la massaggiava, prima coi polpastrelli, picchiettando sulle gambe, sfiorando la pelle, captava delle onde magnetiche e scovava dentro la signora l'energia (abbastanza rarefatta) e questa si sentiva elettrizzata; un brivido nella pelle davvero raggrinzita e flaccida; dai polpacci alle cosce, Lorenza prima segnava i suoi simboli con le dita delicate, poi premeva col palmo, e girava più volte al linguine e saliva dal basso ventre, sempre più sopra. Con quell'età l'intestino, il fegato, la milza, lo stomaco, usurati col tempo, erano i privilegiati delle sue amorevoli cure, e premuti più volte echeggiarono i suoni dal buco di scarico, Lorenza affabilmente li ignorava, ogni tanto arricciava il naso, si voltava e sbuffava senza farsi accorgere; presa dall'estasi era la vecchietta, non gli recavano imbarazzo, e discorreva serenamente con Lorenza. E questa venne a sapere che la signora era ancora attiva, mangia solo frutta fresca e verdura cotta che gli portano dalle campagne circostanti, un po' di pasta bianca, l'olio di casa.
«La vecchia sapienza, sempre la migliore!», esclamava Lorenza in risposta ad ogni parola. E quando il trattamento della signora fu terminato, la stessa si alzò di scatto, con una energia ritrovata, persa da tempo. Lorenza gli consigliò di condurre d'allora in avanti una vita attiva, non fermarsi per la vecchiaia, non deprimersi. La signora rilevò che non rimaneva affatto inattiva tutto il giorno, anzi; e si stupì e fu delusa che la stessa vicina di casa non avesse mai notato cotanto laboriosità, ché tutta la giornata saliva e scendeva le scale, andava a fare la spesa da sola, sempre in cucina a preparare delizie per i nipoti. Per questo si manteneva giovane. Lorenza si mostrava contenta, ma non troppo soddisfatta era la vecchietta, che ancor sul proprio corpo non sperimentava la cura delle gemme.
«Devo capire a che punto è il suo equilibrio spirituale, non si va alla leggera. Venerdì ritorna, ci servirà una chiacchierata per capire. Possibilmente di mattina», disse Lorenza.
«E quanto dobbiamo chiacchierare!», esclamò la vecchietta e si mostrò fin troppo scontenta, le confidò che il venerdì a venire è il primo del mese, «Vengono a darmi la comunione», spiegò, ché con la sua età non può più andare a messa.
«E va bene, vieni dopo il rito cattolico. Mi troverai ad aspettarti», così Lorenza la consolò , e riprese: «Posso anche accompagnarla durante il rito».
Si congedarono con tanto affetto.
Franco
Lessi la condanna a nove mesi notificatami per mezzo posta. «Un mese per ogni vita di gatto. O sono sette le famose vite?», così divagavo. Non m'importava la censura, ma in galera non volevo proprio finire. Mi affrettai a contattare un avvocato qualsiasi, con studio nel centro di Catania; forse sarà più serio. Riuscii ad ottenere l'appuntamento da uno di quei professionisti celebri, di stirpe rinomata e che si vedono nei notiziari regionali. Raccontai per sommi capi la storia, lesse celermente la sentenza e mi propose l'appello, poi mi assicurò: «La cassazione certamente ti assolverà».
«No», gli risposi. L'avvocato si stupì:
« Allora che sei venuto a fare da me?». Gli confidai che quella condanna mi riempiva di forza. Disprezzare lo stato, questo covo di vipere che è diventata l'Italia, il mio paese. Una condanna da parte di gente corrotta fin dentro, cariata in quella parte della ragione che dovrebbe consentire a chiunque d'assolvere un giudizio equanime. Quei nove mesi inflitti da parte dei corrotti, mi rendevano orgoglioso, ma non dovevano mandarmi in galera.
«Solo qualcosa di alternativo alla galera», dissi all'avvocato. Mi parlò della sospensione condizionale oppure, in alternativa, l' attività sociale.
«Quello che riesce», così gli delegai la mia vita, molto disincantato, “tanto non ti pagherò”, pensai, ed uscii dal suo ufficio.
E Lorenza perdurava inflessibile nella sua spassionata vitalità, emersero capacità di guarir anche il corpo. Per lei la vita è fantastica: vive armoniosamente con tutto il bene cui ci cinge la natura. Sapeva di poter guarire i mali attraverso la forza della natura, per mezzo dei rimedi floreali di Bach, l'aroma terapia, sapeva individuare i centri vitali malati, risanarli col suo tocco, competente pure in cromoterapia, gli mancava, per completare la sua professionalità, tutta la collezione di pietre per una pratica completa della cristalloterapia, e sì! ora comprenderete come con le pietre, ultima risorsa, ogni ingresso non avesse difese di sorta. E a quel tempo era tanto adulta da poter vivere da single in una casa di sua appartenenza, addobbarla come la spiritualità richiedeva. La casa risplendeva in costante alternarsi di luminosità, come risplendevano i singolari cristalli appesi alle sue finestre e ch' emanavano giornalmente un nuovo colore a combinarsi continuamente con quello nuovo delle tende: dall'azzurro al verde, dal giallo all'indaco, dall'arancio al violetto; e il rosso era il più frequente. In combinazione tra loro, questi colori ogni nuovo giorno facevano la lor costante apparizione in splendore; addirittura qualcuno sosteneva che nell'arco della giornata uno stesso colore non durasse più di cinque minuti. Un giorno la vecchietta sua vicina di casa scoprì, inaspettatamente, che ad ogni cambiamento di colore s'annusava una «nuova puzza da stordire la testa», così infatti costei disse una volta alle sue amiche, coetanee per lo più zitelle e vedove, oppure coi mariti dimenticati, così pure disse ai suoi nipoti, a sua figlia, alle sorelle, e a tutto il contattabile per vie tradizionali. Lorenza sapeva benissimo che i suoi modi, inconsueti, potevano dare adito a qualche parola di malanimo, eppure si mostrava sempre gentile con la sua vicina di casa, l'unica che aveva; infatti le due vivevano quasi isolate in una delle vie più esterne al paese, e sapevano entrambe che il vicino è come il parente. Una sera (fu nel periodo che Lorenza attendeva, ansiosamente più di me, notizie sul mio rinvio a giudizio) la vecchietta, incontrandola per strada, volle togliersi la curiosità del perché quel monotono color turchese, non venisse cambiato da ormai più di un mese, e perché le piante in giardino non venivano come solito cambiate, al punto che finalmente riuscì col riconoscerne un paio: la digitale purpurea e la verbena, ma riconobbe anche il bonsai di un faggio e molte altre piante delle quali un giorno trarrà maggiori informazioni dalla stessa Lorenza.
«E perché l'incenso solito che sento effondersi, continua ad avere lo stesso odore?», gli chiese in aggiunta la vecchietta. Lorenza quel giorno arrivava in casa dopo un assenza che durò settimane. Anche queste assenza erano ormai divenute normali agli occhi della vecchietta, ma ad ogni assenza le si aggiungeva una stranezza, e se questa gli pareva una volta maggiore e un'altra minore, un motivo glie lo trovava e non era sempre pulito. Lorenza arrivava quel giorno con in mano una scatola piatta ed estesa più di un tavolo, secondo la signora, ma la vecchietta era come sempre esagerata. La scatola era come una di quelle contenenti dei cioccolatini, e di fatti aveva la stessa funzione: ripartire all'interno e delicatamente le preziosità che conteneva.
«Odore?». Lorenza non si aspettava che la signora s'arrischiasse a mostrare la sua invadenza. E rimase stupita. La signora continuò:
«Sì, l'odore che ogni giorno variamente mi facevi sentire, adesso non cambia da molti giorni».
Lorenza sorrise e rispose gentilmente:
« Sono contenta che lo ritieni un odore».
La signora fu imbarazzata, si chiese se Lorenza sapesse che ha diffamato le sue puzze moleste; rispose però senza esitare e con abilità:
«Profumo... se non avessi pensato al profumo non avrei detto incenso».
«È lavanda, adatta per il periodo che sto trascorrendo».
« E che periodo stai trascorrendo? e perché proprio la lavanda?»
«È utile contro il rischio di ansia, questa è aromaterapia»
«Cioè?»
«Ogni essenza della natura ha una sua influenza sul nostro spirito, ed io cerco quelle positive».
«E vale anche le piante che mostri in giardino?».
«Sì anche per loro», rispose Lorenza, pure piena di amorevolezza, e la vecchietta, approfittando dello spirito buono, si fece prendere la mano e chiese:
«E il color turchese nelle finestre?».
«Calma, sicurezza, controllo di me. Saggezza, comprensione, guida positiva, aiuto agli altri. Tolleranza, idealismo duttile, capacità di godere delle esperienze, rilassamento».
E la signora rimase incantata di quella sapienza, ammaliata da quelle mosse delle labbra, una dolce e bella ragazza che mostrava forza spirituale, e che bellezza al vederla. Che profumi emanava.
«Mi venga a trovare in casa, le farò provare anche la cristalloterapia», Lorenza concluse.
La signora si eccitò, lei fu invitata, forse la prima tra tutti che nemmeno uomini si vedevano frequentare quella casa, nel regno del mistero, e non solo entrava a guardare ma a provare addirittura quelle arti che rendevano quella casa, nella nuova prospettiva, luogo di beatitudine.
«Verrò senz'altro», rispose e dovette di nuovo chiedere: « Ma cos'è la cristalloterapia?»
«Fa passare i malanni con le gemme della natura».
Tutta perplessa nel volto, la vecchietta mostrò quanto fosse impreparata. Lorenza se ne accorse e disse:
«Con pietre preziose spiritualmente si riescono a cacciare le energie negative che acciaccano il nostro corpo. Vedi, in questa scatola c'è la collezione completa che ho scovato finalmente nel mio viaggio in Etiopia. Dove ho fatto volontariato».
E qui la signora le porse un immediato saluto, affascinata come era, dovette rinchiudersi in casa altrimenti sarebbe svenuta dinanzi ai piedi di Lorenza...
Da quel covo di acciacchi che era il corpo della vecchietta, fu facile trovare spazio per sistemare quelle gemme preziose: ogni articolazione era dolorante. E s'offrì Lorenza di praticarle un bel massaggio con pomata all'infuso di fiori d'arancio e camomilla. E pensare che quella vecchietta all'inizio era imbarazzata di denudarsi innanzi a quegli occhi, dolci sì, ma estranei; certo rimase l'intimo, ma senza ricoprire il seno, e per tal motivo all'inizio richiese solo il trattamento dei cristalli, quella con le pietre. Per la signora era una cura che non suonava ignota, di fatti, da quelle parti, i suoi avi hanno sempre parlato di tal roccia, di tal pianta, di tal terra miracolosa; e, in raffronto agli umili elementi di questa terra, si poteva onorabilmente riflettere sulle opere meravigliose che si combinavano con le pietre esotiche; quel trattamento suonava consono alla costumanza dovuta, il massaggio no, quello avrebbe fatto parlare. Lorenza l'assicurò che tutto era serio e professionale, il trattamento coi cristalli poteva subentrare solo in un secondo momento, dato che non si trattava di cure magiche e nemmeno empiriche, come l'intende la medicina e la chirurgia contemporanea. Spiegò per sommi capi che gli effetti positivi non seguivano direttamente dalla gemma, ma da quelle forze energetiche che si andavano spegnendo nel suo apparato spirituale. Doveva ripristinare l'armonia del suo spirito. Lorenza doveva indagare i centri del benessere, e la ungeva, la massaggiava, prima coi polpastrelli, picchiettando sulle gambe, sfiorando la pelle, captava delle onde magnetiche e scovava dentro la signora l'energia (abbastanza rarefatta) e questa si sentiva elettrizzata; un brivido nella pelle davvero raggrinzita e flaccida; dai polpacci alle cosce, Lorenza prima segnava i suoi simboli con le dita delicate, poi premeva col palmo, e girava più volte al linguine e saliva dal basso ventre, sempre più sopra. Con quell'età l'intestino, il fegato, la milza, lo stomaco, usurati col tempo, erano i privilegiati delle sue amorevoli cure, e premuti più volte echeggiarono i suoni dal buco di scarico, Lorenza affabilmente li ignorava, ogni tanto arricciava il naso, si voltava e sbuffava senza farsi accorgere; presa dall'estasi era la vecchietta, non gli recavano imbarazzo, e discorreva serenamente con Lorenza. E questa venne a sapere che la signora era ancora attiva, mangia solo frutta fresca e verdura cotta che gli portano dalle campagne circostanti, un po' di pasta bianca, l'olio di casa.
«La vecchia sapienza, sempre la migliore!», esclamava Lorenza in risposta ad ogni parola. E quando il trattamento della signora fu terminato, la stessa si alzò di scatto, con una energia ritrovata, persa da tempo. Lorenza gli consigliò di condurre d'allora in avanti una vita attiva, non fermarsi per la vecchiaia, non deprimersi. La signora rilevò che non rimaneva affatto inattiva tutto il giorno, anzi; e si stupì e fu delusa che la stessa vicina di casa non avesse mai notato cotanto laboriosità, ché tutta la giornata saliva e scendeva le scale, andava a fare la spesa da sola, sempre in cucina a preparare delizie per i nipoti. Per questo si manteneva giovane. Lorenza si mostrava contenta, ma non troppo soddisfatta era la vecchietta, che ancor sul proprio corpo non sperimentava la cura delle gemme.
«Devo capire a che punto è il suo equilibrio spirituale, non si va alla leggera. Venerdì ritorna, ci servirà una chiacchierata per capire. Possibilmente di mattina», disse Lorenza.
«E quanto dobbiamo chiacchierare!», esclamò la vecchietta e si mostrò fin troppo scontenta, le confidò che il venerdì a venire è il primo del mese, «Vengono a darmi la comunione», spiegò, ché con la sua età non può più andare a messa.
«E va bene, vieni dopo il rito cattolico. Mi troverai ad aspettarti», così Lorenza la consolò , e riprese: «Posso anche accompagnarla durante il rito».
Si congedarono con tanto affetto.
Franco
Opera scritta il 16/09/2020 - 19:41
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