L’umanità è al capolinea: mille e non più mille dicevano i nostri antenati…
Alcuni giornali scrivono che entro il 2021 sarà contagiato dal Covid-19 almeno il 70% della popolazione mondiale.
Diciamo che stiamo esagerando: la verità prendiamola per la metà.
A conti fatti, considerando dunque che nel mondo ci sono quasi otto miliardi di persone, i contagiati potrebbero arrivare ad almeno due miliardi e mezzo.
Di questi ultimi, almeno il dieci per cento – a essere ottimisti – passerebbero a miglior vita, in altre parole ben duecentocinquanta milioni di decessi in più, solo per il coronavirus.
Guardando il nostro orticello di casa, dobbiamo costatare che abbiamo dei governanti che ogni giorno ci incantano con reboanti dichiarazioni televisive di erogare sussidi a chi è in difficoltà economica a causa della pandemia (molti ormai non riescono più a mettere insieme il pranzo con la cena), annunci che alla fin fine si rivelano promesse da marinaio, lasciando il malcapitato cittadino “allo sbaraglio”, come alla corrida.
La fantomatica quanto discutibile globalizzazione, incoraggiata dai politici, ha costretto molti imprenditori a delocalizzare tutte o quasi le nostre fabbriche all’estero.
Così siamo costretti a importare buona parte del nostro fabbisogno, soprattutto generi di prima necessità.
La pandemia in atto ha bloccato le esportazioni verso il nostro povero Paese, il quale, alle prese con un debito pubblico mostruoso, non ha i mezzi sufficienti per fronteggiare la peggiore recessione economica dal 1929.
Di questo passo, con il COVID-19 dilagante e l’economia in ginocchio, ci troveremo fra pochi mesi senza materie prime (grano, zucchero, pomodori, latte, farina), perché ormai importiamo tutto dall’estero e gli altri Stati, pure loro in difficoltà, terranno per loro quanto gli serve, lasciando all’Italia le briciole.
Tutto questo perché abbiamo distrutto, con la politica europea della “misura della curvatura del cetriolo e del diametro delle cozze”, anche la nostra preziosa agricoltura che avrebbe prodotto anche più del nostro fabbisogno, soprattutto in alcuni settori.
Così, in preda al panico da pandemia, faremo presto anche la fame, come le cicale, perché le importazioni si pagano, e noi SIAMO ANCHE SENZA SOLDI.
Il terremoto della pandemia sta investendo come uno tsunami migliaia di piccole aziende ormai al collasso economico, con milioni di posti di lavoro a rischio (dal turismo all’agricoltura, dall’industria manifatturiera alle imprese artigiane).
Ciliegina sulla torta, gli sbarchi di clandestini (dei quali ormai nessuno più parla, applicando la politica dello struzzo), che senza soluzione di continuità si riversano nei nostri porti, incuranti del virus, generando nuove spese a carico dello Stato e pericolosi problemi sanitari di contagio nei centri di accoglienza, ormai al collasso. Per i giornalisti (e per il governo) il problema non esiste.
E dovremo dimenticare ancora per tanti mesi (se non anni) la nostra vita di sempre, perché le cose sono profondamente cambiate, e non ce ne siamo ancora accorti.
Anche se siamo tutti presi dai nuovi telefonini, sempre attaccati alle applicazioni dello smartphone, dovremo abituarci a una nuova povertà, centellinare l’uso dell’automobile e scordarci le vacanze nelle località esotiche low-cost, perché ora ci attendono giorni difficili, molto difficili.
Stiamo scivolando verso il baratro dell’usura, del mercato nero, della scarsità di cibo e molti prodotti di uso quotidiano non saranno più disponibili sul mercato.
L’aumento esponenziale delle proteste e della violenza nelle piazze farà aumentare il senso di insicurezza per il dilagare della delinquenza e dello spaccio, come avviene già nei Paesi poveri del sud dell’America o dell’Asia.
I giovani dovranno ridimensionare profondamente il loro modo di vivere pieno di pretese nel chiedere tutto e subito.
Dovranno adeguarsi a lavorare sodo, perché toccheranno con mano quanto sia difficile mettere da parte qualche soldo per vivere dignitosamente, perché purtroppo la vita è dura, molto dura, e ora non si rendono ancora conto di quanto sia umiliante dover rinunciare a qualcosa alla quale una persona aspira da una vita intera senza riuscire a realizzare il proprio sogno.
Mentre tasse e balzelli di ogni genere ci costringeranno a limitare il nostro tenore di vita, minori disponibilità finanziarie per l’acquisto di cibo e medicinali renderanno la nostra sopravvivenza sempre più difficile.
Il tempo delle “vacche grasse”, di biblica memoria, sembra finito per sempre.
Alcuni giornali scrivono che entro il 2021 sarà contagiato dal Covid-19 almeno il 70% della popolazione mondiale.
Diciamo che stiamo esagerando: la verità prendiamola per la metà.
A conti fatti, considerando dunque che nel mondo ci sono quasi otto miliardi di persone, i contagiati potrebbero arrivare ad almeno due miliardi e mezzo.
Di questi ultimi, almeno il dieci per cento – a essere ottimisti – passerebbero a miglior vita, in altre parole ben duecentocinquanta milioni di decessi in più, solo per il coronavirus.
Guardando il nostro orticello di casa, dobbiamo costatare che abbiamo dei governanti che ogni giorno ci incantano con reboanti dichiarazioni televisive di erogare sussidi a chi è in difficoltà economica a causa della pandemia (molti ormai non riescono più a mettere insieme il pranzo con la cena), annunci che alla fin fine si rivelano promesse da marinaio, lasciando il malcapitato cittadino “allo sbaraglio”, come alla corrida.
La fantomatica quanto discutibile globalizzazione, incoraggiata dai politici, ha costretto molti imprenditori a delocalizzare tutte o quasi le nostre fabbriche all’estero.
Così siamo costretti a importare buona parte del nostro fabbisogno, soprattutto generi di prima necessità.
La pandemia in atto ha bloccato le esportazioni verso il nostro povero Paese, il quale, alle prese con un debito pubblico mostruoso, non ha i mezzi sufficienti per fronteggiare la peggiore recessione economica dal 1929.
Di questo passo, con il COVID-19 dilagante e l’economia in ginocchio, ci troveremo fra pochi mesi senza materie prime (grano, zucchero, pomodori, latte, farina), perché ormai importiamo tutto dall’estero e gli altri Stati, pure loro in difficoltà, terranno per loro quanto gli serve, lasciando all’Italia le briciole.
Tutto questo perché abbiamo distrutto, con la politica europea della “misura della curvatura del cetriolo e del diametro delle cozze”, anche la nostra preziosa agricoltura che avrebbe prodotto anche più del nostro fabbisogno, soprattutto in alcuni settori.
Così, in preda al panico da pandemia, faremo presto anche la fame, come le cicale, perché le importazioni si pagano, e noi SIAMO ANCHE SENZA SOLDI.
Il terremoto della pandemia sta investendo come uno tsunami migliaia di piccole aziende ormai al collasso economico, con milioni di posti di lavoro a rischio (dal turismo all’agricoltura, dall’industria manifatturiera alle imprese artigiane).
Ciliegina sulla torta, gli sbarchi di clandestini (dei quali ormai nessuno più parla, applicando la politica dello struzzo), che senza soluzione di continuità si riversano nei nostri porti, incuranti del virus, generando nuove spese a carico dello Stato e pericolosi problemi sanitari di contagio nei centri di accoglienza, ormai al collasso. Per i giornalisti (e per il governo) il problema non esiste.
E dovremo dimenticare ancora per tanti mesi (se non anni) la nostra vita di sempre, perché le cose sono profondamente cambiate, e non ce ne siamo ancora accorti.
Anche se siamo tutti presi dai nuovi telefonini, sempre attaccati alle applicazioni dello smartphone, dovremo abituarci a una nuova povertà, centellinare l’uso dell’automobile e scordarci le vacanze nelle località esotiche low-cost, perché ora ci attendono giorni difficili, molto difficili.
Stiamo scivolando verso il baratro dell’usura, del mercato nero, della scarsità di cibo e molti prodotti di uso quotidiano non saranno più disponibili sul mercato.
L’aumento esponenziale delle proteste e della violenza nelle piazze farà aumentare il senso di insicurezza per il dilagare della delinquenza e dello spaccio, come avviene già nei Paesi poveri del sud dell’America o dell’Asia.
I giovani dovranno ridimensionare profondamente il loro modo di vivere pieno di pretese nel chiedere tutto e subito.
Dovranno adeguarsi a lavorare sodo, perché toccheranno con mano quanto sia difficile mettere da parte qualche soldo per vivere dignitosamente, perché purtroppo la vita è dura, molto dura, e ora non si rendono ancora conto di quanto sia umiliante dover rinunciare a qualcosa alla quale una persona aspira da una vita intera senza riuscire a realizzare il proprio sogno.
Mentre tasse e balzelli di ogni genere ci costringeranno a limitare il nostro tenore di vita, minori disponibilità finanziarie per l’acquisto di cibo e medicinali renderanno la nostra sopravvivenza sempre più difficile.
Il tempo delle “vacche grasse”, di biblica memoria, sembra finito per sempre.
Opera scritta il 28/10/2020 - 22:41
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