Una storia amara
Era la fine di un rigido marzo del 1971 e Alfredo Zardini stava tornando a casa.
In treno, dalla Svizzera.
In una bara.
Alfredo era un aspro veneto di Cortina d’Ampezzo, con solchi sulla faccia di chi ha la fatica come compagna di vita. Aveva moglie e un figlio ma il suo lavoro di falegname non era sufficiente per un futuro. Era scontato partire. La destinazione: Zurigo. Un posto valeva l'altro anche se le condizioni sarebbero state umilianti. Questo lo raccontava chi era tornato deluso, ma non lo spaventava. Era pronto per un lavoro stagionale, ma con nessun famigliare appresso, perché chi entra in Svizzera lo fa solo per lavorare e i figli...e già e i figli? Beh, i figli sono clandestini, anche se qualcuno prova a nasconderli. Rintanati in bui appartamenti, in silenzio per non sfidare civili e zelanti delatori. Ad Alfredo il lavoro non faceva paura, in fin dei conti aveva quarant’anni e quelle mani ruvide sarebbero state abili anche per un lavoro senza diritti. Non si sarebbe distinto da migliaia di altri immigrati, una moltitudine senza nome.
Quella lingua, il tedesco, era sconosciuta, come quel nome: Schwarzenbach. Mai sentito, come quelle parole incomprensibili, uberfremdung, inforestierimento in italiano. Chissà se sapesse che un referendum l’anno prima per limitare ad un 10% gli stranieri, la maggior parte italiani, fu bocciato per un pelo e che aleggiava, ancora, un’atmosfera opprimente di tensione e d’intolleranza che alimentava nostalgia e ritorno a casa in tanti connazionali. È In questo clima che Alfredo, giovedì 18 marzo arriva a Zurigo e non sapendo che ci sarebbe stato solo due giorni. Sabato 20 marzo, intorno alle 5 di mattina esce di casa. Deve incontrare il suo futuro datore di lavoro e prima di recarsi all'appuntamento decide di bere un caffè. Vaga disorientato, ma finalmente trova un bar aperto, il "Frau Stirnimaa". Sembra una fortuna. Entra, ci sono una decina di persone, ad un tavolino vicino al bancone un omone con due ragazze. Ordina il caffè svelando, così, immediatamente la sua provenienza. Quell’omone si chiama Gerhard Schwitzgebel, detto Gerry, schedato dalla polizia e militante della propaganda contro l’inforestierimento, quasi due metri di odio per gli italiani e che, alzandosi da quello che per lui era ancora un lungo venerdì, si avvicina ad Alfredo. E’ una testa di cazzo, uno a cui prudono sempre le mani e argomenta con 130 chili di muscoli. Alita birra e disprezzo. Alfredo, forse solo per mantenere distanti quegli insulti sputati addosso, allunga una mano. E’ il gesto che Gerry aspettava per scatenare una violenza infame. Alfredo si difende, come può, ma la differenza fisica è troppa, cade a terra e in quell’omertà rispettabile che lo circonda, prosegue il massacro. Gerry si accanisce con calci e pugni su quello che oramai è un fagotto inerme. La faccia di Alfredo diventa una maschera di sangue. Gerry, esausto si ferma e fugge.
Alfredo non è cosciente. Qualcuno si alza, gli stessi che al processo diranno fosse ubriaco e che lo avevano trascinato all’esterno per evitare che vomitasse e lordasse il bar…lo prendono di peso e letteralmente lo buttano in strada, sul marciapiede davanti al “Frau Stirnimaa”. Fa freddo, sta nevicando, accartocciato su se stesso, Alfredo sta morendo. Quando un ennesimo passante, invece di scavalcarlo chiama i soccorsi è già passato troppo tempo e a salire sull’ambulanza sarà un cadavere.
La stampa svizzera lo relegherà, qualche giorno dopo, come un tragico evento che non aveva nulla a che fare con la xenofobia, stigmatizzando invece la protesta di tanti italiani che non si erano recati al lavoro il lunedì successivo, per quello che era successo. La municipalità svizzera si limitò a rimborsare le spese di rimpatrio della salma.
Gerhard Schwitzgebel fu condannato nel 1974 a soli diciotto mesi per "eccesso colposo di legittima difesa".
In treno, dalla Svizzera.
In una bara.
Alfredo era un aspro veneto di Cortina d’Ampezzo, con solchi sulla faccia di chi ha la fatica come compagna di vita. Aveva moglie e un figlio ma il suo lavoro di falegname non era sufficiente per un futuro. Era scontato partire. La destinazione: Zurigo. Un posto valeva l'altro anche se le condizioni sarebbero state umilianti. Questo lo raccontava chi era tornato deluso, ma non lo spaventava. Era pronto per un lavoro stagionale, ma con nessun famigliare appresso, perché chi entra in Svizzera lo fa solo per lavorare e i figli...e già e i figli? Beh, i figli sono clandestini, anche se qualcuno prova a nasconderli. Rintanati in bui appartamenti, in silenzio per non sfidare civili e zelanti delatori. Ad Alfredo il lavoro non faceva paura, in fin dei conti aveva quarant’anni e quelle mani ruvide sarebbero state abili anche per un lavoro senza diritti. Non si sarebbe distinto da migliaia di altri immigrati, una moltitudine senza nome.
Quella lingua, il tedesco, era sconosciuta, come quel nome: Schwarzenbach. Mai sentito, come quelle parole incomprensibili, uberfremdung, inforestierimento in italiano. Chissà se sapesse che un referendum l’anno prima per limitare ad un 10% gli stranieri, la maggior parte italiani, fu bocciato per un pelo e che aleggiava, ancora, un’atmosfera opprimente di tensione e d’intolleranza che alimentava nostalgia e ritorno a casa in tanti connazionali. È In questo clima che Alfredo, giovedì 18 marzo arriva a Zurigo e non sapendo che ci sarebbe stato solo due giorni. Sabato 20 marzo, intorno alle 5 di mattina esce di casa. Deve incontrare il suo futuro datore di lavoro e prima di recarsi all'appuntamento decide di bere un caffè. Vaga disorientato, ma finalmente trova un bar aperto, il "Frau Stirnimaa". Sembra una fortuna. Entra, ci sono una decina di persone, ad un tavolino vicino al bancone un omone con due ragazze. Ordina il caffè svelando, così, immediatamente la sua provenienza. Quell’omone si chiama Gerhard Schwitzgebel, detto Gerry, schedato dalla polizia e militante della propaganda contro l’inforestierimento, quasi due metri di odio per gli italiani e che, alzandosi da quello che per lui era ancora un lungo venerdì, si avvicina ad Alfredo. E’ una testa di cazzo, uno a cui prudono sempre le mani e argomenta con 130 chili di muscoli. Alita birra e disprezzo. Alfredo, forse solo per mantenere distanti quegli insulti sputati addosso, allunga una mano. E’ il gesto che Gerry aspettava per scatenare una violenza infame. Alfredo si difende, come può, ma la differenza fisica è troppa, cade a terra e in quell’omertà rispettabile che lo circonda, prosegue il massacro. Gerry si accanisce con calci e pugni su quello che oramai è un fagotto inerme. La faccia di Alfredo diventa una maschera di sangue. Gerry, esausto si ferma e fugge.
Alfredo non è cosciente. Qualcuno si alza, gli stessi che al processo diranno fosse ubriaco e che lo avevano trascinato all’esterno per evitare che vomitasse e lordasse il bar…lo prendono di peso e letteralmente lo buttano in strada, sul marciapiede davanti al “Frau Stirnimaa”. Fa freddo, sta nevicando, accartocciato su se stesso, Alfredo sta morendo. Quando un ennesimo passante, invece di scavalcarlo chiama i soccorsi è già passato troppo tempo e a salire sull’ambulanza sarà un cadavere.
La stampa svizzera lo relegherà, qualche giorno dopo, come un tragico evento che non aveva nulla a che fare con la xenofobia, stigmatizzando invece la protesta di tanti italiani che non si erano recati al lavoro il lunedì successivo, per quello che era successo. La municipalità svizzera si limitò a rimborsare le spese di rimpatrio della salma.
Gerhard Schwitzgebel fu condannato nel 1974 a soli diciotto mesi per "eccesso colposo di legittima difesa".
Opera scritta il 01/11/2020 - 09:50
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Commenti
Grazie tante Giuseppe! Un racconto fedele a una terribile realtà, cruda e spietata.
Moreno Maurutto 07/11/2020 - 09:36
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Ad ogni modo, il lato xenofobo del contesto é inserito con dovizia, così come l'introduzione, le fasi concitate e l'epilogo che lascia naturalmente costernati e... amari.
Maledetto caffè, maledetto quel Jerry che se l'é cavata quasi a buon mercato. Bastardo!
Complimenti, lacerazione tra italianità e "svizzerità" ben espressa, un rievocare un episodio che non merita di essere dimenticato oltre a farlo conoscere ai più giovani, testo dal sapore no global svizzero anni 70.
Maledetto caffè, maledetto quel Jerry che se l'é cavata quasi a buon mercato. Bastardo!
Complimenti, lacerazione tra italianità e "svizzerità" ben espressa, un rievocare un episodio che non merita di essere dimenticato oltre a farlo conoscere ai più giovani, testo dal sapore no global svizzero anni 70.
Giuseppe Scilipoti 06/11/2020 - 22:20
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La "fredda" Svizzera degli anni settanta, non propriamente inospitale, direi non ospitale con gli stranieri, primi nella lista gli italiani, specie i meridionali. Lo sventurato avventore Alfredo Zardini mi ricorda Giovanni Garofoli de "Pane e coccolata" un film che sicuramente conosci, un parallelismo a mio avviso indicato con la sola differenza che il personaggio interpretato da Nino Manfredi, al bar i guai se li cerca.
(segue)
(segue)
Giuseppe Scilipoti 06/11/2020 - 22:19
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Una storia amara, una storia nera, da cronaca nera. Un testo inquadrato inerente ad un episodio sconcertante, con un registro di scrittura che non casca sul taglio giornalistico, semmai si mantiene sul narrativo,naturalmente tenendo a mente che la pubbliciazione di base tratta eventi realmente e... drammaticamente accaduti.
(segue)
(segue)
Giuseppe Scilipoti 06/11/2020 - 22:18
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Grazie tante Barbara!
Moreno Maurutto 02/11/2020 - 21:24
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Storia tragica raccontata con precisione e bravura!Complimenti
barbara tascone 02/11/2020 - 14:30
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Grazie tante Maria Luisa!
Moreno Maurutto 01/11/2020 - 17:41
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Che brutta storia e leggo pure che purtroppo era vera!
Racconto comunque molto ben scritto. Complimenti anche da parte mia
Racconto comunque molto ben scritto. Complimenti anche da parte mia
Maria Luisa Bandiera 01/11/2020 - 15:41
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Grazie tante Mirko! La storia, purtroppo, è vera.
Moreno Maurutto 01/11/2020 - 15:01
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Racconto fantastico dal punto di vista della scrittura...non parlerò dell'argomento come sempre faccio quando lo fa il testo in maniera così esaustiva. Tornando alla scrittura qui addirittura l'uso degli aggettivi forse è superiore ai precedenti racconti. Complimenti
Mirko D. Mastro(Poeta) 01/11/2020 - 12:25
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