Il violinista
Non si sapeva quasi nulla di lui, della sua vita privata e se avesse dei parenti o meno. Certo, nessuno gli veniva mai a fare visita, né tanto meno gli arrivavano lettere o altro. Nel palazzo lo chiamavano “il musicista” infatti, spesso lo sentivano suonare il violino e dal tono della musica si percepiva che avesse le mani tremolanti.
Aristide, questo era il suo nome, era stato un professore di musica ed anche un compositore, aveva realizzato molti brani di grande valore artistico, ma adesso, quasi tutti si erano dimenticati di lui; soprattutto da quando aveva investito un passante, il quale aveva deciso di suicidarsi, proprio sotto la sua auto e da quel momento, era caduto in uno stato di profonda frustrazione e depressione, da cui non si era più risollevato. Aveva iniziato a bere sempre più spesso e ad isolarsi da tutto e da tutti. Gli amici dapprima cercarono di stargli vicino, ma senza risultato e da allora, scoraggiati, si erano messi da parte lasciandolo sempre più solo.
Quel giorno, era stato particolarmente caldo e Aristide aveva sofferto tanto, fuori c’erano stati all’incirca quaranta gradi ma per l’alto tasso di umidità se ne erano percepiti almeno dieci in più. Per trovare un po’ di sollievo, si era rinfrescato il viso più volte e solo in questo modo era riuscito a stare meglio. Nonostante ciò, aveva deciso che per la sera avrebbe preparato per cena qualcosa di speciale, non il solito panino come soleva mangiare. Così quella mattina era uscito presto, per andare al mercato ed aveva comprato del pesce, della verdura fresca, la frutta ed infine una bottiglia di buon vino, non di quello scadente che era solito bere.
Aveva iniziato a preparare la cena molto presto, spaghetti alle vongole, spigole all’acqua pazza, zucchine al forno con formaggio e pan grattato. Era consapevole di aver esagerato, lui non poteva permettersi di eccedere con il cibo, per via di tutti quei valori delle analisi sballate, ma quella era una serata speciale, unica. Sapeva che sarebbe venuta, lei, la dama dagli occhi di ghiaccio, avrebbe fatto il suo ingresso altera, sprezzante, crudele e non avrebbe provato nessuna pietà. Aveva appena finito di cenare, gustando le pietanze con voracità come non aveva fatto più da diverso tempo, quando una folata improvvisa di vento gelido fece smuovere le tende, Aristide si guardò intorno.
Apparve lei, angusta nel suo abito nero e strisciante. Si avvicinò e gli disse con voce melodiosa che contrastava con lo sguardo freddo e senza espressione: ”Sai già chi sono, vero?”.
Aristide annuì, aveva la gola secca, dalla quale faceva fatica ad uscire anche il più flebile suono. Dopo un attimo di smarrimento le chiese: ”Siediti ancora un po’ e lascia che beva il mio ultimo bicchiere di vino.”
Lei si sedette di fronte dicendogli: ”E va bene… ma solo per un momento non posso trattenermi oltre, il mio compito è assiduo ed interminabile e devo andar a far visita ad altre persone”.
Un’ombra di malinconia attraversò lo sguardo del musicista e le disse: ”Com’è triste morire da soli e senza che nessuno pianga per te, ho allontanato tutte le persone a cui volevo bene ed ora, come vorrei poterli salutare anche per un’ultima volta”.
La dama si impietosì di fronte alla miseria umana ed anche se avrebbe ricevuto una bella sgridata, gli permise di vivere ancora un giorno. Si alzò voltandogli le spalle, poi si rigirò e gli intimò: ”Non un giorno di più!”
Un sudore freddo scese sulle guance scavate ed i brividi di gelo gli attraversarono il corpo, ma fu un attimo, poi a poco a poco ritrovò un po’ di forza. Si ricordò che aveva da qualche parte i numeri di telefono di Teo, il suo migliore amico, di Lorenzo, Umberto, Ale, Pierluigi e di Sofia, la bella ed indimenticabile Sofia. Con grande fortuna riuscì a rintracciare tutti e li invitò a cena per una rimpatriata, anche se questi furono sorpresi di aver ricevuto quell’invito così particolare ed inaspettato, furono ben felici di rivederlo, nessuno l’aveva mai dimenticato ed il loro affetto nei suoi confronti, era stato sempre sincero.
Arrivarono tutti in anticipo portando qualcosa da mangiare: lasagne, il rollè, le melanzane ripiene, crocchette di riso, bocconcini di pollo ed infine le crespelle. Aristide era commosso ed il suo cuore fece una capriola e pensò tra sé, non adesso ti prego, fammi gustare queste squisitezze che mi hanno portato, si potrebbero offendere sai.
Ma sapeva che niente e nessuno avrebbe potuto fermare quell’angelo nero così spietato. Fu una cena al sapore dell’amicizia, dei bei ricordi, poi tutti insistettero perché suonasse qualcosa, Aristide prese il suo strumento e con aria solenne, come faceva un tempo nei suoi concerti, alzò dapprima lo sguardo al cielo e poi, con grande maestria, posò l’archetto sulle corde del violino. La musica dapprima lieve si fece sempre più forte e solenne, invadendo tutto il condominio. Suonò l’Ave Maria di Schubert, le note si alzavano e lei puntualmente arrivò, un velo nero spense per sempre quello sguardo che ebbe solo il tempo di dire grazie.
Tutti restarono sbalorditi, cercarono di rianimarlo, qualcuno chiamò l’ambulanza, altri presero dell’acqua credendo in un malessere passeggero….. ma quelle note così struggenti, l’avevano portato con sé accompagnandolo nell’ultimo viaggio.
Per lui era stato un bel regalo morire con la sua amata musica e soprattutto, accanto a quelle persone, a cui in tutti quegli anni non aveva mai smesso di pensare e volere bene.
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Cari saluti
e l'ammirazione per te Bravissimo come sempre un tuo fedele fan grazie e mille dal profondo del cuore Maestra