Reprobi Angelus 7.12
La terza stanza- Sogno l’onnipotenza della scrittura, e poi scrivo il mio sogno
Tra le persiane accostate, il temporale stanotte ha qualcosa di sinistro. E’ come se nell’intervallo tra un tuono e l’altro, il riverbero sulle pareti mormorasse ‘Nel quadro fuori dalla finestra… osserva l’idea della verità per mezzo del falso’. Forse non è che nella mia penna…
E di nuovo quel sussurro ‘L’aria che si vede in quel quadro non è respirabile’.
Ma torniamo a Christopher. L’avevamo lasciato appeso tra i salici come uno straccio sgocciolante, con la schiena appoggiata alla ruota della Volga a noleggio, piangente dalla fronte.
<Che ti è successo, forestiero!? Credo tu abbia corso più di quanto il tuo angelo custode possa volare…> un uomo in livrea, nell’onnipotenza frivola di aver stroncato un volo. <Sembri stordito come questa farfalla…> mostrandogli soltanto quel po’ di colore che resta sulle dita <…una facile preda. Mi chiamo Dyaus e sono il custode del Palazzo sull’Acqua, cosa ti porta qui? Qual è il tuo nome?>.
<<Come Eadweard, il marito di Lobella…>> Christopher custodendo la sua eccitazione, sottovoce <<incredibile, nel manoscritto c’è anche una sorta di vero storico>>.
<Mi sembri frastornato, forestiero. Facciamo così, chiamo mia moglie e ti porto con me alla locanda dove alloggio con lei. Sai perché faccio questo lavoro? Quando ti toccano le mani giuste, capisci che del tuo corpo non ne sei il padrone ma solo il custode. Mia moglie è il mio angelo… suona libero, ma non risponde. Poco importa, le spiegherò una volta arrivati>.
Nascondendo ancora quell’eccitazione che diveniva via via sempre più incontenibile, i pensieri di Christopher non gli permettevano di sentire il suo logorroico compagno di viaggio <<Ecco il km 13… non ho visto il camposanto. Le coltivazioni di zenzero. Ed ecco l’enorme spiazzo, e la locanda. E c’è anche là in fondo quel che rimane di un autoarticolato>>. Non stava più nella pelle. <<Certo, ferraglia e ruggine… ma pur sempre il tir di Allan17>>.
<Ehi forestiero, siamo arrivati… sai che non so ancora come ti chiami?>.
<<Christopher, signore>> la voce gli si faceva pian piano meno esitante <<Mi scusi, le devo essere sembrato quanto meno strano>>.
<Non importa Christopher, siamo tutti un po’ strani. Vieni, ci racconterai dopo. Ora ci rifocilleremo con la famosa zuppa di Grace>.
L’agente letterario tentennò, deluso. E la sua esitazione crebbe nel varcare la soglia. L’insegna diceva Locanda da Benedetta.
“Dyaus, già qui? Hai finito presto oggi. Ma sei in compagnia. Un tuo collega? Ben arrivato. Piacere, Grace. Zuppa per entrambi?”.
<<No… cioè, sì la zuppa. Ma lei signora dovrebbe essere Benedetta…>>.
“Benedetta… la conosceva!? Cosa dico… lei è troppo giovane! Benedetta era la mia bisnonna. L’insegna è per ricordarla. Accomodatevi”.
Ed ecco giungere dal piano rialzato la moglie di Dyaus -Ciao caro, perché non mi hai detto che avresti portato un amico?-. <A dire il vero ci ho provato, ahahaha>. -Non fa nulla, buongiorno…-. << Christopher, il mio nome è Christopher signora Lobella>>.
<Ma che dici… devo ammetterlo, sei quanto meno strano. Lei è il mio angelo, Dortmanna>.
-Perché mi ha chiamata così, Christopher!? Era il nome della mia cara nonna…-.
<<Chiedo scusa a lei e a suo marito, signora. Mi sento un po’ confuso per via del lungo viaggio>>. -Non si preoccupi. Da dove viene, se posso chiederlo?- e intanto, spingendo con la mano dal braccio il marito verso la tavola apparecchiata per il pranzo, la donna cercava di uscire da quel momento di imbarazzo.
<<Da Edimburgo. Aveva ragione Dyaus, questa zuppa è superlativa. Sono un agente letterario>>. <Ahahaha. Io un custode, e tu un agente… ahahaha>. - Dyaus, ti prego. E’ una professione affascinante. Mi dica, c’è qualche nuovo libro da non perdere?-.
<<Bè, ci sarebbe un manoscritto. Sono venuto qui per parlare con l’autore>>.
-Ah, è di queste parti?-.
<<Sì, credo di sì. Ora… vi ringrazio per la bella compagnia, ma ho bisogno di dormire>>.
-Stia tranquillo, Grace le darà una camera per la notte. Grace, cara…-.
Dal capanno retrostante la locanda, dove Dyaus era solito recarsi a fumare, ondeggiava appena una vecchia insegna Locanda Della Cannella. L’uomo, mormorando qualcosa <Pe fende, veniet ad me>, attendeva con fare sottomesso. All’improvviso, dall’oscillare ora più deciso dell’insegna, come se sussurrasse ‘Non bisogna giudicare Dio da questo mondo, perché è soltanto uno schizzo che gli è riuscito male’. <Maligno, ti ho invocato per…>. ‘Preferisco le anime degli uomini che le cattedrali, perché negli occhi degli uomini c’è qualcosa che non c’è nelle cattedrali. Per quanto maestose e imponenti siano. Lo scozzese non deve trovare il manoscritto originale. Quella notte, mentre non ti accorgesti che la tua Lobella fingeva di dormire, mi implorasti di darti l’onnipotenza.
Adesso… fa ciò che è necessario. Tratto anche anime raggrinzite’.
Il manoscritto sullo scrittoio fa da cuscino al suo creatore, mentre dorme ignaro di tutto. Dorme mentre due mani fanno cigolare i braccioli della sedia all’angolo davanti alla finestra. Una di quelle mani arrotola la manica per non sporcarla di inchiostro, mostrando l’avambraccio tatuato. L’altra, assopita, prende la penna SOGNO DI SCRIVERE E POI SCRIVO IL MIO SOGNO.
(in tomo omnipotentia)
-il titolo e la CHIUSA sono ispirati a una citazione di Vincent Van Gogh.
Le parole pronunciate verso la fine da Lucifero ‘…’ sono tratte da citazioni di Edgar Degas e V. Van Gogh
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Questo tuo commento è uno splendore, grazie
Grazie, siete sempre splendide con me
Mi ripeto, sei gran narratore, Mirko, sai trasportare il lettore nel tuo mondo come pochi... complimenti!!!
Per Anna: struggenza è un termine che piace tanto al mio socio, ma io mi sono rifiutata di metterlo in un nostro libro, proprio perché ufficialmente esiste solo struggimento, ma magari usandolo... chissà...la lingua è viva