Acaya
«Bufera di vento e tempestosa pare Acaya del Salento…
Una sagoma di gesso posta con un cannocchiale sulla cinta muraria guarda lontano, verso l’adriatico.
Dal torrione don Rodrigo scruta ancora l'orizzonte in attesa della bella Imelda...»
Don Rodrigo e Imelda
Sferza il vento sui bastioni del castello di Acaya, un caldo surreale accompagna il silenzio mentre
passi incerti s'odono da lontano.
Scruta l'orizzonte in attesa dell'Ottomano periglio l'inesistente vedetta.
Da remoti anfratti fissa nel suo nero colore, ancor guarda lontano, forse domani sarà battaglia,
forse la notte porterà il canto dei grilli a coprire quello dell’anima.
Un tempo nel tempo assurdo, dove non esiste consistenza si muove l'esistenza.
«Son qui per proteggerti mia Signora, nessuno potrà farti del male, dall'alto veglierò per l'eternità i tuoi occhi di smeraldo.
Possa questa tempesta lacerarmi e il cielo maledirmi se io non farò quello che devo e che io sia dannato se non ottempererò a questo mio giuramento»
Antica leggenda vuole padrona dei luoghi donna Imelda sposa amatissima di Rodrigo de Acaya e bellissima musa di poesie e fiabeschi racconti.
Nelle notti, in cui grecale furia si scatena, s'ode ancora il canto disperato del nobile Rodrigo che nel baratro cerca la sua amata rapita con l'inganno da uomini venuti dalle orientali acque, mentre ignaro egli andava alla città d'Hydruntum per difenderla così come comandato dal rango e dalla coscienza.
Messa in allerta la guarnigione egli partì lasciando Imelda chiusa al sicuro delle mura,confidando nella loro possanza.
Il nemico venne con le tenebre dall'adirato adriatico, razziando e depredando.
E fu preda donna Imelda, ancor riecheggiano le sue grida nella brulla terra allora che forza bruta la trascinò via su nero cavallo.
E scimitarre d’argento paiono ancor brillare tra i fulmini della tempesta…
Quale angoscia e tormento eterno provò don Rodrigo nel tornare in vuoto luogo.
Nomi gridati invano e stanze vuote e amori appesi alle pietre dei dirupi.
Pazzia fu e in un giorno in cui regnavano i venti maestosi, obbedendo al giuramento fatto,dal bastione volò giù non potendo più vivere senza la sua amatissima sposa.
«Si dice che da allora, quando i venti si scatenano sulle mura del castello, una nera figura compare su di esse e con un cannocchiale nelle mani guarda lontano cercando la sua bella Imelda e urlando disperato, allora il mare s’alza nelle sue onde e le falesie piangono gocce di sale»
(racconto in prosa poetica tratto da “Leggende e storie della terra Hydruntina” Jean C.G.©2016)
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Mi inchino alla maestria scrittoria!.
(Per ricerche, mi capitò di leggere su internet pagine del "Giornale d'Italia" Anni fra fine settecento, inizio ottocento.
Diversi episodi di cronaca ricordano che il flagello islamico era ancora presente a martirizzare le nostre coste.
Ricordo di un padre in Sardegna, cui avevano rapito la figlia, radunati gli amici li inseguirono raggiungendoli quando stavano per imbarcarsi:
Ne uccisero 17 e liberarono la fanciulla e gli altri rapiti.
Un saluto
è stupendo, rinfranca l'anima, anche se tessuto di colori e note tipici del dramma e del movimento del mare che accompagna quello dell'anima, dell'amore eterno, ma qui perduto, della morte.
Complimenti sinceri, Jean!!!