Una serie di piccole statue di marmo sorvegliava il sentiero.
Accarezzavo a ogni passo la luce che si insinuava tra gli arbusti colpendo i miei occhi che da molto tempo d'essa erano privi.
Proseguivo nel buio della mia anima, l'istinto mi portava lontano, non avevo bisogno di visioni per comprendere, a stento comprendevo i perché generati dai dubbi.
Nel dubbio vivevo ascoltando le melodie provenienti dai rami penduli e dalle cime di vecchi e storpi alberi.
«I suoi capelli si allungavano verso di me, lasciandomi profumi mai sopiti nel mio immaginario, spento dagli echi delle ragnatele del tempo»
Alcuni sassolini procedevano a balzelloni accanto, mentre i piedi scalciavano quel che restava della vita.
Ogni tanto salivano scricchiolii dai rametti che si spezzavano al mio passare, quei rumori tenevano sveglio il cuore, impedendogli di addormentarsi.
Eppure era quello che avrei voluto fare. Sì, addormentarmi in quell'eden misterioso che rappresentava il mio mondo; avrei voluto abbracciare gli umidi umori dei funghi che spuntavano ribelli dal sottobosco, sentivo ancora il profumo di castagne e l'aria umida del mattino che penetrava nel corpo rilasciando nuvole di vaporosa voluttà.
La strada saliva e il fiato riportava alla mente la non più giovane età; ma io sentivo di dover andare avanti, non potevo abbandonare quell'estasi di tristezza.
Tristemente dolce m'appariva il giorno nel suo intercedere con i capricci della notte. Chissà forse ero notte anch'io.
Una notte senza fine che dal mare mi aveva trasportato in vette di cui non conoscevo ragioni.
La pazzia dell'essere cosciente donava un senso d'ebrezza che l'altitudine contribuiva ad aumentare.
Al di là dei segnati passi s'apriva al guardare una valle di fiori e betulle, di frutti e bacche, d'uva e di mosto, di miele e di passione.
Mi chiedevo se mai avessi potuto capire e nel far ciò cercavo le mie mani, non vedevo, non potevo vedere dove esse fossero, percepivo però il loro calore come se non fossero le mie. Il freddo aveva congelato i burattini che dormivano in me ed essi avevano spezzato i fili che li legavano.
Ora li vedevo corre giù per i monti, vivi più che mai, morti come non mai, inermi e pulsanti al tempo stesso. Mie creature, distanti, vecchie, sgualcite, intimorite e infine dimenticate nei dirupi degli errori. Forse avrei voluto fermare quella corsa lenta, forse avrei voluto parlare alle tue paure.
Come mai avrei potuto discorrere non conoscendo i verbi che forgiavano le verità: come avrei potuto ancora chiamarti per nome. Sì, nome, era questa la parola che mi inseguiva, che non permetteva all'essere di pulsare.
Dove erano le ore, la mia clessidra non funzionava: la sabbia era consunta dalle sconfitte.
Il tramonto voltava la luce sul bosco dei desideri, le mie paure s'addolcivano insieme ai toni del cielo.
Sarebbe scesa quella notte cercata sopra il carro del mio destino. Cosa importava oramai, tutto era fiaba, io ero fiaba.
Quella fiaba letta al caldo d'un atavico e ancestrale fuoco.
Fuoco spento d'arsure roventi, fuoco che accendeva il riflesso del mormorio del finire, fuoco che ancora una volta si specchiava nei tuoi occhi accecando per sempre la mia solinga volontà.
«Prendimi con te notte dei tempi, in un tempo che non è il mio. In un tempo che non dà tempo al telaio dell'inganno d'esser vita. Un tempo che soffia inesorabile sulla fiamma del nulla, lasciando che il nulla divenga tutto in una notte di rugiada e grilli»
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Io ho sempre sognato e continuo a farlo,
non credo sia una fuga dalla realtà e nemmeno distacco dalle piccole, necessarie cose materiali, ma è un'esigenza dell'anima di attingere ossigeno e speranza nel sogno, immersi nella natura.
Meraviglioso il canto dei grilli che per forza riporta alle fiabe, come le lucciole, le cicale, gli usignoli, le raganelle... e tutte le meraviglie della Natura.
In questo tuo testo si trova tutta la magia della Natura e della vita, abbracciati ad un sogno silvestre...
Grazie a te, quindi, un abbraccio
Agreste bellezza rorida di rugiada.
Mi trovo particolarmente vicina al tuo
sentire... complimenti!