L’Alba dell’Angelo- § novem
Il cielo blu non fa smettere di osservare quelle nuvole dalle forme strane, si comincia ad associarle a cose. Oggetti che conosce e… sorride. Per un istante sembra di volare.
Gli pare di vedere muoversi frisbee di frittelle che riportano alla mente le passeggiate fatte alla festa del paese quando era solo Hadrianus, quando affondava il volto nello zucchero e ne usciva appiccicoso.
Il paesaggio somiglia alla saporosità dell’uva passa che tanto piaceva al padre che non c’è più, o a un carme ancora da scrivere.
Ma l’amenità è l’aria che respiri, i profumi che attraversano le narici. La terra, l’erba, il fieno.
E se resti a guardare, e a dondolarti puoi avere la fortuna di giungere al tramonto, quando la natura sembra che si congedi dalla luce del giorno per andare a dormire.
Sulla chiusa di questa intemperante novella giungerà poi il crepuscolo che vedrà il guaito straziante di Poeta accucciato su una vecchia pantofola che oramai non servirà più a nessuno.
E con le luci dell’alba tutto ricomincia… il miracolo della vita, col risveglio di ogni suo abitante.
E la battaglia.
La verde pianura inizia a colorarsi delle due masse di soldati in schieramenti coesi dietro scudi dipinti, radunati da una parte sotto gli stendardi della Signora di Rapa Nui e i Signori di Raja Ampat e di Desolazione.
Dall’altra, i restanti Signori del Rigo.
Dopo una fase di avvicinamento a passo d’uomo, partirono da distanza ravvicinata le cariche di fanteria seguite dai cavalieri. Gli scontri iniziarono in formazione compatta spalla a spalla per cercare di rompere lo spiegamento avversario allo scopo di soggiogarlo o mandarlo in fuga.
Durante il conflitto il Signore di pandano si separò dai propri compagni, attaccato al fianco dal Signore di Raja Ampat. Quando alle sue spalle giunse il Signore di Desolazione, uscendo come lampi dal temporale dalle punte dei lanceri, qualcosa di inimmaginabile si consumò.
Uomini e angeli cadevano come “errori nello scritto del sedicente poeta” quando il piccolo mezzosangue angelico Beliar, svicolando tra i corpi senza vita e il suono raschiante delle lame, nel Palazzo della Scrittura si strinse alla gamba dell’anziano e oramai indebolito sire.
Hadrianus il Pacifico sciogliendo il nodo liberò dal suo polso il palloncino, che volò fin su oltre le colline delle Quattro Lettere ove il vento gelido seduto alle due tavole di pietra dinanzi a Yhwh ebbe un brivido.
Volò fin su alle Porte del Paradiso dove il ruggito degli incubi scese fin sulla Terra: qualcosa impedì alle ombre di riemergere e il male riprese a battere con regolarità sull’acciaio del Blocco del Fabbro.
Da un capo all’altro nelle terre di Poèsia le anime delle genti dovettero fare i conti con voli complessi da spiegare... le nuvole, quelle bianche e altre cariche di pioggia, sembravano tasti di un pianoforte. Qualcuno li suonava sul mare a quadretti dinanzi.
‘Aurora Angeli’ dopo decenni illuminava il temporale sui segni della croce: dalle piastre di metallo sulla cotta di maglia di ferro le Pietre dell’Angelo rilucevano come purificate dall’oscurità.
L’Alto Spirito Shamshel col battito delle lunghe fruste era riuscito nell’impresa di sottrarle al Signore di Desolazione per consegnarle alla sua Signora.
Tremante e debole per il sacrificio di un soffio di vita, la custode del frutto della Conoscenza dell’Albero della Vita aveva restituito alle Pietre l’antico dono.
Dall’elmo Beliar riconobbe il padre Samaèl.
Una lacrima ora rifrange nell’acqua immagini degne di poesie da scrivere.
I dieci Signori del Rigo e gli Alti Spiriti dovettero riconoscere la comunione dei tre più potenti oggetti del Paradiso, inginocchiandosi a un uomo e al volere di Colui il cui nome non va pronunciato.
Dalle terre degli uomini sino alle colline delle Quattro Lettere erano stati restituiti alla pioggia suoni di pace.
Il paesaggio di campagna di là dal poggiolo dell’anziano sire risultava oramai essere come uno dei più piacenti. Il luogo che puoi vedere da un’altura, come dall’alto scrutano ogni carme i Signori di Desolazione e Raja Ampat che con gli altri Signori del Rigo e gli Alti Spiriti fanno ritorno nei dieci Luoghi del mondo.
La distesa lo rilassa, senza che pensi più a nulla. Con la mente imbrattata dal verde delle colline intorno alla valle, le distese dei campi coltivati, il fiumiciattolo che scorre. Risplende il sole. Il canto degli uccellini e la lene brezza gli danno riposo. Lasciano ritrovare sulla pelle la pace della fine. Come sul palato la sapidità del pane con l’uvetta nel verone afoso.
Beliar non ritroverà il profumo della laguna oltre la barriera corallina nella lontana Oeno.
Poèsia ha il suo nuovo re!
Lettore, chiunque tu sia, se sei arrivato a leggere fin qui concediti un ultimo sforzo.
Hadrianus il Pacifico dormirà a lungo tra bellissimi capelli scuri dove le due tavole di pietra stanno dinanzi a Yhwh, così va la vita.
Prendi dalla libreria la latta col cibo per Poeta, e magari regalagli una carezza.
Togli dalle mani dell’uomo quell’ultima stesura e riponila nella stessa libreria, non prima di aver scritto, mi raccomando a matita, “Giglio d’acqua”.
…il primo mattino
lumeggiò su due lacrime
allo stagno aggrappate al petalo
d’una ninfea laconica che le
adagiò tra le purezze più intime.
Quando piove, a Poèsia il cielo lo fa perché qualcuno gli manca.
-“…“ parole tratte da un aforisma dell’autore E.D’Onise
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piano sussurro per farli sentire meglio. Se poi insieme sui righi danziamo,
allora è un girotondo di risa argentine sul prato.
Non potevo non tornare...così si sta bene leggendo.