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Sipario aperto

Il dottor Faust si svegliò in una landa desolata e ai piedi di una poderosa montagna di cemento e finestre.
I suoi occhi da lungo tempo abituati alla luce delle tenebre mal sopportavano il bagliore di quel sole bianco e tumefatto dai fumi della città.
Si guardò attorno e prima di alzarsi in piedi tossì secoli di polvere e sonno racchiusi nell'abbraccio di una tomba; la sua tomba, quella dalla quale un destino ironico lo aveva svegliato per riportarlo in vita in un mondo che faceva fatica a riconoscere.
Auto, grattacieli, abiti insoliti, uccelli tuonanti dalle ali d'acciaio che solcavano il cielo lasciando una scia di farina, bicicli a motore dal design maneggevole, strade asfaltate, aria pesante e irrespirabile.
Faust pensò subito a uno scherzo del suo vecchio tentatore Mefistofele, colui che con la promessa della carne lo aveva consegnato a un'eternità vuota e senza Dio.
E mentre tentava di ricordare la sua precedente esistenza e il volto del suo diabolico nemico, un uomo di bell'aspetto gli si fece incontro porgendogli la mano.
"Salve dottore, bentornato tra noi".
Era lui!
Faust d'istinto indietreggiò tentando di afferrare un bastone da terra, ma l'altro lo immobilizzò con la forza ammaliante del suo sguardo.
"Faust ho bisogno di te!"
Il dottore restò pietrificato dall'espressione d'aiuto che leggeva su quel volto vacuo e senza pietà.
"Ascolta dottore, saltiamo i preamboli dove fingiamo di chiederci perché ci siamo rivisti e che realtà è mai questa, perché ho cose molto più importanti da dirti e... Da proporti!"
Faust sentì una punta di acidità affiorare dalla bocca dello stomaco fin sulla punta della lingua, la sua pancia mormorò e Mefistofele sorrise: "vieni, ti spiego tutto a pranzo!"
Il suono assordante di quella metropoli senza tempo né vitalità provocò in Faust una strana sensazione di pena: era come se la sua coscienza, probabilmente accelerata dall'incontro con il diavolo, lo avesse immediatamente edotto sui mali esistenziali di una società così evoluta eppure così miserabile.
Entrarono in un fast food e Mefistofele ordinò due menù con salse e gelato alla vaniglia. Il tanfo di fritto e cartone cotto invadeva quel luogo avulso e dai colori vivaci ed estremamente accattivanti.
Faust inorridì nel guardare una famiglia incredibilmente grassa consumare ciò che una cameriera con un curioso berretto in testa aveva appena servito anche a lui.
Mefistofele osservò divertito il suo commensale e senza battere ciglio si avventò sul proprio cheeseburger.
Faust, vinto dai morsi della fame, fece altrettanto.
Una duplice sensazione di disgusto e benessere invase le sue papille gustative così disabituate ai piaceri del cibo, anche se in cuor suo sentiva che quello che stava mandando giù non si poteva definire esattamente cibo.
In un attimo gli tornarono alla mente tutti gli altri piaceri per i quali aveva sacrificato la sua anima e piegato il suo spirito.
Si ricordò di Margherita, la sua amata, agognata e tanto sofferta Margherita. Colei che indirettamente gli aveva fatto stringere un patto eterno con il Signore degli Inferi.
"Ti piacerebbe rivederla?"
Faust si riprese come dopo un sogno ad occhi aperti e fissò Mefistofele con un'espressione incerta. Non disse nulla, ma il suo corpo iniziò a fremere in maniera incontrollata.
"Allora amico mio, te la senti di ascoltare la mia nuova proposta?"
Faust chino sul suo pranzo annuì e mandò giù un altro boccone. Lo aveva capito sin dall'inizio che era tornato in vita per uno scopo preciso. Anni e anni di studi filosofici e di ricerche alchemiche gli avevano fornito un intuito di prima scelta.
"Bene! Allora sta a sentire che ti illustro il mio piano".
La scena si spostò improvvisamente sul ciglio di un burrone e Faust si ritrovò a mirare una colata di fuoco e zolfo che ribolliva nelle profondità di una voragine senza fine.
"Lo so che stavamo più comodi in quel fast food ma adoro i colpi ad effetto!"
Faust lo guardò come si fa con un bambino capriccioso.
"Ti ho fatto tornare in vita mio caro dottore perché ho bisogno della tua insopportabile fede nell'umanità. Mi spiego: vedi, questo nuovo mondo, figlio del progresso e della polvere da sparo, è un mondo che non ha più bisogno di credere in Dio. Tu dirai, beh nel tuo caso tanto meglio! No, non è meglio! Perché niente Dio significa niente Io. Cioè, niente Dio, niente Diavolo. E tu capisci che questo è un problema. Oggigiorno la cattiveria umana è un prodotto di logiche di mercato, di scelte economiche, di leggi improvvisate che non vengono discusse né messe in dubbio. Oggi il potere è una casualità, un gioco tra idioti, una questione pratica. Ai nostri tempi e anche prima, il potere era un esercizio raffinato, un colpo di stiletto, un duello all'alba tra gentiluomini. Il potere e le sue orribili conseguenze ispiravano poeti e commediografi, esortando gli idealisti a compiere azioni eroiche. Ora il potere è una mera astrazione: un tale una volta ha detto che tutti hanno bisogno di quindici minuti di fama. Ed è ciò che accade. Questo mondo ha lasciato spazio a un altro mondo dove tutti possono avere una chance di successo".
La voce di Mefistofele si fece più inquieta e dalle sue corde vocali uscirono i demoni dell'inferno.
"Faust! Vecchio sognatore e inguaribile idiota, TU hai dato il via a questo mondo!"
Faust sgranò gli occhi e si portò le mani al volto come se volesse proteggersi da una terribile minaccia. Poi con voce impaurita esclamò: "Che diamine di un Mefistofele c'entro io!"
Il diavolo lo fissò a lungo con un'espressione al limite della brutalità e aggiunse: "se tu non avessi chiesto di più dalla tua vita, dalla tua fede, dalla tua carne, dal tuo sogno di amare ed essere amato come uno spirito eletto, il migliore tra gli esseri umani, colui che è andato in cerca della Verità senza trovare risposte credibili a quest'ora il mondo sarebbe mio e di quel bastardo là in alto".
Indicò il cielo con il suo indice estremamente affilato.
"La gente si è rassegnata alle cose che non può conoscere e vuole solo ciò che procura un piacere immediato. Faust, tu sei il progenitore di un'umanità vuota che vuole tutto e subito fottendosene della bellezza, della verità, della giustizia, dell'amore e di Dio e di Me".
I suoi occhi scintillarono di una luce sinistra: "vuoi vedere che fine ha fatto la tua adorata Margherita?"
La scena si oscurò e Faust fu catapultato in un altro luogo.
Quando riprese i sensi nella sua mano reggeva un oggetto che emanava riflessi azzurri e intermittenti. Era l'ultimo modello di iPhone in circolazione, talmente bello e funzionale da colpire il vecchio alchimista come se avesse appena scoperto il segreto della Pietra Filosofale.
Il telefono stava vibrando e sul display comparve il nome "Margherita xxx" accompagnato da una fastidiosa suoneria.
Faust non aveva la ben che minima idea di cosa fosse quel marchingegno e sulle prime pensò di scaraventarlo a terra, sperando che tutto fosse solo un incubo. Poi però si ricordò di essere morto, o meglio di essere vivo ma morto e che i morti-vivi o i vivi-morti, quindi i redivivi, non potevano sognare.
"Si chiama cellulare e serve a un sacco di cose..." La voce di Mefistofele si era calmata.
"Con questa potente arma chiunque può sentirsi in grado di fare tutto. O quantomeno può averne l'illusione. Un tale una volta ha detto che la religione è l'oppio dei popoli. Bene, oggi è questa la nuova religione!"
Faust, come spinto da un impulso sconosciuto, strisciò il polpastrello del pollice sullo schermo e dall'altra parte apparve il volto di una giovane donna segnato da un maquillage esageratamente volgare.
Il video non era nient'altro che una pubblicità di prodotti di bellezza sponsorizzati da una nota influencer conosciuta con il nome di Margherita xxx, ovvero Margherita kiss kiss kiss.


Faust che alla vista di quel nome aveva quasi perso i sensi, tanta era la voglia di incontrare la sua amata di un tempo, scoppiò in un pianto liberatorio e maledisse la sua guida per averlo riportato in vita.
"Perché mi fai questo, non ti era bastato farmi morire di lussuria?!"
A quella domanda però non ci fu nessuna risposta, perché Mefistofele era sparito lasciando il dottor Faust immerso in una visione di incredibile disperazione.
Il diavolo gliela aveva fatta di nuovo.
Faust vide il mondo in fiamme, la guerra, le bombe, le case distrutte, il verde dei prati in cenere, lo splendore delle acque tramutarsi in catrame e petrolio; vide i profughi vagare nell'inverno gelato in cerca di un riparo, vide i bambini in fondo al mare e gli occhi delle madri brillare; vide gli uomini e vide le donne, vide gli uccelli del cielo e gli animali della terra e su di loro incombeva una coltre di fumo rovente; nel fumo, nelle nubi scure e tenebrose vide i diavoli e gli angeli e sopra di loro in un'ellisse formata da tre cerchi concentrici riconobbe l'occhio del Sommo Architetto, il Demiurgo, in lacrime.
Quando si riprese Faust era di nuovo nel fast food e una voce lo stava chiamando.
"Signore... Signore... Mi scusi ma dobbiamo chiudere".
Faust si voltò con indifferenza e uscì in strada.
Il frastuono del traffico lo fece trasalire e l'odore di smog gli provocò la nausea.
Disorientato, vagò in cerca di una via d'uscita da quella realtà così avvilente. La testa gli scoppiava e le gambe erano diventate pesanti come macigni. Al limite delle forze si accasciò su una panchina poggiando la testa sullo schienale, con la vista rivolta al cielo.
"Giornata difficile?"
Una voce simile a una brezza cristallina sembrò accarezzargli la fronte.
"Non se la prenda, vedrà domani andrà meglio".
Faust guardò davanti a sé con la stessa vorace curiosità che aveva nei confronti dei suoi alambicchi quando credeva di aver compiuto una sensazionale scoperta.
La voce proveniva da un chioschetto di fiori dove ad attenderlo c'era il dolce sorriso di una donna.
"Venga, il profumo dei fiori le tirerà su il morale".
Quando Faust si avvicinò i loro sguardi si incrociarono restando immobili per un istante: "i fiori sono i guardiani della bellezza. Senza i fiori non esisterebbe la vita. Sono come l'acqua per i pesci, il vento per gli uccelli e..." Faust si interruppe, da un vaso sfilò una Margherita di campo e con un gesto lieve ed elegante la porse alla bella fioraia: "e come l'ossigeno per gli amanti".
Chiuso il sipario.


"Io son parte di quella possanza
Che vuole continuamente il male
E continuamente produce il bene"
(Dal "Faust" di J.W. Goethe)




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Opera scritta il 10/05/2023 - 16:16
Da Marco Mitidieri
Letta n.778 volte.
Voto:
su 2 votanti


Commenti


Interessante racconto scorrevole che tiene il lettore incollato tra le righe.

Maria Luisa Bandiera 11/05/2023 - 08:45

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