L' uomo le passò una scatoletta e poi si allontanò.
Aprì il cofanetto e diede una rapida occhiata al contenuto. Lo richiuse con uno scatto. Non era quello che voleva. Quel chip non era mai stato usato, era chiaramente vuoto. Solo uno stupido non se ne sarebbe accorto, e lei non era stupida. Si girò verso l'uomo. Lo avrebbe seguito. Sicuramente stava facendo il doppio gioco e lei odiava i doppiogiochisti.
«Ehi!» Lo chiamò
«Che c'è?» rispose seccato, negli occhi il terrore di essere stato scoperto.
Forse avrebbe potuto affrontarlo subito, a viso aperto oppure sparargli e prendere il chip vero, ma il rischio che non lo avesse con lui c'era e lei non poteva correrlo.
«Tu fumi, no?»
«Sì e allora?» l' uomo sudava freddo.
«Hai una sigaretta per me?»
«Si... » Era guardingo e sospettoso.
«Mi fai accendere?» cercò di sembrare innocua e un po' svenevole, ma non era una brava attrice. L' uomo però sembrò cascarci.
Lui le porse l'accendino e lei si sporse in avanti, in modo da fargli scivolare una microspia in tasca.
L' ufficio di Shadow era in penombra. Lui stava appoggiato al muro. Non era da solo. Si solito quando c'era una missione fantasma Mallhoy lo affiancava, ma quel giorno c'era anche Sharlay.
«Hai avuto altri aggiornamenti?» Chiese Mallhoy, sistemandosi sulla sedia.
«No.» Shadow era scuro in volto.
«Fino ad oggi è andato tutto liscio, no?» Disse ancora Mallhoy.
«Sì, quindi non capisco questo silenzio.» Sharlay li guardava in silenzio, lo sguardo duro e penetrante.
«Siate seri, per favore!» Abbaiò.
«Prego?» Shadow lo sfidò.
« Lo sa! Lo sapete entrambi.»
«Che vuoi dire?» Mallhoy si mostrò calmo e sorpreso. Sharlay sorrise beffardo.
«A me non la dai a bere. Lo sapevate dall'inizio che non sarebbe filato tutto liscio.»
«Dice?» Shadow lo sfidò di nuovo.
«Lo so. Tutte le missioni hanno un fattore di rischio. Queste, se va bene hanno un fattore di riuscita!»
«Ciò non toglie che questo silenzio è inspiegabile.»
«Dica piuttosto che la manda ai matti che lei stia facendo a testa sua, di nuovo.»
«Sembra che si stia divertendo»
«Può darsi»
Mallhoy osservava i due uomini con simulata indifferenza. Li conosceva entrambi e sapeva che quel dialogo era disseminato di "non detti".
«Come vuole! Per quale diavolo di motivo è qui?» la voce di Shadow, era gelida e traboccante di rabbia mal celata.
«Per aiutare, forse?»
«Hai novità?» S'intromise Mallhoy, la missione prima di tutto.
«Non molte, ma lei sta usando dei dispositivi.»
«Quali?» Urlò Shadow, il volto una maschera di ghiaccio.
«Un GPS e una macchina sicura.»
«Voglio un rapporto completo è dettagliato!»
«Signor sì.» Il tono di Sharlay era apertamente canzonatorio.
«Sbeffeggia?»
«Devo mettermi sull'attenti?» Girò sui tacchi e a dispetto della mole si guadagnò velocemente l' uscita.
«Credi sia stata una buona idea?» Chiese Mallhoy .
«Se era una missione pulita avremmo seguito la procedura.»
«Ombra più operativo?»
«Sarebbe bastata un ombra, se fosse stata una missione facile.»
«Troppi fattori di rischio...»
«E troppe variabili, Mallhoy.»
«Forse Will...»
«Si sarebbe fatto fregare subito, lei invece conosce bene quel mondo.»
E questo era vero, ma lei non era una spia.
«So a cosa stai pensando, Mallhoy.»
«Sono così facile, da leggere?» Il volto imperturbabile non tradiva la minima emozione, appariva perfettamente calmo
«La stiamo addestrando.»
Shadow annuì.
Pensa Monica, pensa in fretta, continuava a ripetersi. Il GPS stava facendo il suo lavoro, ma per quanto tempo? Lei era già al secondo cambio di macchina e cercava di seguire il suo contatto a debita distanza. La prima macchina l' aveva lasciata al volo, senza preoccuparsi di parcheggiarla e già sentiva le orecchie fischiare al pensiero di Sharlay e della sua reazione.
Il suo contatto si era fermato. Oppure aveva trovato il GPS. Pregò la sua buona sorte, sempre che ne avesse una e pigiò sull'acceleratore. Raggiunse il punto, trovò l' auto e a breve distanza il suo contatto che parlava con un altro uomo, sembravano un trattativa. Cosa doveva fare? Prese un respiro e decise di avvicinarsi. Cercò di stare il più possibile in mezzo alla gente, per non farsi notare, ma non era facile: quelle strade non erano molto frequentate. Svoltò in un strada laterale e sbucò in un vicolo a poca distanza da i due uomini. Troppo lontano per sentire, abbastanza vicino per vendere. Il suo contatto stava passando qualcosa, sicuramente il chip, all' altro uomo. Aspettò che il suo contatto si fosse allontanato e poi intervenne. Urtò il secondo uomo, facendo cadere a terra quanti più oggetti possibile, e nella confusione cominciò a scusarsi parlando a raffica, come una svampita, per distrarlo e nel mentre sostituì il chip che le avevano rifilato con l'originale. Sempre continuando a scusarsi, per essere tanto maldestra, si allontanò il più in fretta possibile. Non poteva tornare all' auto, si era allontanata troppo e sarebbe stata troppo in vista. Doveva trovare un altro parcheggio sicuro e farlo in fretta. L' uomo avrebbe controllato presto il chip, e si sarebbe accorto dello scambio. Cominciò a muoversi a zig zag, continuando a cambiare strada, se si fosse persa, pensò, sarebbe stato difficile anche per un inseguitore ritrovarla. Ma sapeva che non si trattava di un pensiero razionale, ma in quelle situazioni era l' istinto a prevalere. svoltò a destra. Mossa sbagliata: vicolo cieco. A due isolati dal muro, in linea d'aria, secondo il suo orologio, c'era un parcheggio sicuro. Dei passi. Qualcuno che tornava a casa o qualcuno che la cercava? Non avrebbe aspettato per scoprirlo. C'era un muretto, che divideva una proprietà privata, dalla strada, era abbastanza basso da essere scavalcato facilmente, ma come arrampicarsi? Notò una finestra lì vicino. Il davanzale era esiguo, ma se lo sarebbe fatto bastare. Si arrampicò con fatica e poi scavalcò. Il salto fu breve ma cadde male sulla caviglia. Ignorò il dolore, doveva correre. Non c'è era eco per quelle strade, ma lei sentiva quello dei suoi passi avvicinarsi. Non aveva più dubbi: era seguita. Cercò di immettersi in una zona più frequentata, dove c'erano ancora negozi aperti, ma sapeva che era inutile. Doveva raggiungere il parcheggio, subito. Oltre alle auto, l' agenzia aveva anche delle moto sicure, parcheggiate in posti diversi. Controllò sul suo orologio senza fermarsi, una moto si trovava a poca distanza, problema: lei non sapeva andare in moto.
Il colpo di un clacson attrasse la sua attenzione: il suo inseguitore aveva chiamato rinforzi. A quel punto la moto era la sua ultima speranza.
Corse a perdifiato. Raggiunse la moto e ci salì sopra con fatica. Aveva solo una vaga idea di come funzionasse quell' aggeggio, ma avrebbe imparato in corsa. Si immise nel traffico alla più alta velocità consentita, cercando di mantenere l'equilibrio, e la strada. Doveva arrivare all' agenzia tutta intera. La macchina dei suoi inseguitori era sempre dietro di lei. Una moto era più maneggevole e veloce, ma a condizione di saperla portare. Uno degli uomini abbassò un finestrino ed estrasse una pistola. Monica accelerò.
Sharlay, si precipitò nell'ufficio di Shadow. Il volto scuro e arcigno era indecifrabile, ma non faceva presagire nulla di buono.
«Contatti?» Chiese. Shadow scosse la testa.
«Notizie?» Domandò Mallhoy.
«Pessime.» Disse Sharlay buttando un rapporto sulla scrivania. Mallhoy lo afferrò d'istinto lo lesse brevemente e lo porse a Shadow.
Sentì chiaro e disturbo lo scoppio di uno sparo. Non serviva un genio per sapere che la pallottola era destinata a lei. Le erano fischiate le orecchie, ma non sentiva dolore, solo una strana sensazione di freddo e bagnato al braccio, ma non doveva pensarci ora, non poteva farlo. Doveva restare lucida. Non mancava molto all' agenzia. Aveva bisogno di un diversivo. Era saltata da un auto in corsa, forse avrebbe potuto farlo da una moto. Poi ebbe un idea. Fece una rapida inversione ad U rallentando di colpo. Quasi perse l'equilibrio, ma aveva un piano. Frenò bruscamente e scese. Contò febbrilmente i secondi mentre cercava di allontanarsi di corsa dal mezzo e dalla strada. Aveva piazzato sulla moto il suo esplosivo a tempo. Sarebbe esplosa in un minuto. Stava di nuovo violando le regole, ma non vedeva alternative: se avesse fallito sarebbe morta lo stesso, in un modo o nell'altro. Lei non voleva fallire.
«La moto?» Chiese Shadow la voce era una fredda lama intrisa si emozioni contrastanti ed indecifrabili.
«Distrutta.»
«Quante probabilità ci sono che sia viva?» La voce calma e gentile di Mallhoy era più bassa del solito.
«Quasi nulle. Prima dell' esplosione hanno sentito uno sparo.»
«L'orologio? Il localizzatore?» Chiese ancora Shadow.
«Nessun segnale.» Rispose Sharlay, le mani strette a pugno mentre cercava una calma che non possedeva.
In quel momento la porta si aprì.
Monica era arrivata all' agenzia. Era stanca. Ora il braccio cominciava a farle male. Un dolore sordo che cresceva ogni minuto. E anche la caviglia aveva risentito dello sforzo, zoppicava. Si fece coraggio, ora doveva entrare nella gabbia dei leoni ed affrontare quelle due belve che aveva per capi. Con le poche forze che le erano rimaste entrò. Si era sbagliata: le belve erano tre, non due. Una forte sensazione di déja vu le sovvenne ed inarcò le labbra in un sorriso ironico, o almeno ci provò.
«Buonasera!» Il suo fu poco più di un sussurro sibilante.
I tre uomini si voltarono a guardarla.
«Sono contento che sia viva, così posso ucciderla!» la voce di Shadowe arrivò come una coltellata.
Non replicò.
«Ha il chip?» La voce di Mallhoy era gentile nella. Sua freddezza.
Monica barcollò fino alla scrivania, Mallhoy era più vicino, ma la sua battaglia era con Shadow.
«Ecco.» Cercò di sembrare dura e risoluta, nonostante il dolore.
«Ha portato a termine la missione.»
«Ne dubitava?»
«Ne abbiamo dubitato quando abbiamo perso i contatti» Intervenne Mallhoy. Monica si sentiva svenire, ma non le sfuggirono le occhiate che si scambiarono i due uomini. Sharlay era dietro di lei, e non aveva detto ancora una sola parola.
«L'orologio è andato in pezzi.» Cercò di apparire disinvolta.
«neanche lei è tutta intera.» Le fece notare Shadow.
«Ma sono ancora funzionante.» Lo sfidò. Cosa ancora la facesse stare in piedi non lo sapeva.
«La porto in ospedale.» La voce stridula e sgradevole di Sharlay ruppe il silenzio che si era creato.
«Sto bene, posso andarci da sola.» Disse testarda, ma sapeva bene che non era vero.
«E io sono nato ieri!» Abbaiò ancora Sharlay.
Gli altri due uomini restarono in silenzio.
Il medico dell' agenzia stava finendo di medicarla. Non aveva detto neanche una parola e Monica gliene fu grata. Il tragitto fino all' auto di Sharlay era confuso. Di quello fino all' ospedale non ricordava praticamente nulla. Probabilmente Sharlay era andato via. Le avevano dato degli antidolorifici e si sentiva meglio. Questa volta la caviglia era solo slogata e la ferita al braccio poteva essere peggiore. Per fortuna il proiettile l'aveva presa di striscio alla spalla e non aveva causato danni permanenti. Sì sentiva molto debole, ma era lucida.
Lasciò la camera di pronto soccorso camminando lentamente.
«È di nuovo in piedi.» Sharlay era lì e la guardava con i suoi occhi freddi e penetranti.
«Sono più forte di quel che sembra.»
«No. Lei è più pazza, di quel che sembra.» La corresse lui duro.
«Ora posso farcela da sola.»
«Sembra uno straccio!»
«Non è una cosa gentile da dire ad una donna.»
«Io non sono gentile.»
«Lo so. Buona serata.» Cercò di oltrepassarlo, ma la debolezza ebbe il sopravvento. Lui la sostenne. Il tocco era più gentile delle parole.
«La porto a cena.»
«Perché?»
«Ha bisogno di cibo e di riposo.»
«E a lei che importa?»
«Lavora per noi, ci teniamo ai nostri agenti.»
«Sembra una frase di Mallhoy.»
«Già.» Rispose laconico.
«Non vi somigliate affatto.»
«Per poco non è morta, ma non ha perso la voglia di parlare!»
«Io sono fatta così.»
«Risparmi le energie, e deponga le armi.»
«Non le depongo mai.»
«Non sono suo nemico.»
«Neanche mio amico, però.»
«Quando abbiamo perso il segnale abbiamo temuto il peggio.»
«Be' la missione non è fallita.»
«Monica, questo non è un gioco.»
«Lo so.»
«Davvero? Lo sa? Non si direbbe!» Abbaiò Sharlay.
«Sì e voglio vivere. Io voglio continuare ad essere una spia.»
«Usi di più il cervello, non può affidarsi solo all' istinto.»
«E lei che ne sa?»
«Più di quello che immagina.»
«Io però non immagino niente.» Lo provocò.
«Andiamo a cena.»
«Vuole cambiare discorso?»
«Voglio mangiare. Lei è interessante sa?»
«Non suona come un complimento.»
«Non lo è. È quello che penso.»
«Ho avuto paura là fuori.» Perché lo diceva proprio a lui non lo sapeva. Sapeva che non lo avrebbe mai detto a Mallhoy o Shadow.
«Lo so. È una cosa buona.»
«Dice?»
«La paura ci tiene vivi. » Le fece segno di seguirlo ed in silenzio lasciarono l' ospedale insieme.
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