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Verso l'ignoto

Stava l’onda immota,
né più spuma battea la sponda,
che il legno loro,
nel mar di selce era.


Quel Dio irato,
di tempesta a lor fece castigo,
delitto immenso al figlio suo diletto,
osaron tanto.
E l’Uom d’Ingegno e compagni tutti,
la Patria lontano videro.


Così nel pelago inerte,
spenta la vela,
guardavan nel sole.
E il Duca loro li vedea morir.


Non potea, non volea,
vederli così morir!


Sul càssaro l’Uom Ingegno salì nell’ora buia,
e tutti a lui chiamò a raccolta.
Stanche le membra,
occhi fissi sul fine,
arringarli dovea.


“Non son più Duca per voi o Frati!
Ma compagno e frate vostro!”
“Destino insieme abbiam consumato,
che i nostri visi come cera,
al suo batter si fusero.


Ed or che tutto è andato,
ancor vi chiedo Forza!”


“Seguitemi o Frati!”


Euriloco in comando prese forza,
il viso torto alla sua terra,
al Duca la bocca schiuse.


“O Duca nostro,
il braccio teso come sàgola all’arco,
sempre abbiamo speso.
O Duca nostro,
l’occhio attento a buona guardia,
al tuo comando era.
O Duca nostro,
l’ordine tuo al nostro udir,
mai vano era.
Ed or - La Forza - richiedi ancor?”.


Polite a lor fece coro.


“Frati, che sempre ci siam battuti,
e coraggio, e pugna, e lutti,
rammentar ora bisogna.


Si desti ancor l’orgoglio,
che l’Uom d’Ingegno in noi ha fuso.”


E il Duca or fratello a loro,
il guardo fiso dove il sole muore,
parlò gittando forza
per continuar l’impresa.


“Il sangue della pugna
che tanto ci animò,
mutar or deve al sangue
di nostra conoscenza.
Se il Dio degli anemoi
con noi più è compagno,
il legno di vogata le
nostre braccia muovan!
Del legno antico la prua
drizziamo per l’occaso,
là dove il sol di patria,
si spenge per ritornar.”


“Non so o Frati miei,
qual nova troveremo:
terra forse..
benevolo incontro,
di genti e rege suoi..
o fato ostile e avverso..
Ma tutti insieme si debba
il viaggio proseguire,
pel non più oltre.”


Gittaron loro i remi
per movere la nave,
il corno di battaglia,
nell’aere risuono!


La prima mossa spinse
la nave verso l’occaso,
brillava a loro gli occhi,
di nuovo avean progresso.


Odisseo guardava enfiarsi
di ardore i loro petti,
ugual nel dì celeste,
al tempo in cui l’inganno,
la rocca disserrò.


Via orsù! Nel pelago incerto,
pel non più oltre fine,
l’ignoto conquistar!




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Opera scritta il 13/04/2024 - 13:54
Da Stelio Utisele
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