Le urla dei mercanti e i tendoni bianchi del mercato il mercoledì mattina erano una festa, per lui che di feste nella sua vita ne aveva avute ben poche. Il martedì sera si abbandonava al sonno con la leggerezza di un bambino che sa di non dover andare a scuola il giorno dopo o dal dentista o a pranzo dalla nonna. Marco sapeva che l’indomani sarebbe arrivato, senza troppi ostacoli. Se si fossero presentati, lui li avrebbe comunque sconfitti nei sogni.
Il mercoledì mattina, nella sua camera celeste costellata da giocattoli a forma di navicelle spaziali, stelle e meteore, la sveglia non suonava. Alle otto in punto il rumore dei carri che arrivavano in città si trasformava nel canto più soave che Marco potesse sentire. Avete presente la storia del canto delle sirene, che prontamente ogni maestra rifila ai bambini delle elementari?
La leggenda narra di un’isola, posta lunga la costa dell’Italia Meridionale, dove tre sirene davano sfoggio dei loro canti armoniosi, attirando la malizia dei marinai che passavano di li. Le navi avvicinandosi, si fracassavano sulla costa rocciosa dell’isola e le sirene mangiavano i resti dei corpi ormai morti di quei avventurieri. Bene, la mattina del mercato la cosa che più assomigliava a delle sirene erano i pesci che i pescatori avevano catturato la notte prima e che vendevano alle signore di buona forchetta, e il canto delle sirene nessuno lo sentiva. Marco, che in quella testa da bambino di undici anni aveva un oceano di pensieri colorati, captava ogni singola parola dei fruttivendoli e dei contadini che fluivano nella via sotto casa sua e magicamente apriva gli occhi e correva in cucina, dove la mamma gli aveva già preparato la colazione. Di tutto quel banchetto riusciva solo a mettere in bocca una brioche per poi di nuovo correre in camera a vestirsi. Apriva la porta di casa e precipitava giù dalle scale. Il portone del condominio, di legno massiccio, alto più o meno quattro volte Marco, lo separava dal suo paradiso. Lui rimaneva a fissarlo, sperando che Elia, il portinaio, si ricordasse che era un mercoledì mattina, che l’orologio segnava le otto e mezza e che Marco doveva uscire a dare sfogo a quei pensieri colorati, che impazzivano alla vista di frutta, verdura e fiori. Quando Elia, tra il “Corriere della Sera” e il cappuccino caldo non si accorgeva della sua presenza, Marco iniziava a battere il piede sinistro sul pavimento lucido del pianerottolo. A volte capitava che Elia si addormentasse e che il rumore della suola sul pavimento si trasformasse in un urlo ansioso del bambino, allora il portinaio si drizzava sulla poltrona e apriva subito l’enorme portone, per evitare di svegliare l’intero condominio. Fortunatamente questo accadeva rarissime volte, così gli occhi di Marco diventavano color ghiaccio, al primo raggio di sole proveniente dal cielo milanese. Tutti i mercanti dicevano che in quel periodo di crisi economica, Marco era l’unica sicurezza di quella mattina passata al mercato. Tutti lo conoscevano, tutti gli davano il buongiorno ma lui tirava avanti e con la bocca spalancata riusciva a emettere solo suoni di gioia e stupore. Il suo era come un viaggio programmato, in cui anche la minima tappa alla bancarella più piccola andava rispettata. La prima visita era destinata alla signora delle piante grasse, che però Marco non amava perché un giorno, preso dall’eccitazione di toccarne una si punse un dito. Poi toccava ad Antonio, il contadino. Forse quella tappa era la preferita di Marco. Adorava toccare tutte le melanzane e se aveva tempo rimaneva li davanti a fissarle, con la testa storta, volendo forse capire di cosa erano fatte o come potevano avere quel colore così particolare. Poi il tendone del pesce fresco, quello degli arachidi, dell’insalata.
Marco era una sicurezza per i negozianti, ma per lui cos’era veramente sicuro? Il profumo di verdura e le voci rauche del mercoledì mattina non lo erano più. Il comune aveva deciso di spostare il grande mercato in un’altra via, lontana da casa sua. A nessuno dei residenti ovviamente interessò nulla, perché il nuovo mercato era facilmente raggiungibile in pullman o in bici, ma i pensieri colorati di Marco iniziarono ad ingrigirsi.
Le navicelle spaziali che tappezzavano la camera vennero strappate via. Per alcuni mesi , il martedì sera Marco si crogiolava a letto, nascondendosi sotto le coperte, in una dimensione dove i colori del mercato, forse, esistevano ancora.
Il mercoledì mattina, nella sua camera celeste costellata da giocattoli a forma di navicelle spaziali, stelle e meteore, la sveglia non suonava. Alle otto in punto il rumore dei carri che arrivavano in città si trasformava nel canto più soave che Marco potesse sentire. Avete presente la storia del canto delle sirene, che prontamente ogni maestra rifila ai bambini delle elementari?
La leggenda narra di un’isola, posta lunga la costa dell’Italia Meridionale, dove tre sirene davano sfoggio dei loro canti armoniosi, attirando la malizia dei marinai che passavano di li. Le navi avvicinandosi, si fracassavano sulla costa rocciosa dell’isola e le sirene mangiavano i resti dei corpi ormai morti di quei avventurieri. Bene, la mattina del mercato la cosa che più assomigliava a delle sirene erano i pesci che i pescatori avevano catturato la notte prima e che vendevano alle signore di buona forchetta, e il canto delle sirene nessuno lo sentiva. Marco, che in quella testa da bambino di undici anni aveva un oceano di pensieri colorati, captava ogni singola parola dei fruttivendoli e dei contadini che fluivano nella via sotto casa sua e magicamente apriva gli occhi e correva in cucina, dove la mamma gli aveva già preparato la colazione. Di tutto quel banchetto riusciva solo a mettere in bocca una brioche per poi di nuovo correre in camera a vestirsi. Apriva la porta di casa e precipitava giù dalle scale. Il portone del condominio, di legno massiccio, alto più o meno quattro volte Marco, lo separava dal suo paradiso. Lui rimaneva a fissarlo, sperando che Elia, il portinaio, si ricordasse che era un mercoledì mattina, che l’orologio segnava le otto e mezza e che Marco doveva uscire a dare sfogo a quei pensieri colorati, che impazzivano alla vista di frutta, verdura e fiori. Quando Elia, tra il “Corriere della Sera” e il cappuccino caldo non si accorgeva della sua presenza, Marco iniziava a battere il piede sinistro sul pavimento lucido del pianerottolo. A volte capitava che Elia si addormentasse e che il rumore della suola sul pavimento si trasformasse in un urlo ansioso del bambino, allora il portinaio si drizzava sulla poltrona e apriva subito l’enorme portone, per evitare di svegliare l’intero condominio. Fortunatamente questo accadeva rarissime volte, così gli occhi di Marco diventavano color ghiaccio, al primo raggio di sole proveniente dal cielo milanese. Tutti i mercanti dicevano che in quel periodo di crisi economica, Marco era l’unica sicurezza di quella mattina passata al mercato. Tutti lo conoscevano, tutti gli davano il buongiorno ma lui tirava avanti e con la bocca spalancata riusciva a emettere solo suoni di gioia e stupore. Il suo era come un viaggio programmato, in cui anche la minima tappa alla bancarella più piccola andava rispettata. La prima visita era destinata alla signora delle piante grasse, che però Marco non amava perché un giorno, preso dall’eccitazione di toccarne una si punse un dito. Poi toccava ad Antonio, il contadino. Forse quella tappa era la preferita di Marco. Adorava toccare tutte le melanzane e se aveva tempo rimaneva li davanti a fissarle, con la testa storta, volendo forse capire di cosa erano fatte o come potevano avere quel colore così particolare. Poi il tendone del pesce fresco, quello degli arachidi, dell’insalata.
Marco era una sicurezza per i negozianti, ma per lui cos’era veramente sicuro? Il profumo di verdura e le voci rauche del mercoledì mattina non lo erano più. Il comune aveva deciso di spostare il grande mercato in un’altra via, lontana da casa sua. A nessuno dei residenti ovviamente interessò nulla, perché il nuovo mercato era facilmente raggiungibile in pullman o in bici, ma i pensieri colorati di Marco iniziarono ad ingrigirsi.
Le navicelle spaziali che tappezzavano la camera vennero strappate via. Per alcuni mesi , il martedì sera Marco si crogiolava a letto, nascondendosi sotto le coperte, in una dimensione dove i colori del mercato, forse, esistevano ancora.
Opera scritta il 08/09/2014 - 02:35
Da Giorgia Rosa
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Voto: | su 2 votanti |
Commenti
pensieri colorati? colorati di ROSA
salvatore alvaro 08/09/2014 - 21:32
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è veramente bella,complimenti
giusy leotta 08/09/2014 - 19:51
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Per raccontare una creatura così, non occorre solo il narratore, ma anche un sensibile poeta. Le rime, non ci sono, la sensibilità, c'è tutta. Vera
Vera Lezzi 08/09/2014 - 16:56
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