In fila all' Ufficio postale...
Le istruzioni sono:
...le persone, un oggetto. Una storia
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Piego di libri
L’uomo dell’abbaino dall’altro lato della strada dirimpetto alla buca rossa delle lettere, se ne era finalmente accorto.
Trovavo curiosa la scelta della marca di sigarette, l’ultima West la fumava ogni giorno rivolto verso dove soffia il vento quando il sole cala.
Lo vedevo arrivare nel mio ufficetto postale sul finire del mese con quell’aria assorta e la bolletta con la piccola lampadina, come se sul foglio avesse fermato un’idea. O era questa la mia impressione. Poi iniziava a parlare con nessuno alla sua sinistra e sulla destra, per tutto il tempo della fila. Ascoltavo dalla propaganda cartonata del piego di libri le sue storie; di quando diceva d’essere l’ombra dello scrittore che avrebbe voluto diventare, rivolgendosi alla penna nel taschino.
Ma la mia preferita era quella sulla signorina Hansia Borderline, o dovrei dire forse la storia su di me. Quella parola, borderline, prima di allora la avevo sentita solo come disturbo della personalità, o qualcosa di simile. Nel suo narrare invece era una persona in carne e ossa, una terapeuta.
Raccontava a niuno a destra chiamandolo MastroPoeta di come si erano conosciuti al parco, per qualche ora vicini di panchina. Lei leggeva di me e della mia rosa tra le righe e ogni volta che incontrava il mio nome lo pronunciava con gentilezza, Piccolo Principe.
Rivolgendosi alla manica sinistra della giacca come a un tal Dominique, si innervosiva appena al sol pensiero di loro tre di qua e di là dalle righe di una nuova prosa o d’uno spunto di poesia a prendersi al solito per i capelli di su e di giù dalle parole.
Nei momenti di lucidità all’uomo nell’abbaino dall’altro lato della strada avevo sentito dire che tanto tempo fa si era dato “nome de plume” Dominique Noir, e che proprio non sopportava il termine nickname. In quelle pause aveva parlato anche di MastroPoeta, il primo in ordine di tempo. Il pseudonimo come diceva Sciascia, uno dei suoi autori prediletti assieme al mio creatore Antoine de Saint-Exupéry.
Lo osservavo dall’ufficio postale sempre alla stessa ora e dopo quasi due anni avevo conosciuto il suo nome. L’aveva gridato dalla finestra tra le falde sul tetto, Mirko D., quasi a volersene convincere. Quella sera udii ancora e più volte la stessa voce, ma con toni diversi
<Se dicessi biplano> forse alludevano al mio velivoletto, pensai <quali reazioni susciterei…>, riconobbi la terapeuta dalla frangia poggiata sui grossi occhiali. Così il mio nuovo amico scrittore la aveva descritta, lei che se ne era andata nei volteggi privi di fortuna dell’aeroplanino di carta di un bambino appena dietro il vicolo.
Udii poi le parole di quello tra gli apici, in questo modo chiamava Noir
‘Dalla coda come stelle filanti, scie da macchina per il volo in carta paglia’.
E ancora «lucine in ciel che prendon foco da tergo a minuscoli aeroplani di pasta di legno». MastroPoeta, prigioniero tra le caporali.
Forse avevano ognun di loro con le proprie sfumature risposto all’invito della Borderline, forse.
Ma l’uomo dirimpetto alla cassetta delle lettere se ne era finalmente accorto che di loro non si sarebbe mai liberato.
Trovavo curiosa la scelta della marca di sigarette, l’ultima West la fumava ogni giorno rivolto verso dove soffia il vento quando il sole cala.
Lo vedevo arrivare nel mio ufficetto postale sul finire del mese con quell’aria assorta e la bolletta con la piccola lampadina, come se sul foglio avesse fermato un’idea. O era questa la mia impressione. Poi iniziava a parlare con nessuno alla sua sinistra e sulla destra, per tutto il tempo della fila. Ascoltavo dalla propaganda cartonata del piego di libri le sue storie; di quando diceva d’essere l’ombra dello scrittore che avrebbe voluto diventare, rivolgendosi alla penna nel taschino.
Ma la mia preferita era quella sulla signorina Hansia Borderline, o dovrei dire forse la storia su di me. Quella parola, borderline, prima di allora la avevo sentita solo come disturbo della personalità, o qualcosa di simile. Nel suo narrare invece era una persona in carne e ossa, una terapeuta.
Raccontava a niuno a destra chiamandolo MastroPoeta di come si erano conosciuti al parco, per qualche ora vicini di panchina. Lei leggeva di me e della mia rosa tra le righe e ogni volta che incontrava il mio nome lo pronunciava con gentilezza, Piccolo Principe.
Rivolgendosi alla manica sinistra della giacca come a un tal Dominique, si innervosiva appena al sol pensiero di loro tre di qua e di là dalle righe di una nuova prosa o d’uno spunto di poesia a prendersi al solito per i capelli di su e di giù dalle parole.
Nei momenti di lucidità all’uomo nell’abbaino dall’altro lato della strada avevo sentito dire che tanto tempo fa si era dato “nome de plume” Dominique Noir, e che proprio non sopportava il termine nickname. In quelle pause aveva parlato anche di MastroPoeta, il primo in ordine di tempo. Il pseudonimo come diceva Sciascia, uno dei suoi autori prediletti assieme al mio creatore Antoine de Saint-Exupéry.
Lo osservavo dall’ufficio postale sempre alla stessa ora e dopo quasi due anni avevo conosciuto il suo nome. L’aveva gridato dalla finestra tra le falde sul tetto, Mirko D., quasi a volersene convincere. Quella sera udii ancora e più volte la stessa voce, ma con toni diversi
<Se dicessi biplano> forse alludevano al mio velivoletto, pensai <quali reazioni susciterei…>, riconobbi la terapeuta dalla frangia poggiata sui grossi occhiali. Così il mio nuovo amico scrittore la aveva descritta, lei che se ne era andata nei volteggi privi di fortuna dell’aeroplanino di carta di un bambino appena dietro il vicolo.
Udii poi le parole di quello tra gli apici, in questo modo chiamava Noir
‘Dalla coda come stelle filanti, scie da macchina per il volo in carta paglia’.
E ancora «lucine in ciel che prendon foco da tergo a minuscoli aeroplani di pasta di legno». MastroPoeta, prigioniero tra le caporali.
Forse avevano ognun di loro con le proprie sfumature risposto all’invito della Borderline, forse.
Ma l’uomo dirimpetto alla cassetta delle lettere se ne era finalmente accorto che di loro non si sarebbe mai liberato.
Mentre mi infilano tra pieghi d’altri libri oramai da tre mesi ancora lo aspetto, in fila con una nuova idea sulla pagina o in un chiacchiericcio dietro una sbavatura d’ombretto o solo di inchiostro.
Nel fumo di una sigaretta dall’abbaino verso ovest dove si “può guardare il tramonto per tutto il giorno solo spostandosi un poco”.
-la frase “ ” nella chiusa è tratta da Le Petit Prince
(da Tra eteronimi ci si ode)
Scrittura creativa scritta il 09/11/2024 - 08:17
Letta n.81 volte.
Voto: | su 2 votanti |
Commenti
Mentre mi infilano tra i pieghi d'altri libri e via andare fino alla chiusa, a mio parere è poesia, una prosa tra le altre parole..i volteggi privi di fortuna, si legge prosa ma è ancor poesia, e la delicatezza di mostrare personalità diverse con la signorina che prende il volo è ancora direi un disturbo di prosa poetica. Trovo questa scrittura di una fattura particolare, originale, e di riflesso d'acquarello in tinta umana. Tanti complimenti!!
Anna Cenni 09/11/2024 - 15:07
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