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Scrivi un racconto che abbia questo inizio:
"Guardò fuori dalla finestra della camera di letto.
Sapeva che quella sarebbe stata l'ultima notte della sua vita."


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Divento memoria

Guardò fuori dalla finestra della camera di letto. Sapeva che quella sarebbe stata l'ultima notte della sua vita. Le mani scivolarono sul vetro appannato dal freddo lasciando solchi sgocciolanti pieni di rimpianti. La donna stava fissando la strada che l'aveva guardata crescere, cambiare, diventare madre. Aveva sempre risposto in quel viale alberato ogni aspettativa futura, la serenità di cui la sua vita aveva bisogno. Non aveva mai osato spingere oltre quelle poche case neppure una vaga ambizione. Ora tutto quello che riusciva a vedere tra le luci delle macchine che sfocavano a causa della pioggia erano dolori e sogni spezzati a metà. Il suo viso non era più così giovane ma aveva comunque conservato gran parte della sua originaria bellezza. La notte era ormai cominciata da un pezzo eppure tutte le luci nella casa erano spente, la poca luce che filtrava dalle finestre era appena sufficiente ad illuminare i contorni delle cose. Nulla sembrava vivere tra quelle mura, neanche la donna che, se non fosse stato per il movimento ritmico nel suo petto, la si sarebbe potuta scambiare per una statua.
Appese ovunque sulle pareti le foto di due bambini, in alcune di esse c’era anche lei ed un uomo più o meno della sua stessa età. In una di queste foto l’uomo la sta abbracciando, entrambi ridono come ride chi non ha paura di amare. I bambini, due maschi, assomigliano molto al signore, hanno i capelli del suo stesso castano scuro ed un sorriso troppo sincero per essere comune, tuttavia gli occhi verde limpido sono quelli della donna. Le foto sono ovunque, sul comodino, accanto alla televisione, vicino allo specchio. Sembrano i fantasmi di un passato che non esiste più. Sembrano l’ingiustizia del mondo. Sembrano la vita che scappa dalle mani di chi invece voleva tenersela stretta.
La donna si spostò in direzione della porta, i passi erano lenti e calmi come quelli di chi a tutto il tempo di cui ha bisogno. Il vestito nero che portava le scivolava lungo ogni curva del corpo con una delicatezza tale da farlo sembrare un abbraccio. I capelli lunghi e biondi le cadevano mossi lungo la schiena, il candido pallore della sua pelle era spezzato solo dal violento rosso delle labbra. Una rosa in un campo di neve. Quando raggiunse la porta vi si fermò per un secondo con il palmo della mano appoggiato allo stipite, voltò la testa come per imprimersi bene quell’immagine nella testa, poi, con un sospiro che sembrò venire dall’anima sparì nel corridoio. Nei minuti che seguirono alcuni rumori animarono la casa in cui fino a poco prima regnava il silenzio. Cassetti venivano aperti, sedie spostate, una penna scriveva rapida su un foglio che sarebbe dovuto bastare per tutta una vita. Le lacrime che caddero sulla carta invece non produssero alcun suono ma sbavarono vistosamente la sicurezza della scrittura della donna.
La luce del lampadario che era stato acceso in cucina tremava proiettando ombre orribili sulle mura. Quando ebbe finito la donna chiuse il foglio in una busta e la poggiò sul tavolo proprio davanti all’entrata principale.
Oltre alla luce della cucina, che non era stata spenta, venne accesa anche quella della stanza dei bambini. Due lettini identici costeggiavano le pareti della camera divisi solo da un grande tappeto con sopra dei giochi. L’armadio di un verde sgargiante vicino alla finestra era stato tappezzato di disegni e figurine. La donna ne aprì un’anta e ne estrasse due grembiulini ancora sporchi di tempera. Erano così piccoli da entrare entrambi in una stampella sola. Li strinse cosi forte tra le mani che le unghie quasi lacerarono la delicata stoffa azzurra, poi, come esausta cadde seduta su uno dei letti. Il tempo aveva ormai smesso di avere importanza tra quelle mura, il futuro sfumava ed ogni cosa diventava memoria. I grembiuli erano stretti al petto della donna che iniziò a sussultare in preda ai singulti, se solo avesse dovuto distruggere il mondo per farli tornare lo avrebbe fatto senza esitare, se solo avesse potuto far tornare indietro il tempo, se solo avesse potuto regalare a loro la vita che le era rimasta. Non era così, tutto quello che le veniva concesso era di arrendersi a qualcosa che non sapeva più come combattere, poteva solo andarsene via come la neve a primavera.
La verità è che lo sapeva, non aveva paura di ammetterlo. La consapevolezza di essere ormai troppo stanca per vedere il sole sorgere ancora la accompagnava ormai da giorni. Respirando tra la stoffa dei grembiuli si costrinse ad alzarsi in piedi e a riposare i piccoli indumenti nell’armadio dal quale li aveva presi.
Ancora una luce venne accesa quella notte e questa volta fu il turno del bagno. Lo scroscio dell’acqua che stava riempendo la vasca inondò la casa di una melodia simile ad una ninnananna. La donna se ne stava davanti allo specchio con le mani strette sui bordi del lavandino, il corpo leggermente piegato in avanti si scrutava nel riflesso che si trovava difronte. Chi avrebbe mai detto che sarebbe andata così? Non era certo così che pensava sarebbe stata la sua vita quando, troppo giovane per dormire, ipotizzava tra le lenzuola un futuro che ancora non conosceva. Guardandosi negli occhi svitò il tappo della confezione di sonniferi che aveva preso dalla mensola, senza distogliere lo sguardo ne ingurgitò uno, due, tre, dieci, molti, troppi. Quando la testa riemerse dai pensieri nei quali era sprofondata l’acqua aveva ormai riempito tutta la vasca e così, facendo cadere la confezione di farmaci ormai vuota, si precipitò ad interrompere il getto prima che questo facesse traboccare l’acqua sul pavimento. La sua immagine che si rifletteva nella vasca la fece trasalire, era lei, si vedeva, la ragazza che non ha mai avuto fretta di crescere. Quanto poco è rimasto di tutto questo. La testa le incominciò a girare, sempre più veloce, al punto che dovette sforzarsi per trattenere il vomito. Le mani le si stavano intorpidendo, la vista sfocava ed il respiro diventava sempre più affannoso. Fu in quel momento che ebbe la certezza di esserci di esserci, stava succedendo e le andava bene.
Si tolse le scarpe e delicatamente si calò nella vasca, la sensazione dell’acqua che la avvolgeva fu stranamente gradevole. La testa leggermente piegata all’indietro era appoggiata al bordo della vasca e pensava a quanto fosse strano tutto questo. A come fosse strano essere sul punto di andarsene e non provava nulla. Poco dopo l’acqua di richiude sopra di lei, i capelli fluttuavano a raggera come inconsistenti.
Era il suo momento di andare, di andare altrove e proprio mentre poteva sentiva la vita fuggire il sole all’orizzonte sorse di nuovo.



La lettera sul tavolo:
Mi dispiace dovervi causare altro dolore, è stato un atto egoistico il mio, lo so. Non soffrite a causa mia, vi prego, perché quello che è stato per me l’ho già fatto e lo accetto, quasi mi va bene. La verità è che adesso ho bisogno di riposarmi un po’, poco mi importa se questo po’ durerà in eterno. La verità è che spesso mi mancano così tanto che penso di non farcela. Ogni tanto li rivedo correre con il padre per tutta casa, ogni tanto fa male dappertutto. Vorrei avere ancora un pezzetto di cuore rimasto sano per lasciarlo a voi, ma non ne ho più. Io sono già morta, morta mille volte prima di oggi, di una morte orribile e senza sangue dalla quale non potevo essere salvata, da nessuno. Io ora devo andare, ma non preoccupatevi, nulla in questo mondo fa male per sempre. All’inizio forse sarà dura, ma con il passare del tempo le cose miglioreranno, il dolore, a poco a poco, sciamerà fino a diventare un ronzio lontano di sottofondo, fino a che farà male ancora, ma solo un po’…




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Scrittura creativa scritta il 12/07/2013 - 22:19
Da Simone Coriandoli
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