IL GIARDINO DELL’ANIMA
Caduto in un sonno che ai sensi tolse poter,
camminavo d’incanto in un bel prato,ove ordine e armonia
cantavan in cor li senti vibrar la coscienza mia.
Nel far del giorno sorgeva la stella e irradio di sua luce l’universo
Mi prese tal gioia che mi sentii perso.
Era il giardino dell’anima quando nasce pura e casta
Dal primo pensier che l ha creata
Il sentier s’adornava di tanti e tali fior che non potevo
Toglier lo sguardo da tal miraggio.
Mazzi di gialle margherite mi accompagnavano il passo,
di lontano sentivo l’aroma del violaceo glicine
che s’adagiavano su argentei ulivi.
Scorsi, in quella aurea una donna
Di bianca veste,che mi sorrise ,con lei mi fermai a
Ragionar del nostro essser creature,or fallaci or fanciullesche.
Tant’era il disio di comprender quel mondo
Che la fatica non era d’intoppo.
Tra l’erba una madre che s’adorno le spalle
Di rossa lana e un pargol al sen tenea,
vidi quella figura, che tanto mi prese che quasi restai
il mio viaggio.
Se fosse stato un miraggio ancor m’e difficil capir
Perche’ io mi inginocchiai ai suoi pie quella pia donzella
Di verde panno e chiesi:”prendimi sotto il tuo braccio”
Ma d’un tratto mi si paro’ un triste viale,scuro e senza luce
Ne fior, ne canto che penetrasse l’eterna notte,il freddo m’
Attanagliava ,persi la speranza di riveder la strada maestra.
Ove porti torto viale?
Scarpate profonde,di spini aguzzi,ne la gioia di rose e di viole
Caddi in un baratro e non sapevo riveder la china,gia temevo
Che fosse finita!
Il fango maledetto mi impediva la salita
E quanto io facessi mi tirava giu ove ero prima.
Il male che tutto offende mi impediva di raggiunger
L’agognata riva di stringer la spe’ di nova lena.
Sussurri dal profondo del dirupo,mi mettevan pena
Ove io che ero gia sull’orlo di cader nel fondo,vidi al sommo
Una fanciulla tutta bardata di salda armatura mi die’ la mano
Ella mi sosteneva.
Quando fui al fin giunto,ancor l’ombra m’opprimeva
I suo dubbi mi ponevan in basso loco
Mi blandivan quasi lasciai quella via che è vita.
Ancor mi soccorse una fanciulla che grido in quel bosco tetro:
“fuggi di qui pellegrino e segui il sentiero sin dove vedrai il novo
Giorno”
Mi incito’ brandendo una spada e rinnovando l’orgoglio.
Alfin rividi l’alba il fruscio del vento,
lo scorrer d’un ruscello,mi vidi retro
del pericolo e del suo veleno.
Sorgea il caldo sole quel giorno,
ed io pellegrino del suo giardino
mi rivolsi al primo amor dell’infinito
Caduto in un sonno che ai sensi tolse poter,
camminavo d’incanto in un bel prato,ove ordine e armonia
cantavan in cor li senti vibrar la coscienza mia.
Nel far del giorno sorgeva la stella e irradio di sua luce l’universo
Mi prese tal gioia che mi sentii perso.
Era il giardino dell’anima quando nasce pura e casta
Dal primo pensier che l ha creata
Il sentier s’adornava di tanti e tali fior che non potevo
Toglier lo sguardo da tal miraggio.
Mazzi di gialle margherite mi accompagnavano il passo,
di lontano sentivo l’aroma del violaceo glicine
che s’adagiavano su argentei ulivi.
Scorsi, in quella aurea una donna
Di bianca veste,che mi sorrise ,con lei mi fermai a
Ragionar del nostro essser creature,or fallaci or fanciullesche.
Tant’era il disio di comprender quel mondo
Che la fatica non era d’intoppo.
Tra l’erba una madre che s’adorno le spalle
Di rossa lana e un pargol al sen tenea,
vidi quella figura, che tanto mi prese che quasi restai
il mio viaggio.
Se fosse stato un miraggio ancor m’e difficil capir
Perche’ io mi inginocchiai ai suoi pie quella pia donzella
Di verde panno e chiesi:”prendimi sotto il tuo braccio”
Ma d’un tratto mi si paro’ un triste viale,scuro e senza luce
Ne fior, ne canto che penetrasse l’eterna notte,il freddo m’
Attanagliava ,persi la speranza di riveder la strada maestra.
Ove porti torto viale?
Scarpate profonde,di spini aguzzi,ne la gioia di rose e di viole
Caddi in un baratro e non sapevo riveder la china,gia temevo
Che fosse finita!
Il fango maledetto mi impediva la salita
E quanto io facessi mi tirava giu ove ero prima.
Il male che tutto offende mi impediva di raggiunger
L’agognata riva di stringer la spe’ di nova lena.
Sussurri dal profondo del dirupo,mi mettevan pena
Ove io che ero gia sull’orlo di cader nel fondo,vidi al sommo
Una fanciulla tutta bardata di salda armatura mi die’ la mano
Ella mi sosteneva.
Quando fui al fin giunto,ancor l’ombra m’opprimeva
I suo dubbi mi ponevan in basso loco
Mi blandivan quasi lasciai quella via che è vita.
Ancor mi soccorse una fanciulla che grido in quel bosco tetro:
“fuggi di qui pellegrino e segui il sentiero sin dove vedrai il novo
Giorno”
Mi incito’ brandendo una spada e rinnovando l’orgoglio.
Alfin rividi l’alba il fruscio del vento,
lo scorrer d’un ruscello,mi vidi retro
del pericolo e del suo veleno.
Sorgea il caldo sole quel giorno,
ed io pellegrino del suo giardino
mi rivolsi al primo amor dell’infinito
Opera scritta il 08/04/2016 - 11:01
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Commenti
Il componimento, tra prosa e poesia, ha un suo spessore contenutistico tra l'onirico e il cavalleresco. Lodevole anche l'intenzione di ricreare con il linguaggio un'atmosfera tra il fiabesco e l'antico.Tuttavia si legge con una certa fatica per la forma alquanto difettosa. Ci sono errori di punteggiatura, per esempio, e numerose parole (soprattutto verbi alla terza persona del passato remoto) privi d'accento, che costringono il lettore a rileggere la frase per poter capire.
Giuseppe Novellino 09/04/2016 - 11:04
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