Povero e degradato il quartiere in cui sono nata e sono vissuta per undici anni. Non offriva niente ma a noi bambini bastavano gli spazi tra gli isolati per inventarci i nostri giochi e smaltire nel pomeriggio la noia accumulata di mattina nelle ore di scuola. Era una bella banda la nostra: dodici bambini di età compresa tra i sei e i dieci anni disposti a tutto pur di sottrarsi al controllo dei genitori e vincere la noia. Tra tutti il più singolare era Giannino, il leader del gruppo, inesauribile nel proporre giochi e, soprattutto, monellerie e dispetti.
Rosso di capelli e lentigginoso, aveva, in piacevole contrasto, gli occhi molto scuri, leggermente obliqui, due fessure lucenti quando, nel sorriso, gli zigomi si sollevavano ai lati del viso, piuttosto scarno e dalla carnagione alabastrina.
Non aveva orari. Era già in strada quando arrivavano gli altri, si attardava, solo, per le vie del quartiere quando tutti tornavano alle loro case. Cosa faceva ? Come trascorreva quelle ore? E i genitori come mai lo lasciavano fare e gli permettevano di stare fuori così a lungo? Io mi ponevo queste domande e forse non ero la sola. Spinta dalla curiosità, un pomeriggio scesi, per giocare, prima del solito e andai subito in cerca di Giannino. Lo trovai all'ingresso della Casa parrocchiale, vicino al cancello dell'orto, a quell'ora aperto per consentire l'entrata ad alcuni operai che dovevano svolgervi dei lavori. Inginocchiato, osservava con uno strano sorriso una fila di formiche che eseguivano qualche loro rituale intorno al formicaio. Presi a guardare anch'io, affascinata dal movimento apparentemente disordinato dei laboriosi animaletti. Ma lo spettacolo durò poco; all'improvviso Giannino estrasse da una tasca del suo zaino un accendino e cominciò a dare fuoco alle ignare bestioline. Fu questione di attimi e di loro rimasero pochi irriconoscibili resti, un po' di polvere nerastra. Ero turbata, avrei voluto andar via subito da lì ma Giannino fu più lesto di me. Mi afferrò per un braccio e mi costrinse a seguirlo dietro un muricciolo, che delimitava il vialetto di ingresso dell'orto, dove c'era una grossa scatola.Trattenendomi con una mano Giannino la scoperchiò rapidamente con l'altra invitandomi a guardare. Che orrore! A stento mi liberai dalla stretta di Giannino in tempo per dare di stomaco e tornare di corsa a casa.
Terribile quello che avevo visto: mescolati alla rinfusa resti di animali uccisi e tagliuzzati, un mucchio di zampettte , ali, orecchie, piume e, sopra tutto, teste di gattini con gli occhi sbarrati.
C'è voluto, per liberarmi dal trauma, l'aiuto dello psicologo prontamente e opportunamente consultato da mia madre alla quale, fortunatamente per me, avevo raccontato ogni cosa. Ma non è stato facile ed è occorso molto tempo. Mi ha giovato anche il trasferimento in un' altra città per motivi legati al lavoro di mio padre.
A Giannino non ho pensato più. A riportarmelo alla memoria è stato un servizio del TG 1 sull'arresto di un pericoloso criminale, Giuseppe Cercanti, autore di diversi omicidi rimasti per molto tempo impuniti e del quale veniva mostrata la foto. Mi è balzato il cuore in gola nel ravvisare l'incredibile somiglianza: gli occhi ridotti a due taglienti, luminose fessure dagli zigomi sollevati in uno strano, ambiguo sorriso.
E se, nel rispetto della privacy, fossero state date false generalità? Un brivido mi percorse la schiena: il male prevedibile , perciò stesso, evitabile, era davanti ai miei occhi a insinuare dentro di me un inspiegabile, fastidioso senso di colpa, di inquietante corresponsabilità.
Rosso di capelli e lentigginoso, aveva, in piacevole contrasto, gli occhi molto scuri, leggermente obliqui, due fessure lucenti quando, nel sorriso, gli zigomi si sollevavano ai lati del viso, piuttosto scarno e dalla carnagione alabastrina.
Non aveva orari. Era già in strada quando arrivavano gli altri, si attardava, solo, per le vie del quartiere quando tutti tornavano alle loro case. Cosa faceva ? Come trascorreva quelle ore? E i genitori come mai lo lasciavano fare e gli permettevano di stare fuori così a lungo? Io mi ponevo queste domande e forse non ero la sola. Spinta dalla curiosità, un pomeriggio scesi, per giocare, prima del solito e andai subito in cerca di Giannino. Lo trovai all'ingresso della Casa parrocchiale, vicino al cancello dell'orto, a quell'ora aperto per consentire l'entrata ad alcuni operai che dovevano svolgervi dei lavori. Inginocchiato, osservava con uno strano sorriso una fila di formiche che eseguivano qualche loro rituale intorno al formicaio. Presi a guardare anch'io, affascinata dal movimento apparentemente disordinato dei laboriosi animaletti. Ma lo spettacolo durò poco; all'improvviso Giannino estrasse da una tasca del suo zaino un accendino e cominciò a dare fuoco alle ignare bestioline. Fu questione di attimi e di loro rimasero pochi irriconoscibili resti, un po' di polvere nerastra. Ero turbata, avrei voluto andar via subito da lì ma Giannino fu più lesto di me. Mi afferrò per un braccio e mi costrinse a seguirlo dietro un muricciolo, che delimitava il vialetto di ingresso dell'orto, dove c'era una grossa scatola.Trattenendomi con una mano Giannino la scoperchiò rapidamente con l'altra invitandomi a guardare. Che orrore! A stento mi liberai dalla stretta di Giannino in tempo per dare di stomaco e tornare di corsa a casa.
Terribile quello che avevo visto: mescolati alla rinfusa resti di animali uccisi e tagliuzzati, un mucchio di zampettte , ali, orecchie, piume e, sopra tutto, teste di gattini con gli occhi sbarrati.
C'è voluto, per liberarmi dal trauma, l'aiuto dello psicologo prontamente e opportunamente consultato da mia madre alla quale, fortunatamente per me, avevo raccontato ogni cosa. Ma non è stato facile ed è occorso molto tempo. Mi ha giovato anche il trasferimento in un' altra città per motivi legati al lavoro di mio padre.
A Giannino non ho pensato più. A riportarmelo alla memoria è stato un servizio del TG 1 sull'arresto di un pericoloso criminale, Giuseppe Cercanti, autore di diversi omicidi rimasti per molto tempo impuniti e del quale veniva mostrata la foto. Mi è balzato il cuore in gola nel ravvisare l'incredibile somiglianza: gli occhi ridotti a due taglienti, luminose fessure dagli zigomi sollevati in uno strano, ambiguo sorriso.
E se, nel rispetto della privacy, fossero state date false generalità? Un brivido mi percorse la schiena: il male prevedibile , perciò stesso, evitabile, era davanti ai miei occhi a insinuare dentro di me un inspiegabile, fastidioso senso di colpa, di inquietante corresponsabilità.
Opera scritta il 15/01/2017 - 15:58
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Commenti
Grazie Antonio,sono contenta che il mio racconto abbia riscosso il tuo gradimento.Buon pomeriggio.Aurelia
Aurelia Strada 16/01/2017 - 14:26
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Grazie Francesco per il tuo interessante commento che apre a più approfondite riflessioni.Aurelia
Aurelia Strada 16/01/2017 - 14:23
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Un bellissimo racconto molto emozionante.
antonio girardi 16/01/2017 - 11:49
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Oggi mi sono calato un po', tempo permettendo, anche nella lettura di questo racconto, certamente ben scritto. Suscita inquietudine, ma arriva anche la verità... o la cosidetta "banalità" del male. In quanto alla prevedibilità del male, credo rientri nei termini di una speranza.. eticamente e culturalmente auspicabile.
Francesco Gentile 16/01/2017 - 11:45
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Patrizia e Laisa vi ringrazio dei vostri commenti, giuntimi particolarmente graditi.Lieta giornata.Aurelia
Aurelia Strada 16/01/2017 - 11:37
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bellissimo racconto
e complimenti per la correttezza del testo
e complimenti per la correttezza del testo
laisa azzurra 16/01/2017 - 10:12
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Racconto ricco di pathos, inquietante per un certo verso. Scritto bene come sempre. Spesso non si coglie nei piccoli gesti ciò che potrebbe essere nella realtà più cruda...
Patrizia Bortolini 16/01/2017 - 08:53
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