L'ARCIERE
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Già il titolo ci introduce una figura d’altri tempi, che abbiamo da molto consegnato al passato o alla leggenda. Ci vengono in mente le antiche imprese di Paride o più recenti di Robin Hood, o ancora di Guglielmo Tell, eroe nazionale svizzero.
Ma non anticipiamo le conclusioni finali che lasceremo al termine di questa conversazione, ora dobbiamo affrontare altri elementi che ci introducono dentro una filosofia che ci parla di un esistenzialismo pessimistico dove la consapevolezza di essere corpo e materia, associa ad essi tutte le regole naturali che lo vincolano ad un breve percorso terreno.
Allora la memoria corre al pensiero del filosofo tedesco Schopenhauer che sostiene che se ognuno di noi fosse un puro soggetto sensoriale, potrebbe non sentire il peso delle cose terrene.
Ma, poiché siamo corpo, non ci limitiamo a guardarci dal di fuori, ci sentiamo vivere, sentiamo che il corpo ci appartiene, che è l'oggetto con cui l'IO tende a identificarsi e che tutto questo genera anche dolore.
La percezione di essere umani, associa la consapevolezza di essere dunque materia, che ha un tempo per vivere e quindi, inevitabilmente, che porta, con sé, la conseguenza di una fine.
Questo dramma che ci appartiene e ci colpisce sin dalla nascita, porta, inoltre, con sé, durante la vita la ricerca della felicità, affinché questo periodo transitorio non sia considerato un lungo calvario, ma sorgente di una continua crescita interiore capace di migliorare la nostra condizione di vita e di migliorarci interiormente, ossia essere entità attiva del mondo e non passiva.
Eppure deve esserci qualcosa che ci distingue dalla legge terrena, che non può consumarsi e spegnersi nella semplicistica e affrettata equazione NASCITA – MORTE.
Del resto già la filosofia esistenzialista, cara al filosofo danese Kierkegaard, aveva sottolineato gli aspetti negativi dell'esistenza umana, la sua nullità essenziale, che si manifesta nel dolore e soprattutto nella morte.
Il termine immortale sembra essere, allora, l’ancora di salvezza, qualcosa che ci astrae e ci porta al di fuori dal pensiero materialistico che sancisce inderogabilmente tutto finisce con la morte.
Ci viene in soccorso, anche, il termine spirito che nel dilemma se siamo “spiriti puri” o “puri spiriti”, ci fa pensare che, forse, saremo soltanto spiriti, in quanto nati con quel peccato originale di cui non abbiamo capito il senso e la natura e con quel marchio già impresso dalla nascita siamo vittime del nostro essere corpo con tutte le debolezze che ci hanno aggredito e afflitto nel tempo.
La fede potrebbe essere, quindi, la fune a cui aggrapparsi, per salire idealmente dalla terra verso il cielo, con l’accortezza di considerarla strumento di vita e non condanna terrena, rimanendone appesi a nostra volta.
Nel nostro cammino abbiamo già raggiunto un obiettivo: siamo entità pensante, quindi capaci di scrivere il nostro destino, ma un’altra ricchezza ci attende.
Il nostro essere è portatori di amore, pur nella condizione umana che ci limita, siamo fonte inesauribile di amore, non lo acquisiamo da fuori, non lo riceviamo per contatto, ma siamo noi motore capace di “dispensare” amore, anche se non possiamo dimenticare che, certamente è meglio dare che ricevere. Anche se a volte non possiamo disconoscere la circostanza che può esserci più umiltà nel ricevere che nel donare.
Quindi l’amore è qualcosa che possiamo e dobbiamo dare, ma che, allo stesso tempo, vogliamo ricevere. In questo si realizza il senso di appartenere non solo a noi stessi ma anche agli altri.
Quindi, siamo esseri terreni, legati ad un filo che ci porta al di fuori della terra, perché siamo parte dell’amore universale. Dobbiamo ora risolvere l’ultimo dilemma.
Qui ritorna la figura di Guglielmo Tell, costretto a scoccare la freccia, si concentra e la freccia è il mezzo attraverso il quale salverà il figlio. La freccia parte e raggiunge il bersaglio.
La capacità e l’esperienza di Guglielmo hanno fatto centro. La freccia era solo il mezzo per raggiungere l’obiettivo.
Allora la conclusione del nostro ragionamento potrebbe essere questa:
La freccia dell’arciere addestrato, quando si allontana dalla corda dell’arco, vuole raggiungere il bersaglio, questo è il suo destino; così come l’uomo creato da Dio, avendo Dio come obiettivo, vuole naturalmente, inevitabilmente, tornare a Dio.
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Grazie ancora.
Alfonso che bello leggerti! Notte
anima. Per me, immortale e divina.
Complimenti il tuo Arciere è una vera opera d'arte! 5* e tutto il firmamento
Tutto per elogiarti... per plaudirti. Leggerti è cultura entrante.
Lieto meriggio, Alfonso.
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Ma devo rileggerla
In ogni caso, complimenti