ombre fugaci come rapaci uccelli,
se tutto è falso è perché si vede.
Pupille che roteano senza senso.
In un sottile e fumose pranzo
di piatti conviti rotti piatti,
sbucano escrescenze su volti allegri
facce bendate, piombate, l’inverno biancheggia e punteggia.
Bende sugli occhi per non vedere,
ombre dietro di te dietro le tue ombre,
un cinico sacerdote alza la mano:
le danzatrici entrano a frotte.
I treni si aggrovigliano su binari caduchi
mentre i papaveri vi si abbarbicano sopra.
Stagnante l’anima dorme su di un guanciale di spine.
Rovine neghittose strizzano sguardi al palpitante viavai.
Che entrino le pallide giunoniche danzatrici,
trucco spesso nero e corpo bianco,
strofinano le anche tra loro
s’avvinghiano come viti al palo.
Il convito è regale e la notte affonda i colpi,
gli astanti di nero vestiti con le lancette dell’orologio in mano
fatte di gelatina,
mentre schiumano gli antipasti.
Sul collo dell’imbrattacarte una ragazza stringe le gambe a forbice
e stramazza l’uomo che tiene la verità in mano e le prebende in tasca
e che canta la vittoria quando la battaglia è al suo volgere.
Stan tutti in piedi ma è la ragazza che detta i tempi.
Questo le sta sotto e geme e pensa che sia una strana domenica,
ma il Papa non l’ha detto al balcone e non ci crede
detona intorno la festa, caricate i fucili:
qualcuno il grilletto lo tirerà.
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