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IL SECONDO TEMPO

Se ne stava lì, incurante del buio che era calato nella stanza, incurante di tutto. Aveva mille pensieri che le si affollavano nella mente, e faticava a seguirli tutti. Anche se in verità nessuno di essi le sembrava davvero importante. Sul tavolino stava ancora la lettera mezzo stropicciata, che non aveva il coraggio di affrontare. Era strano, si sentiva ad un bivio e non sapeva se era positivo o negativo. Una risata isterica le salì alla gola. Cosa si faceva, quando una fredda tristezza, a stento mitigata di malinconia, ti afferrava il cuore,, depositandosi nell'animo? Non lo sapeva, ma era così che si sentiva. Si alzò e andò alla finestra.il paesaggio era il solito di sempre, ma non le era di nessun aiuto, anzi per quanto amava quei luoghi, guardarli ora le dava fastidio. Perché? Era una domanda che le si era conficcata nella mente da quella mattina, e sapeva che non sarebbe riuscita a mandarla via. Le sembrava tutto inutile e stupido. Scosse la testa, voleva riscuotersi, ma già sapeva che era inutile. Certe notizie, suonavano come una condanna, e lei ora non sapeva se aveva ancora la forza di lottare.


La sala d'attesa era fredda ed impersonale, proprio come ci si aspettava dallo studio di un professionista. Era già stata lì, il mese prima, e ormai quel posto non la impressionava più di tanto, malo stesso si sentiva triste e confusa. Smarrita. Forse perché i risultati, tanto temuti, degli esami erano giunti, forse perché la signorina l'aveva appena avvertita che il suo medico, era partito e che aveva lasciato il suo "caso" ad un collega. Rabbrividì non le piaceva stare in quel luogo, e l'idea di dover parlare ad uno sconosciuto del duo problema l'atterriva e l'irritava al tempo stesso. Dannazione! Perché il fato si stava accanendo così contro di lei? Era così assorta, da non accorgersi che ormai la sala si era svuotata e che era giunto il suo turno di entrare. La stessa signorina di poco prima, le sfiorò una spalla, facendola tornare alla realtà. Raccolse quel poco di coraggio che le restava e con passo un po' incerto, si diresse verso la stanza del medico. Lasciando andare un respiro aprì la porta ed entrò, chiudendosela poi alle spalle. Trasalì. L'uomo che le sorrideva, rassicurante dietro la scrivania, non era uno sconosciuto, anzi lo conosceva fin troppo bene. Chiuse gli occhi. Aveva voglia di fuggire, ma non l'avrebbe fatto. Si avvicinò alla scrivania, pregando che lui non si ricordasse, che non la riconoscesse. None era preparata a quell'incontro. Sedette rigida, di fronte a lui, con gli occhi bassi.
<<Buonasera, Marta.>> La chiamò per nome e le sue speranze andarono in frantumo, mentre la sua mente fece un salto indietro di parecchi anni. Si rivide ai tempi del liceo, alle prese col suo primo amore, più grande di qualche anno e bellissimo. Quel ragazzo era diventato un uomo e ora era di fronte a lei.
<<Buonasera Andrea.>> Disse con un filo di voce. Certo che il destino sapeva essere davvero crudele.
<<Avevo pensato che fossi tu, ma...>> Lei scosse la testa.
<<Lascia stare. Non è facile stare qui.>> Gli disse.
<<Lo so. Ho letto, nella cartella, che il mio collega, ti aveva prescritto altri accertamenti.>>
<<Sì.>>
<<Bene. Immagino siano arrivati.>>
<<Sì.>> Disse ancora, ma esitò. Non voleva mostrarglieli. Si sentiva una stupida, ma aveva ancora un po' di orgoglio che voleva preservare.
<<Mostrameli. Devo vederli.>> La voce di lui era grave e decisa. Una molla le scattò nel cervello, e con dita tremanti aprì la borsa e gli porse la lettera tutta stropicciata, dove c'erano i risultati.
<<Capisco.>> Disse lui, prendendola. Poi rimase in silenzio, tutto intento a leggere i dati contenuti in quei fogli. Marta si concesse il lusso di perdersi nei ricordi. La loro estate insieme, le serate passate a parlare e a vivere il loro breve ed intenso amore. Ma erano ricordi dolorosi, avvolti nella nebbia. Si sentiva così stanca. Piano tornò alla realtà, ma guardando il suo volto scuro, le tornò la voglia di fuggire. Si costrinse a rimanere lì, rigida in attesa di quello che sarebbe stato il verdetto finale, aspettandosi il peggio.


Andrea corrugò le sopracciglia. Sapeva che il collega gli aveva passato la paziente perché era lui l'esperto in quel campo, ma avrebbe voluto non l'avesse fatto. Marta rappresentava un capitolo importante della sua vita. Sapeva che era una donna forte, ma la conosceva bene, e sapeva che dentro aveva l'inferno. E intanto più leggeva quei dati e più la rabbia gli saliva dentro. Era rinomato nel suo campo e aveva molti anni, di esperienza alle spalle, ma faticava a trovare le parole giuste. Scosse la testa e posò le carte. Era diversa dalla ragazzina dei suoi ricordi, eppure l'avrebbe riconosciuta, anche se non avesse letto il suo nome sulla cartella.
<<Le hai lette. Per cui non cercherò di indorarti la pillola. Però abbiamo una speranza.>>
<<Una speranza?>> Chiese guardandolo confusa.
<<Piccola.>> Fece una pausa. <<L'unica vera soluzione sarebbe operare. Ma allo stato attuale non è possibile.>> Lei lo guardò spaesata.
<<E allora?>>
<<C'è una nuova cura, ancora sperimentale, che potrebbe portare i tuoi valori in linea con quelli necessari per l'operazione.>> Marta incassò il colpo.
<<Ma potrebbe anche non funzionare, vero?>> Ad Andrea gli si strinse il cuore, mentre alla memoria gli tornavano ricordi dolcissimi. Era troppo coinvolto e avrebbe dovuto farsi da parte, ma la conosceva bene e proprio per questo non voleva lasciarla sola.
<<Io ti consiglio di tentare.>>
<<Non sai quello che sto passando...>> Si lasciò sfuggire.
<<È vero, ma so quanto sei forte.>> Lei abbozzò un sorriso. Si era forte, ma a tutto c'era un limite, e lui non poteva lontanamente immaginare come stava, il gelo che le attanagliava il cuore e come le erano apparse amareggiate le ore che l'avevano separata da quell'incontro e ancora più amari e desolati le apparivano i giorni a venire.
<<Va bene. Tanto se ho capito, ho ben poco da perdere.>> Disse ancora. Lui strinse i pugni.
<<Non ti arrendere.>> Le disse, lasciando da parte il contegno e il distacco che sua professione imponeva.
<<Quanto cominceremo la cura? E cosa devo aspettarmi?>>
<<Tra una settimana,. Ho bisogno di altre analisi, prima. Non sarà facile, ti avverto, ma non ti lascerò sola.>> Tra due mesi ripeteremo questi esami, e se tutto andrà secondo i piani, allora potremo operare.>>. Fece una pausa e poi passò a spiegarle tutti i dettagli della terapia.


Quando lasciò lo studio medico si sentiva distrutta. Le cadute facevano parte della vita, ma questa volta le sembrava impossibile rialzarsi. E anche aver rivisto Andrea, non sapeva se dire che era un bene, o un male, viste le circostanze.


I due mesi volarono. La malattia e i trattamenti avevano lasciato il segno, ed era stanca, eppure in quei due mesi era successa una cosa, una cosa che non credeva potesse mai accadere, e che invece era accaduta, improvvisa come la tempesta d'estate, ridandole la voglia di lottare. Lei e Andrea si erano ritrovati, o forse si erano innamorati di nuovo, non lo sapeva. Ma sapeva che quest'amore aveva riportato il sole, nei suoi giorni grigi. Restituendole la voglia di lottare, anche se non era facile. E non era stato facile neanche accettare di essere innamorata, vista la precarietà della situazione. E ora aveva paura, una paura grande, che le dilaniava il cuore, e le impediva di godere appieno, di quei pochi attimi di serenità che le erano concessi, tanta era la paura di perdere quell'amore così fragile, che malgrado tutto cercava di crescere, giorno dopo giorno. Scosse la testa. Andò nell'altra stanza, afferrò la busta, che stava sul tavolino, e che era arrivata da due giorni, e la mise nella borsa. Non l'aveva aperta, non ne aveva avuto il coraggio. Quella sera aveva appuntamento con Andrea, e sentimenti contrastanti le si agitavano nel petto.


Andrea camminava su e giù per lo studio. Stava aspettando Marta, ed era preoccupato: lei era in ritardo. Aveva pensato molto alla loro storia. Tanti anni prima, era stata la vita stessa a dividerli, le scelte, gli studi. Ora capiva che forse quell'amore non si era mai dissolto, come aveva creduto, e in quei mesi era tornato a vivere, nonostante la situazione. Sapeva che come medico doveva restare lucido e freddo, ma gli era impossibile. Quanto tempo avevano sprecato inutilmente? Ma non aveva senso pensarci ora. In quel momento, la porta si aprì. Marta fece il suo ingresso, il passo era in certo, e nei suoi grandi occhi vi poteva leggere il turbamento.
<<Ciao.>> Non gli venne niente d'intelligente da dire.
<<Ciao...>> Gli rispose lei.
<<Sono arrivati i risultati?>> Lei annuì.
<<Due giorni fa.>> Andrea deglutì.
<<Mostrameli.>>Lei con mano tremante gli porse la busta.
<<Ecco.>>
<<Non gli hai aperti?>>
<<Non ho potuto.>> Lui annuì. E tradendo una certa ansia, afferrò il tagliacarte e in un colpo aprì la busta. Ne estrasse il contenuto e cominciò a leggere. Marta lo osservava, incapace di leggere il suo sguardo.
<<E allora?>> gli chiese. Lui posò i fogli e le andò vicino.
<<Sono buoni. Possiamo operare.>> Lei si sentì mancare la terra sotto i piedi, e crollò contro di lui. Quella che l'era apparsa solo una chimera, si era realizzata, e ora ne aveva un'altra da inseguire. Le lacrime tanto a lungo trattenute si riversarono sul suo viso come un fiume in piena, mentre lui la stringeva forte a sé.
<<Cosa accadrà se l'operazione andrà male?>>
<<Andrà bene.>> Disse in tono duro.
<<Quanto tempo abbiamo?>>
<<Dobbiamo agire in fretta. In settimana.>> A Marta si gelò il cuore.
<<Ma se...>>Lui non le lasciò finire la frase.
<<Andrà bene.>> Disse ancora, ma non sapeva se volesse convincere lei o se stesso.


L'operazione era durata a lungo, ma era andata bene. Era distrutto, ma era rimasto in ospedale, voleva che lei lo trovasse accanto a sé, quando si fosse svegliata. Operarla era stata un'esperienza devastante, più volte aveva temuto di non farcela, ma non l'avrebbe mai lasciata nelle mani di qualcun altro. Sospirò,ormai era tutto finito. In quel memento lei aprì gli occhi. Lui sorrise.
Si sentiva strana. La vista era annebbiata, e si sentiva molto debole. Si guardò intorno cercando di mettere a fuoco dove si trovava, poi piano piano ricordò, la malattia, l'intervento. Andrea era lì accanto a lei, e sorrideva. Le si avvicinò e le strinse delicatamente una mano, sussurrandole: << è andato tutto bene.>> Il peso che le gravava sul cuore si sciolse, tornava a vivere e finalmente non doveva più avere paura di amare. Sorrise pensando che presto sarebbe tornata l'estate, la stagione dell'amore, che lei amava tanto, e che avrebbe avuto accanto il suo più grande amore.




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Opera scritta il 30/04/2019 - 12:12
Da Marirosa Tomaselli
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su 2 votanti


Commenti


"La sala d'attesa era fredda ed impersonale, proprio come ci si aspettava dallo studio di un professionista". E' sempre meglio non generalizzare, molti studi medici non sono così. Ti consiglio di rileggere il testo perchè c'è qualche errore da correggere, te ne indico solo uno (Non gli hai aperti? --> Non li hai aperti). Marirosa, il primo amore non si scorda mai, come poteva sperare la protagonista di non essere riconosciuta?! Oltretutto, come tu stessa scrivi più volte: Andrea la conosceva bene! Io sono un medico e ti posso garantire che la nostra professione non ci impone di essere freddi e di mantenere il distacco dal paziente, con questo non voglio certamente dire che tutti i dottori sono dotati di umanità ma niente ci vieta di partecipare emotivamente con chi abbiamo davanti. Quella che invece dobbiamo mantenere è la lucidità nelle scelte, questa si che è imposta dalla nostra professione. Il racconto m'è piaciuto molto, l'ho letto tutto d'un fiato. Finale emozionante e positivo.

Seby Flavio Gulisano 01/05/2019 - 11:47

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