Auronzo di Cadore, luglio 2005.
Era sabato sera, due giorni prima del mio rientro a Trieste dalla vacanza in montagna. Mi trovavo nella camera al piano terra della pensioncina in cui alloggiavo, quando sentii degli strani rumori che venivano dall’esterno, come un frullo d’ali. Mi affacciai e, proprio sotto il davanzale, vidi un uccellino nero che si agitava spaventato. Scavalcai il davanzale e lo raccolsi, era terrorizzato. Confesso che non sapevo cosa fosse, ma lo portai da mio marito e dai miei due figli e decidemmo di recarci di corsa nell’unico negozio per animali di Auronzo, che stava per chiudere. Tom, il nostro cagnolino, non sembrava minimamente interessato all’esserino.
La commessa guardò l’animaletto ed ammise che nemmeno lei sapeva di che specie si trattasse, mentre mio figlio quattordicenne continuava a ripetermi che dovevo stare attenta perché sicuramente era un piccolo, ma pericoloso, rapace. Beata ingenuità.
Io spiegai alla commessa che avrei dovuto tenerlo in vita fin quando fossimo potuti andare alla sede dell’ENPA di Trieste, non prima di lunedì pomeriggio.
Mi diete una scatola di vermetti per la pesca e mi augurò buona fortuna.
Inizialmente non mi fu facile imbeccare l’uccellino che, intanto, tra le mie mani, si era riscaldato e rassicurato. Era sicuramente caduto da uno dei tanti nidi che si trovavano nei sottotetti delle case intorno alla pensione, non era neonato, ma ancora incapace di volare e badare a se stesso.
Lo chiamai Fortunella, un nome beneaugurante, anche se, ovviamente, non potevo sapere se fosse maschio o femmina. Poco alla volta riuscii a fargli aprire il becco e a fargli inghiottire i vermetti spezzettati (poverini) con una pinzetta. Prendeva il cibo solo da me e mangiava spessissimo e voracemente. L’acqua non la voleva.
Ci eravamo anche procurati una scatola di cartone, che avevo forato con delle forbici, dove si sentiva al sicuro, protetto. Lo gestivo solo io. Si faceva carezzare volentieri il capino, standosene accoccolato nella mia mano e guardandosi intorno.
Era tenerissimo.
Durante il viaggio di ritorno tenni la scatola sulle mie ginocchia rassicurandolo di tanto in tanto e fermandoci per nutrirlo poi, nel pomeriggio, ci recammo tutti all’ENPA, dove Fortunella venne visitata.
Era una femmina di rondone di campagna, accidenti alla mia ignoranza, ma mio figlio Maxi rimase profondamente deluso che non si trattasse di un pericoloso rapace.
Lasciai la piccolina, cui mi ero notevolmente affezionata, alla volontaria che, intanto, stava spiegando a Maxi che se voleva vedere dei rapaci, avrebbe dovuto farsi portare al Centro Rapaci di Milano, dove lavorava sua figlia.
Dissi alla signora che l’avrei chiamata tutti i giorni per sapere come stava la piccolina, e così feci finché, due settimane dopo, la signora mi disse che l’avevano liberata proprio quella mattina.
Piansi, ero felice per lei naturalmente, e commossa, ma anche consapevole che non l’avrei più rivista e mai dimenticata.
Eravamo riusciti a salvarla e lei era cresciuta tanto da volare verso la sua libertà.
Era stata Fortunella davvero.
Nota: qui in città si vedono poche rondini e più rondoni e balestrucci da diversi anni, ormai, per loro sono stati costruiti diversi nidi dal comune. Molti esemplari abitano in Carso. Dalla mia veranda ne vedo volare tanti tra la fine di maggio e inizio settembre. Non temono i gabbiani né le cornacchie.
Trieste, 7.2.22
Marina Assanti
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un abbraccione a te!
A rileggerti, allora!
Ma non devi dispiacerti, è solo un ringraziamento en passant, per l’ospitalità del Sito.
Un saluto
Mi fa piacere
L'Amore non ha confini!!!
Io adoro gli animali, ora ho quattro meravigliosi canarini, ma ho avuto diversi cani e avuto la fortuna di salvare altri uccellini.
La tua sensibilità è commovente, grazie di cuore,la tua stima è totalmente ricambiata!!! Grazie
Complimenti.