all’osteria del tempo che passa
che inventa storie d’amore per chi le vuole sentire,
che racconta storie d’amore per chi ha bisogno d’amare.
In cambio chiede solo un uovo sodo e un sorso di vino.
Lui racconta di Valeria ogni sera sullo scoglio
a dipingere le nuvole a forma di vela,
ad aspettare una bottiglia di vetro
con dentro una poesia e il suo nome,
con dentro quel richiamo di vento
per i suoi occhi da sempre in tempesta.
Racconta del vento di pianura
innamorato dei lunghi capelli di Carina
e della gelosia delle foglie,
dell’invidia del sole
e di quell’uomo che l’aspettava ogni notte
con gli occhi bruciati da pensieri proibiti.
Racconta di Amanda, dell’azzurro ghiacciato dei suoi occhi
e dell’impronta d’argento che lascia sul cuore.
Lui racconta di Amanda,
l’ultima strega del mondo
e del suo gatto nero che mangiava le stelle.
Racconta degli amori che durano un bacio,
racconta a braccio e a memoria,
la figlia del padrone l’ascolta in punta di dita,
non ha ancora sedici anni,
ma ha i capelli lunghi e lo sguardo lontano
e forse
e forse anche lei è un po’ innamorata.
In bocca ha cento nomi di donna,
ma si capisce che è solo di una che parla,
ma si capisce che è sempre quella che sogna
e la lacrima che striscia sul tavolo
è un’altro nome in attesa del suo vestito sposa,
mentre gli alberi del giardino aspettano la luna
per sollevarle la gonna
e il fantasma del prete ride in disparte
fumando l’ultima sigaretta del giorno.
All’osteria del tempo che passa
c’è sempre un vagabondo
che inventa storie d’amore per chi le vuole sentire,
che racconta storie d’amore per chi ha bisogno d’amare.
Ah, dimenticavo signori,
la storia di oggi, questa storia
vi costa un uovo e un bicchiere di rosso,
perché dimenticavo di dirvi
che quel vagabondo…
quel vagabondo sono io.
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Ciao
Aurelio
Vera