quando nessuno ci vede
e nel buio toccami la mano,
basterà il freddo a farmi capire
e a risvegliare
tutto ciò che non ho mai confessato,
quello che solo un’amante complice
e discinta può sentire.
Non ti farò aspettare,
ma ancora un po’ lasciami stare
nel labirinto dove i bambini si perdono,
nel rimpianto delle gioie recise sul nascere,
nei sussurri di suadente lussuria
e nel mio essere padre di nulla.
Lasciami stare,
con ciò che ho scelto sbagliando
e quel che resta di nomi e di date.
E non parlare,
non dirmi le intenzioni degli occhi,
ma ascolta il mio polso,
senti il dolore che scorre,
forse tu puoi riuscire a tradurlo,
forse tu puoi riempirlo di quelle parole
che io ho solo intuito.
Allora saranno forma composta in poesia,
quella sempre sperata e rincorsa,
che ha vagato nei sogni
nascondendosi dietro ogni mattino
rimanendo per sempre
sul bordo di un incerto pensiero,
come un dolore oscuro e latente,
come felicità nascosta e fuggente.
Chiudo gli occhi,
non voglio vederti.
So che sei sempre stata al mio fianco
mentre angeli celesti e volubili
sono presto fuggiti ridendo.
So, che di ogni sconfitta
sei stata l’esempio vicino
e che questa stanchezza serale,
che ora mi avvolge e sovrasta
ha bisogno del riposo di un’ombra
sotto una mano che si chiuda parlando.
Eppure, una vaga mancanza,
come qualcosa di dimenticato e da fare,
ritorna.
Accostati, vieni accanto e vicino,
che non ho ancora deciso,
se farmi addormentare cantando
o morderti al collo e alla gola lottando.
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