alla lamiera del tetto
dove scende il monsone puntuale arrivato
sull'attesa di sete del mondo.
La pioggia impasta la polvere in grumi,
come uova di colibrì leggere di schiusa.
Selmira osserva e aspetta di vederli volare,
come gli uccelli di fango del Cristo bambino.
Lo aveva un amore Selmira,
di quelli veri perchè partito lontano,
verso un paese di sorrisi e facili luci.
Un amore maturato bambino
e cresciuto col sorriso proibito del gioco
all'ombra dei respiri nascosti dal mango.
Aspetta ogni giorno Selmira
la rimessa che più non arriva,
solo il monsone è puntuale ogni anno
a ricordare quell'ultima cena di pioggia
che le ha lasciato un vagito partendo.
Ha erba secca nel cuore Selmira
e le trema la voce cantando,
per quella figlia nata sulla porta del vuoto
con i pugni stretti nel pianto
e una domanda in bilico sull'orlo degli occhi.
La osservo parlare da sola al destino,
mentre il monsone si consuma nel mare
e il sole rinato si stende ad asciugare.
Selmira alza gli occhi cerchiati
sulla danza della mia penna che vola
e con muto assenso del capo
capisce che le sto rubando la vita.
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